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Tremonti e Tramonti

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[ 28 maggio 2010 ]

La prima stangata è arrivata e siamo solo all’inizio…

Lo sbando degli “ottimisti” berlusconiani, l’impaccio “europeo” della finta opposizione, un capitalismo che propone solo sacrifici: la fotografia dell’Italia è quella di un Paese allo sfascio.
di Leonardo Mazzei
 
«Siamo a un tornante della Storia non siamo in una congiuntura economica». «L’intensità dei fenomeni che vediamo è storica e sta modificando la predisposizione dell’esistenza, dell’economia, della politica».
A parlare così non è un estremista catastrofista, bensì il ministro dell’economia, Giulio Tremonti. Tremonti

, reduce – così si dice – da uno scontro furibondo con l'”ottimista” Berlusconi, ha però varato una manovra che di storico ha ben poco: sacrifici per lavoratori e pensionati, attacco generalizzato al pubblico impiego, tagli agli enti locali, che si trasformeranno inevitabilmente in un aumento del costo dei servizi, un nuovo condono edilizio. Il tutto condito con una buona dose di demagogia anti-casta. Insomma, se siamo ad un tornante della storia, la risposta del governo è invece quella di sempre.

Del resto, Silvio Berlusconi, iniziando la sua conferenza stampa sulla manovra, ha minimizzato come al solito. Queste, grosso modo, le sue parole: la crisi attuale è diversa da quella del 2008-2009 (sic!), quella passata (sic!!) era stata generata dai mutui subprime, quella attuale dalla speculazione.
Questa sì che è una sintesi! Peccato che perfino Trichet parli di “crisi sistemica”…
Nella catastrofe economica che incombe sull’Europa, la classe politica italiana non sa rinunciare alla farsa. La crisi viene considerata un fatto accidentale, materia di scambio di accuse sulle responsabilità passate e presenti, mentre ogni riflessione sulle sue cause e sul futuro di una società alla deriva è rigorosamente bandita.
D’altronde la farsa non è patrimonio della sola classe politica.
Di fronte ad una manovra che colpisce pesantemente le fasce popolari, una delle prime reazioni è stata quella dell’ANM (Associazione Nazionale Magistrati), rappresentante di una casta pronta e vigile nella tutela dei propri privilegi. Per l’ANM i modestissimi tagli previsti agli stipendi d’oro dei magistrati – si badi, per la quota eccedente i 90mila euro annui – sono diventati «interventi punitivi che minano l’indipendenza della magistratura». Ma per favore…
Una manovra di classe
Al di là della farsa, quel che appare certo è lo sbando dei berluscones. Negare la crisi non gli è servito a molto. Promettevano la riduzione fiscale ed oggi vorrebbero negare l’inevitabile aumento che deriverà dai tagli a Regioni e Comuni. Davanti all’evidenza, dicono spudoratamente di “non aver messo le mani nelle tasche degli italiani”. Da dove vengono allora i 24 miliardi della manovra?
Non si sono forse messe le mani nelle tasche di 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici, ai quali si chiederà una cifra pro-capite attorno ai 2mila euro? E che dire di chi perderà la pensione di invalidità? Non si sono messe le mani nelle tasche di milioni di italiani che vedranno crescere i costi dei servizi comunali o l’introduzione di nuovi ticket sanitari? E come definire l’estensione dei pedaggi autostradali?
Certo, il governo è stato ben attento a colpire anzitutto il pubblico impiego, cioè il principale serbatoio elettorale dello schieramento avversario, ma – dovendo raschiare il barile – è stato costretto ad alcune misure che certo non hanno fatto piacere al proprio blocco sociale, come ad esempio la tracciabilità dei pagamenti.
Al tempo stesso è da rilevare come il taglio imposto alle Regioni sia in netta contraddizione con il dichiarato orientamento federalista. Non pare che i federalisti straccioni della Lega ne abbiano tratto particolari conseguenze. «Se provano a tagliare la provincia di Bergamo sarà la guerra civile», questa è la linea su cui si è attestato Bossi in risposta alla proposta dei parlamentari finiani di abolire tutte le province. Una sparata che serve a coprire il silenzio sull’impronta inevitabilmente centralista della manovra Tremonti. Un’ulteriore dimostrazione, insieme all’approvazione con riserva da parte del Consiglio dei ministri, di quanto la manovra non sia stata un parto facile, specie per un governo che vorrebbe continuare a negare la realtà dei fatti.

