DI QUALE TV STIAMO PARLANDO?
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[ 24 maggio 2010 ]
Santoro sei pronto per un’altra TV?
di Giuletto Chiesa
Pubblichiamo qui sotto l’appello di Giulietto Chiesa a Michele Santoro. Confessiamo di non essere massmediologi, e dunque potremmo sbagliarci, ma l’epitaffio con cui Chiesa chiude la sua lettera ci lascia alquanto perplessi: «Occorre capire – e tu lo sai bene – che non c’è più una politica e una democrazia senza la televisione. E un’altra televisione significa un’altra politica». Non vorremmo apparire iconoclasti, ma forte è il sospetto che la TV, in quanto tale, poco vada daccordo con la necessità di un autentico risveglio popolare, ovvero fondato sulla partecipazione popolare. La democrazia, se non è diretta e partecipativa è un inganno. La TV implica dei telespettatori, in quanto tali fruitori passivi e mai protagonisti. Santoro questo lo sa benissimo, e pur dando voce al malessere sociale, lo fa a sua maniera, da telepredicatore. Siamo davvero sicuri che quel modo di fare TV possa tornare utile alla costruzione di un movimento per un’alternativa di sistema? Davvero crediamo che un network guidato da Santoro possa essere un veicolo del movimento antagonista?
«Tra le molte cose giuste e vere che Santoro ha detto nella sua autodifesa di fronte al pubblico di Annozero e ai lettori del «Fatto» del 22 maggio, c’è qualche importante “interstizio” su cui riflettere. Interstizi, tuttavia, rivelatori. Credo inoltre di avere titolo per replicare anch’io alle sue parole, nella mia qualità di autore di una lettera (inviata al «Manifesto» e al «Fatto», ma che solo il «Fatto» ha pubblicato) in cui, in sostanza, invitavo Santoro, e tutti coloro che lo hanno sostenuto nella sua battaglia per una televisione migliore, a prendere atto che la battaglia interna alla televisione berlusconiana non era più praticabile e che bisognava dichiarargli guerra dall’esterno, trasformando Raiperunanotte una tantum in Raiperunanotte tutti i giorni.
Ci fu un grande silenzio, a sinistra. Anche Santoro tacque. Infatti la mia proposta era stata già fatta un anno prima, con il lancio di Pandora TV, che era stato ignorato da tutte le forze democratiche, i movimenti, i partiti semidefunti della sinistra.
Adesso Santoro scrive, testualmente, che «Raiperunanotte insegna che, se il contenuto è forte, i contenitori si trovano, e con ascolti da grande tv generalista. Senza che nessuno ti possa bloccare o condizionare. La sfida è trasferire l’esperienza di quella serata unica nelle forme più efficaci per fare di Raiperunanotte qualcosa di non episodico, stabile».
È esattamente la mia proposta. A Santoro dico soltanto una cosa (ma la dico anche a tutti gl’intellettuali, agli uomini di spettacolo che hanno traccheggiato in tutti questi anni, e la dico anch’io, come Santoro, ai direttori dei grandi giornali di opposizione, come «la Repubblica» e «il Manifesto», e non parliamo de «l’Unità» perché altrimenti ci viene da piangere): perché non l’avete detto, e fatto, prima?
E dico a Santoro: per ragioni storiche perfettamente chiare tu sei l’unico che può capitanare questa squadra di combattimento, l’unico che può trascinare ascolti da grande tv generalista, perché sappiamo che anche il pubblico democratico conosce solo questa televisione “progressista” – la tua – tutta interna, come forma, alla tv che manipola, ma (ed è tuo merito), molto esterna come contenuti al mainstream mentitore.
Perché non lo fai?
Hai dichiarato guerra, dagli schermi della televisione del nemico. Non tutta la tua dichiarazione di guerra ci è piaciuta, ma la sostanza sì, ci è piaciuta. Adesso dichiarala tutti i giorni: dal di fuori. Puoi farlo. Ti sosterremo come possiamo. I soldi si troveranno perché milioni di persone, in Italia, vogliono sapere di più e di diverso. Basta chiederglieli e dare loro, in cambio, un pezzo di verità. Naturalmente purché non si continui a stare dentro un teatrino, con gli stessi rituali, le stesse facce della politica della casta, magari esposte sapientemente (come sai ben fare) al ludibrio della loro stessa esibita sconcezza.
