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«ABBIAMO UNA BANCA!»

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[ 16 febbraio 2010 ]


lo strano caso di Unicredit
di insider anonimo

  Qualcuno la definirebbe la storia tipica (?) di una multinazionale. Qualcun altro potrebbe scomodare la lente di uno Sherlock Holmes finanziario per comprendere e far luce su orpelli, annessi e connessi legati a cambiamenti così repentinamente avvenuti e così altrettanto velocemente eclissati. Altri trarrebbero ispirazione dalla geometria nel constatare come pure nel settore societario/organizzativo la logica euclidea abbia un senso: solo un grande gruppo come il nostro (gruppo UniCredit S.p.A. già Unicredito Italiano S.p.A. – n.d.r.) riesce a compiere un intero angolo giro in soli sette anni (e qui si potrebbe scomodare anche l’analogia con gli acrobati ed i saltimbanco…). In parole diverse: si parte da un punto e s’inizia a cambiare, per poi mutare ciò che è stato cambiato, per poi trasformare ciò che è stato cambiato e… oplà: giungere dopo una rotazione di ben 360° al punto di partenza. Dalla facezia al serioso.

Il sistema mediatico italiano e internazionale ha dato ampio rilievo alla trasformazione societaria che accorperà 5 banche del gruppo in un unico istituto di credito. Sembra che nel nostro gruppo parole quali “stabilità”, “consolidamento organizzativo” o altro, non possano mai fare capolino. Al contrario il termine “cambiamento” è la parola d’ordine che costantemente viene sventolata come una bandiera. E’ una sorta di logo implicito, un archetipo contenuto dall’humus culturale della banca nelle sue profondità più recondite.
Per carità, nulla in contrario al mutamento. Se questo assicura, però, crescita e miglioramento per tutti: clienti, dipendenti, azionisti.
Ma è proprio così?
Facciamo un po’ di storia.
Il 2002 viene vissuto da ogni dipendente di Unicredit come un anno importante.
Non esisteranno più sette istituti di credito ma questi verranno fusi in un’unica entità che li comprenderà tutti. Contemporaneamente compare il “Progetto S3”.
Un progetto, ci dicono, fatto e studiato per i clienti. Un toccasana. Se ben ricordo lo slogan era pressappoco così “… ci facciamo in tre per dare maggiore valore (migliori servizi) ai clienti”. E sì perché dopo aver accorpato sette banche in una, la stessa è stata divisa in tre. Devo dire che non rammento scene di giubilo tra i clienti nel momento in cui sono stati informati della modifica delle loro coordinate bancarie, che il loro rapporto sarebbe stato trasferito in altre sedi, che avrebbero avuto nuovi referenti. Tre banche per dare risposte differenziate a tre categorie di clienti. Senza scomodare i geni delle varie società di consulenza, qualche artigiano di organizzazione aziendale avrebbe proposto una soluzione multidivisionale; cioè una struttura con livelli contenenti alta specializzazione senza tutti gli inconvenienti menzionati. Ma Unicredit ricorre al fiore della consulenza: ed è questa la sentenza data. A proposito, chissà quanto è costata?!
Tre banche, tre Consigli di amministrazione, tre direttori generali, ecc., ecc..
Per anni si è lavorato per digerire il progetto S3. Un progetto assai pesante e ingombrante. Sembrava che la serenità stesse tornando (almeno sotto il profilo organizzativo) quando i tamburi della storia hanno annunciato l’acquisto di una banca in Italia grande quasi quanto Unicredit. Con l’acquisto di Capitalia la banca retail (nel novembre 2008) è stata divisa ulteriormente in tre parti (quindi tre consigli di amministrazione, tre direttori generali, ecc., ecc.,). Ed anche in questo caso il motivo è solamente uno. E non può essere altro che quello di fornire servizi migliori alla clientela. Chissà cosa ne pensa realmente il cliente che ad esempio disponeva all’epoca di rapporti sia presso la filiale di Pesaro che su Rimini e che di punto in bianco sono diventati rapporti su banche diverse.

Come tutti sanno la Banca si è molto impegnata per ridurre il rapporto costi operativi/ricavi, un termine tecnico per dire che il costo di lavoro dipendente deve essere ridotto. Ma in questo termine, lavoro dipendente, sono comprese due variabili assai diverse tra loro: il costo del personale direttivo e quello del personale non direttivo. Il fatto curioso è che l’andamento delle due variabili negli ultimi anni è stato tra le stesse inversamente proporzionale. Così, mentre si riducevano gli organici delle strutture operative, quelle che operano direttamente a contatto con i clienti (la vera ricchezza della banca), si assisteva al costante incremento dei costi legati alla remunerazione del personale direttivo.
Con parole diverse, il gruppo Unicredit ha aumentato il numero di colonnelli e generali e ridotto quello dei militari di truppa.
A tutto ciò aggiungerei la lievitazione dei costi di consulenza: altro capitolo che sarebbe opportuno analizzare con attenzione.
Ma dal cappello di Unicredit è uscito, infine, un altro coniglio. Quello che ha riportato le lancette a quasi otto anni fa. Signore e signori la banca cambia: “Nell’interesse dei clienti il gruppo ha deciso di accorpare cinque banche in una”.
“Cambiare tutto per non cambiare nulla”… ma quanto ci è costato…
La nascita della superbanca è, a mio avviso, un atto di resa al buon senso. La parcellizzazione della banca, che ha significato per tanti dirigenti, la replica del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci in chiave bancaria, ha trovato uno stop inderogabile con la sopravvenuta crisi finanziaria e la fine dell’era delle vacche grasse.
Ma il ritrovato buon senso non porterà il sereno nei conti dell’azienda “Unicredit”.
Il perché è semplice da capire: l’attuale pletora di dirigenti dovrà essere ridimensionata. Presumo che il costo di questa ristrutturazione non sarà marginale. Con linguaggio spiccio accadrà che questi “generali” e “colonnelli” verranno graziosamente dimissionati; e questo con laute prebende. A tale riguardo sarei curioso di conoscere l’impegno finanziario effettivo per realizzare questa operazione.
Per cui per fare quadrare i conti la banca dovrà “ristrutturare” (cioè tagliare) gli attuali organici non dirigenti (già carenti) al fine di compensare i costi di dimissione dei dirigenti.
Ma tranquilli colleghi. Questa sarà l’ultimo sforzo. Dopo di ciò non ci saranno più problemi: nuove acquisizioni, altre rotazioni di 360°, salti mortali, ecc..
Perché in fin dei conti tutto questo è stato fatto nell’interesse dei clienti …. e ovviamente di noi colleghi.

(Tratto da: www.clarissa.it) 

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