Tra le misure più inique di questa finanziaria ci sono quelle sulle pensioni. Provvedimenti di cui poco si parla, forse perché anche chi li ha presi sa di doversene vergognare. Berlusconi, con la solita faccia tosta, ha detto che le «le pensioni sono tutelate». La realtà è ben diversa. Con la finestra a “scorrimento” si andrà in pensione un anno dopo aver maturato il diritto. Diritto che diventa dunque meramente teorico, mentre la realtà è quella di un nuovo innalzamento di fatto dell’età pensionabile. Nella stessa direzione va l’accelerazione impressa all’innalzamento dell’età di accesso alla pensione di vecchiaia per le lavoratrici del pubblico impiego, una misura che fra l’altro prepara la strada ad un provvedimento analogo per quelle del settore privato.
Perché queste misure sono particolarmente odiose? Per il semplice motivo che il Fondo dei lavoratori dipendenti dell’Inps è in attivo di ben 11 miliardi. Non c’è quindi nessuna emergenza pensionistica, mentre i contributi dei lavoratori sono diventati una fonte di finanziamento del debito pubblico. Un’enormità che si commenta da sola.

Una stangata recessiva che annuncia sacrifici più pesanti
Quella decisa dal governo è dunque una manovra iniqua e di classe, è una manovra pensata a tutela di quel capitalismo ormai totalmente finanziarizzato che è all’origine della crisi, ma è anche una manovra profondamente recessiva,  che i lavoratori ed i disoccupati pagheranno con la perdita di altri posti di lavoro.
Non siamo ancora, è bene dirlo con tutta chiarezza, alla politica “lacrime e sangue” che si annuncia all’orizzonte. In Grecia, nel breve arco di alcune settimane, si sono sfornati vari pacchetti, ognuno più duro di quello precedente. Vedremo quali saranno i tempi per l’Italia.
La finanziaria di Berlusconi-Tremonti, così come quelle in via di definizione in altri paesi europei, ha lo scopo di rassicurare non tanto sulla tenuta dei conti pubblici, quanto sulla capacità di far passare qualsiasi sacrificio che si rendesse necessario. Il fine ultimo è quello di impedire l’esplosione dei tassi di interesse sui titoli del debito sovrano. Difficile che questo obiettivo venga raggiunto, sia perché i tagli significano recessione, sia per l’enorme crescita dell’offerta di questi titoli a livello mondiale. Un fatto, quest’ultimo, che spinge ancor di più verso la finanziarizzazione e che apre enormi praterie ai vampiri della speculazione.
La crisi è veramente sistemica e non ammette vie d’uscita ordinarie.
Da tempo insistiamo sul fatto che l’emergenza economica è destinata ad incrociarsi con quella politica. Checché se ne dica il berlusconismo è al tramonto. Il capo della ditta ha dimostrato anche ieri di possedere indubbie doti di manipolatore, cercando di presentare i provvedimenti economici come il frutto di una politica anti-casta ed anti-sprechi, ma queste qualità ormai non bastano più.
Dall’altra parte una “opposizione” esangue sa solo dire (Bersani) che «il governo ha fallito». Bello sforzo, ma quali sono le proposte del Pd o dell’Idv non è dato sapere. In verità le scelte del governo (eccezion fatta per il condono edilizio) sono assai in linea con quell’Europa che è il vero faro del centrosinistra. Le punture di spillo del segretario del Pd sono perciò abbastanza penose.
E’ in questa situazione confusa che le oligarchie dominanti stanno cercando una soluzione politica in grado di gestire la prevedibile emergenza economica. Con ogni probabilità, quando il gioco da duro si farà durissimo, Berlusconi dovrà lasciare il campo ad un nuovo governo, un governo fortemente tecnocratico e rigorista in grado di gestire una linea “lacrime e sangue” senza precedenti dal 1945.