Ovvio che l’obiettivo dovrà essere la riconquista democratica della tv pubblica, non la creazione di un nuovo canale privato multimediale.
E qui sono già entrato negl’interstizi cui ho accennato sopra. Sono almeno due. Ti dipingi troppo ingenuo (e ingenuo non sei) quando dici che aspettavi dal Partito Democratico, dai suoi membri nel Consiglio di Amministrazione, dai suoi deputati nella cosiddetta Commissione Parlamentare di Vigilanza, un qualche segnale di soccorso.
Suvvia! Non hai visto tu stesso, in questi anni, come quella gente ha tenuto bordone a Berlusconi, gli ha lasciato tutto in mano?
Hai atteso, certo non invano, perché hai rafforzato la tua posizione di gladiatore isolato dentro un cerchio di nemici. Il pubblico te ne è grato. Io anche. Ma tu ci devi, adesso, una parte della tua popolarità.
Adesso dici che «è il momento di liberarsi dei grandi gruppi editoriali e di fare da soli». Anch’io lo penso. Da anni penso che l’emergenza informativa e democratica si è trasformata in un attacco campale alla democrazia. Fallo, facciamolo. Ci sono decine di giornalisti, di uomini di cultura, direi il fior fiore del giornalismo italiano che ancora resiste, che non aspetterebbero altro; che, se vedessero alzarsi una bandiera, una decente, darebbero non una ma tutte e due le mani per sostenerla.
Solo che, fuori dalla gabbia, il compito è ben più difficile. Questo è l’altro interstizio. Tu parli di “pubblico”. È una parola che non si attaglia al compito. Gli spettatori di Raiperunanotte tutti i giorni, non sono più un “pubblico”, sono cittadini. E lo studio non può essere quello di una tv generalista.
Avrai bisogno di quei cittadini per costruire una piattaforma multimediale capace di raggiungere milioni di occhi e orecchie. Il palcoscenico, lo studio, sarà la democrazia. La ricerca di cui parli, giustamente, prevede che anche tu debba cambiare professione. Il tempo lo richiede. Ma non si tratta di rinunciare al giornalismo, tanto meno al giornalismo di battaglia.
Questo non è ciò che occorre. Occorre capire – e tu lo sai bene – che non c’è più una politica e una democrazia senza la televisione. E un’altra televisione significa un’altra politica».
Da: http://www.megachipdue.info/
Ragazzi [e compagni, se posso permettermi], l'epitaffio di Chiesa che suscita in voi legittime, comprensibili perplessità può essere letto – credo e spero – senza presupporre "adesioni" entusiastiche al modello degenerativo di politica-spettacolo post-debordiana [molto post e ormai incancrenita] da parte del suddetto, ma più semplicemente come un'amara constatazione, intrisa di un certo realismo. Purtroppo è così … visto che il Mercato [televisivo] del Consenso e dei Sondaggi sembra aver definitivamente sostituito la più antica, nobile, ma ormai neutralizzata Politica [quella del Politikon Zoon aristotelico, tanto per intenderci, o forme simili].Questa involuzione – funzionale alla riproduzione sistemica, naturalmente – è stata opera non soltanto dell'azione del Truffaldino Ologramma Berlusconi [o più precisamente del gruppo di potere e di interessi, legali ed extralegali, che sta alle sue spalle] ma dell'intero establishment post-Politico,che sembra essere diventato "genuinamente" mediatico-politico [la minuscola è d'obbligo, per segnare il confine con la vera Politica], con la preminenza sempre più evidente della prima componente [i Media] sulla seconda [la pseudo o post politica], ormai diminuita ed edulcorata.Il Supremo Generatore del Consenso delle masse flessibilizzate/ precarizzate non consente che esita politica senza televisione [che sempre più spesso tende a degenerare in autentica trash TV].Tale Supremo Generatore del Consenso non prevede, inoltre, né potrebbe prevedere vero pluralismo [trattandosi di un "codice genetico" fortemente unitario] e quindi gli aspetti censori si moltiplicano, investendo anche intrattenitori e comici come la Dandini e Vergassola di Parla con me … o meglio, come se l'opposizione – in tale caso obbligatoriamente di natura mediatico-politica – fosse affidata proprio ai "pericolosissimi" Dandini e Vergassola, per non parlare dello stesso Santoro.Scrivo quanto precede senza voler entrare nel merito della vicenda personale e "aziendale" di Michele Santoro.Cari saluti anticapitalistici [ed anti-Silvio]Eugenio Orso