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GRECIA DEFAULT – ULTIMO ATTO?

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[ 07 aprile 2010 ]

Chi aveva ragione?

di Moreno Pasquinelli
C’è stato chi ci ha criticato per “l’eccessivo allarmismo” con cui in questi mesi abbiamo trattato la crisi greca. «La Grecia è un formichina, vi pare che non la salvino? Un contagio è escluso». Chi aveva ritenuto che il vertice dell’Eurozona di fine marzo avesse messo le cose a posto, dovrebbbe ricredersi. Da parte nostra avevamo pronosticato («Si è concluso il vertice europeo. Ognuno per se, Dio per tutti») che i nodi della crisi greca sarebbero presto venuti al pettine. 

Ecco quanto affermavamo: 
«Vedremo entro un mese se la promessa d’aiuto sortirà l’effetto sperato, visto che Atene, tra fine aprile e fine maggio, dovrà reperire circa 16 miliardi di euro (il 4,5% del suo Pil!) e quindi riuscire a piazzare titoli per un’ammontare equivalente (entro la fine del 2010 ad Atene serviranno altri 53!). Staremo quindi a vedere quale sarà il tasso d’interesse che i mercati, o meglio la speculazione finanziaria, riterranno soddisfacente. Se il tasso attuale d’interesse spuntato sui titoli greci non si abbassasse sensibilmente, ciò indicherà che il compromesso raggiunto in sede Ue non sarà servito a niente, col rischio che non solo il governo Papandreu venga travolto ma tutto l’edificio dell’euro venga ulteriormente indebolito facendo fibrillare la stessa Bce».

E’ notizia di oggi, 7 aprile, che ieri è stata una giornata nerissima. Atene ha visto impennare contemporaneamente il rendimento (interesse) dei suoi bond (titoli) e lo spread sui bond tedeschi (che fanno da parametro). I famigerati Cds (Credit defauls swap), da parte loro, sono schizzati a livelli record. Quindi non solo quel vertice non ha aiutato la Grecia ad abbassare sensibilmente l’interesse sui suoi titoli. Sta avvenendo il contrario.

«I rendimenti dei titoli di stato decennali greci sono schizzati al 7,1%, con un differenziale con i corrispondenti bund tedeschi salito al massimo di giornata sopra i 407 punti base dai 346 punti di partenza, raggiungendo un record mai toccato dall’introduzione dell’euro nel 1999. Non solo. Anche i Cds solo saliti: per assicurare annualmente 10 milioni di euro di debito greco sono necessari 390,500 euro contro i 344mila della scorsa setttimana». (Il Sole 24 Ore, 7 aprile 2010)

Cosa sta accadendo? Che la speculazione finanziaria, intendiamo i grandi investitori di Wall Street e della City, per strappare guadagni a breve, stanno scommettendo sul default della Grecia. Che in poche parole significa manipolare sulla negoziazione dei titoli greci affinché salga il loro rendimento, cioè il tasso d’interesse che Atene dovrà assicurare per sperare di vendere i suoi titoli, cioè finanziarsi e rimpinguare le proprie casse.

A questa speculazione non sono estranee le banche tedesche le quali, ricordiamolo, posseggono buona parte del debito greco. Secondo quelle che eufemisticamente vengono chiamate indiscrezioni (che la speculazione ha evidentemente preso per buone), ci sono infatti pressioni tedesche affinché i tassi d’interesse “agevolati” sui prestiti previsti dal vertice dell’Eurozona (4-4,5%, come quelli in vigore per il Portogallo o l’Irlanda) si alzino a quelli di mercato (6-65%, come quelli di Messico o Polonia).

I cosiddetti “mercati” hanno quindi seppellito il vertice dell’eurozona di fine marzo, non hanno creduto, proprio come noi pronosticavamo, al cosiddetto “salvataggio”.

Il risultato è che ieri, proprio a causa dell’aumento del rischio di default della Grecia, l’euro ha perso nuovamente terreno portando il cambio con il dollaro ai minimi (1,3265). Il timore che Atene non riesca a rimborsare gli interessi sul debito pubblico (che quest’anno dovrebbe aumentare di 53,2 miliardi di euro), spinge i grandi speculatori a ritenere plausibile l’eventualità che sia travolta anche la moneta europea, e con esso l’assetto dell’Unione.

Il che conferma, per tornare alla Grecia quando affermavamo il 22 febbraio scorso, nell’articolo «Il letto di procuste. Un’altra via d’uscita: la nazionalizzazione del default»:

«Se un’azienda debitrice fallisce ci rimette quella creditrice che ha prestato denaro, fatta salva la facoltà di quest’ultima di fare rivalsa pignorando i suoi beni. Ma come fare rivalsa contro uno stato nazionale sovrano?
Fare rivalsa sulla Grecia, ormai espropriata in larga parte della sua sovranità nazionale, politica e monetaria, sarebbe in effetti un gioco da ragazzi.
Ma che accadrebbe se la Grecia decidesse d’un botto d’uscire dall’Euro e dall’Unione? Se decidesse unilateralmente di nazionalizzare e pilotare il default, ripristinando la sua moneta e svalutandola decisamente? O addirittura annullando il debito? Accadrebbe che i creditori sarebbero gabbati, che l’economia greca, pur restando nel quadro del capitalismo, riprenderebbe a camminare e ad esportare, attirerebbe non solo una gran massa di turisti, probabilmente anche di investimenti stranieri a causa del vantaggio rappresentato dal differenziale di cambio e dai bassi costi di produzione. Accadrebbe, questo è quel che più conta per milioni di greci, che eviterebbero la cura da cavallo.
Alternativa che non sta né in cielo né in terra? Via d’uscita giacobina? Sentiamo cosa dice Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 18 febbraio:
“Se l’economia non riprende, per stabilizzare il debito serve una correzione dei conti pubblici enorme: circa 14 punti di Pil, al di là di ciò che qualunque governo possa fare. Se invece la Grecia crescesse al 3% l’aggiustamento necessario sarebbe severo, ma non impossibile: circa 6 punti. Ma come fa la Grecia a ricominciare a crescere? Un modo c’è: uscire dall’Euro, svalutare del 50% e diventare il luogo più a buon mercato in cui andare in vacanza nel mediterraneo. Certo, la svalutazione raddoppierebbe il debito, che è tutto in Euro, ma sarebbe giocoforza non ripagarlo. E’ ciò che ha fatto l’Argentina, con risultati non disprezzabili”».


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