Questo è lo scenario che si annuncia. Giusto dunque suonare le trombe della mobilitazione, che vogliamo sperare non si esaurisca nei tradizionali riti cigiellini; ancora più giusto chiamare alla lotta nella costruzione della consapevolezza della partita che si profila all’orizzonte. Una partita che se non vedrà la ricostruzione di una prospettiva socialista, condurrà verso un barbarico degrado sociale di cui già oggi si intravedono i primi segnali.
Azzerare il debito, nazionalizzare le banche
Siamo ormai entrati in una fase completamente diversa da quelle conosciute dalle attuali generazioni negli ultimi 65 anni. Non possiamo pretendere di decifrarne oggi tutti gli aspetti e le vie di sviluppo. Dobbiamo però sforzarci di essere all’altezza della situazione, sia nell’analisi che nella proposta.
Partiamo allora dalla questione del debito pubblico, che rimanda sia all’assetto sociale, che al tema della sovranità nazionale con annessi e connessi.
Sul debito pubblico prevalgono a sinistra tre approcci, tutti e tre profondamente sbagliati.
Il primo consiste nella negazione del problema, il secondo nella sua sottovalutazione, il terzo nel considerarlo solo una questione di equità.
La negazione si fonda su una concezione neo-keynesiana che non fa i conti con l’attuale dimensione dei processi di finanziarizzazione, né con la montagna di debito globale largamente insolvibile. La sottovalutazione sembrerebbe più realistica. In fondo negli anni ’90 il rapporto debito/Pil superò il 125%, mentre oggi non raggiunge il 120%. Questa tesi non fa però i conti con alcuni “fatterelli”: allora l’economia cresceva mentre oggi è stagnante; negli anni novanta i tagli erano più facili, mentre oggi siamo al raschiamento del barile; quindici anni fa era possibile privatizzare massicciamente, mentre oggi i “gioielli di famiglia” sono stati già svenduti quasi tutti. Rimane l’approccio “sindacalista”, quello per cui si accetta l’obiettivo ma si invoca una maggiore equità. Ovviamente, meglio chi è per l’equità che chi non lo è, ma qui la questione è un’altra. Anche la più equa delle manovre non risponderebbe al perché dei sacrifici, per quanto equamente ripartiti. Ora si da il caso che i sacrifici richiesti servano unicamente a mantenere in piedi un sistema che ha prodotto le più grandi diseguaglianze, le più grandi ingiustizie su scala globale; un sistema che sta minacciando le stesse condizioni del vivere sociale.
In breve: qui non si tratta soltanto di decidere chi deve fare i sacrifici, si deve anzitutto stabilire per che cosa farli eventualmente.
Se tutto ciò che ci viene proposto, non solo in Italia ma in tutta Europa, è inaccettabile dal punto di vista del bene comune, perché non indicare una strada radicalmente alternativa?
Qual è questa strada? Ce n’è una e soltanto una: quella dell’azzeramento del debito pubblico, di un default gestito dallo Stato, capace quindi di limitare i danni sociali (garantendo, ad esempio, i piccoli risparmiatori), spezzare le manovre speculative, riavviare l’economia su basi completamente nuove.
Tutto ciò presuppone un’uscita dall’euro e dalla UE, richiede la nazionalizzazione del sistema bancario per poter governare al meglio gli inevitabili fallimenti, ma necessita soprattutto di un potere politico nelle mani delle forze anticapitaliste. Una condizione, quest’ultima, che oggi appare impensabile e lontanissima. Ma molte altre cose sembravano impensabili…
Meglio comunque misurarsi con le questioni vere che limitarsi ad un’impostazione “menopeggista” che oggi non può davvero portarci a niente.
Meglio, non solo perché il fardello del debito uccide in partenza ogni prospettiva di miglioramento sociale; meglio anche perché solo indicando soluzioni concrete – per quanto oggi possano apparire inverosimili – si contribuisce concretamente alla costruzione di una vera alternativa politica e sociale.

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