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«LA CRICCA» O IL FETORE DA SECONDA REPUBBLICA

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[ 14 maggio 2010 ]

Dedicato a chi pensa che l’Italia possa guarire senza una rottura risolutiva

Gli spari di sopra saranno per voi

“Aspettiamo di leggere le carte”. “Occorre una lettura più attenta degli atti”. “Per ogni indagato vale la presunzione d’innocenza”. Questo leggiamo sui media di regime a commento della spaventosa rete corruttiva che sta disvelando l’inchiesta della Procura di Perugia.
Stronzate! Questa nuova Tangentopoli mostra fino a che punto è marcio il sistema politico italiano sorto sulle ceneri della prima Repubblica.
Politici, commis di stato, managers, industriali, preti, giudici, giornalisti, banchieri, palazzinari, uomini di spettacolo, funzionari pubblici grandi e piccoli. In poche parole quella che si considerava la crema della società, si scopre essere una classe inguaribilmente corrotta, diposta a tutto pur di arraffare, di arrichirsi, di vivere nell’agio e nel lusso. Il tutto a spese del bene comune e mentre si chiede ai comuni mortali di fare sacrifici in nome della salvezza della patria.

In questo contesto stride l’icona di Mariarca Terracciano (nella foto), l’infermiera partenopea madre di due figli che per ottenere lo stipendio è stata costretta ad andare incontro alla morte. L’altra Italia. Quella della povera gente che tribola e pena per tirare a campare mentre al piano di sopra Lorsignori si danno alla gozzoviglia.
Due Italie, tanto più se l’economia, come noi riteniamo, sprofonderà nella stagnazione, destinate ad entrare in rotta di collisione. Quali che saranno i passaggi, le tappe intermedie, l’urto sarà inevitabile. Alcuni ritengono che l’urto seguirà una linea di frattura che non sarà sociale o di classe, quanto piuttosto geografica. Il nordismo leghista, si dice, si radicalizzerà così che la guerra sociale che si annuncia non sarà tra capitale e lavoro, tra nuovi ricchi e nuovi poveri, ma tra nord e sud, tra secessionisti e unionisti.

Occorre sventare questa eventualità, e non tanto per l’amore che (non) ci Lega a quest’Italia in via di decomposizione, quanto perché una simile linea di frattura aprirebbe la strada ad uno sbocco reazionario, fascistoide e xenofobo. Ma come sventare questa catastrofe? Chi si aggrapperà alla frazione “buona” del sistema; chi cocciutamente perseguirà l’illusione che questo sistema sia ancora riformabile, andrà incontro alla disfatta prima ancora che la partita che deciderà le sorti del paese sia cominciata.

Occorre piuttosto raggruppare i “nuovi poveri” che la crisi storico-sistemica ammucchia verso il basso, quell’enorme massa di nuovo proletariato oggi amorfa e abbandonata a se stessa. Occorre dare a questa massa un’autonoma rappresentanza politica, sulla base di un programma realistico di fuoriuscita strategica dal capitalismo.

Nel breve periodo la “casta”, difronte al rischio di un’esplosione della crisi sociale e della propria dissoluzione, tenderà a fare causa comune. L’ipotesi di una “Union sacrée”, di un governo bipartizan di “salute pubblica”, di una stretta austeritaria  resta quella più probabile.
Che fare allora?
Il 9 aprile scrivevamo: «Davanti al fatto che avranno una maggioranza parlamentare schiacciante, sarebbe sciocco se non suicida sperare di fermare questo golpe per vie istituzionali formali. Tre cose a noi paiono chiare: (1) va costruito un Fronte del Rifiuto, il più ampio possibile, contro ogni scasso presidenzialista e autoritario, e dunque contro la casta; (2) occorre unire assieme e saldare la questione democratica, alle questioni sociale e morale, ovvero tenere assieme la difesa di principi democratici con quella degli interessi e dei bisogni sociali delle masse popolari; (3) questo Fronte deve affrontare la casta sul terreno a lei meno favorevole, quello della mobilitazione sociale, mettendo nel conto la fuoriuscita dal Parlamento, evitando di fungere da mosca cocchiera, delegittimando nella forma più decisa il golpe in atto e mettendo nel conto la possibilità di fondare un anti-parlamento democratico e repubblicano».



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