Il Capitalismo “Speculativo”
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[ 10 giugno 2010 ]
Brevi note sulla natura del capitalismo contemporaneo
di Eugenio Orso*
Questo breve saggio è stato scritto per il futuro libro Alienazioni e uomo precario, che conto di riuscire a far pubblicare entro l’anno, situazione economica e “censure preventive” della piccola e media editoria italiana permettendo …
(nella foto il filosofo Costanzo Preve)
A causa dell’ampiezza e della “irresolubilità” della crisi globale, che da un paio d’anni almeno colpisce in profondità le società del mondo occidentale e le stesse economie dei paesi “in sviluppo”, oggi si può notare un certo, rinnovato interesse per il keynesismo, il neokeynesimo e per lo stesso marxismo, se non per l’originale pensiero di Karl Marx …
… i quali potrebbero contenere le risposte per tentare un superamento positivo della crisi stessa, a differenza del pensiero economico [a contenuto “messianico”] neoliberista/ neoclassico dominante e maggioritario negli ambienti accademici, che “sacralizza” il Libero Mercato proclamandone l’intangibilità e l’assoluta superiorità sulla Politica, sulla Filosofia, sull’Etica, sulla Religione, e su tutto ciò che l’elaborazione culturale umana ha prodotto nei secoli e negli evi precedenti.
… i quali potrebbero contenere le risposte per tentare un superamento positivo della crisi stessa, a differenza del pensiero economico [a contenuto “messianico”] neoliberista/ neoclassico dominante e maggioritario negli ambienti accademici, che “sacralizza” il Libero Mercato proclamandone l’intangibilità e l’assoluta superiorità sulla Politica, sulla Filosofia, sull’Etica, sulla Religione, e su tutto ciò che l’elaborazione culturale umana ha prodotto nei secoli e negli evi precedenti.
Si fa un gran parlare della panacea rappresentata dal capitalismo sociale, del ridicolo ed illusorio paradigma della responsabilità sociale dell’impresa, di un generico investimento sulla conoscenza per “attrezzarsi” e affrontare i competitori globali, di un’altrettanto generica necessità di controllo dei Mercati finanziari e di amenità di questo tipo, con un atteggiamento compromissorio – sperando di “salvare il salvabile” ed evitare la prospettiva di un default planetario –, senza mettere in discussione, e in molti casi ignorando, quello che è il vero nucleo sistemico: l’autofondazione realizzata dell’economia su se stessa, assolutizzatasi nel passaggio dalla seconda alla terza società della crescita e caratterizzata dalla prevalenza su tutto, su ogni altro aspetto della vita sociale ed umana, della creazione del valore finanziaria, azionaria e borsistica a scopi privati di dominio [Global class].
Non basta certo “rispolverare” con piglio da nostalgici, in una situazione di generalizzata impotenza e di vincoli sopranazionali e globalisti alle politiche concrete, il pensiero dell’illustre albionico di Cambridge, sir John Maynard Keynes, oppure quello del grande filosofo idealista tedesco di Treviri, Karl Heinrich Marx [Che Dio li benedica! Diremo ironicamente, data la nostra attuale condizione], o di entrambi in una confusione non da poco, quali “icone” salvifiche sopravvissute al distruttivo cambio di Evo che stiamo vivendo, se non vi è ancora una ferma volontà e non vi sono ancora le possibilità effettive per un’auspicabile e completo superamento sistemico.
I miliardi di euro impiegati per evitare il collasso dello stato Greco, ad esempio, ed i miliardi delle manovre governative, provenienti dalle tasche dei lavoratori dipendenti, dei precari e dei pensionati, o da tagli di spesa selvaggi che influiranno sulla spesa sociale nei prossimi anni, sono destinati a “salvare” la moneta comune europea – come ci raccontano gli stessi governi – e rappresentano sacrifici necessari per evitare di scivolare nella condizione greca, ma altro non sono, in realtà, che l’effetto finanziario [destinato a ripercuotersi inevitabilmente e drammaticamente sul piano sociale] delle imposizioni della Classe Globale, la quale, in perfetta sintonia con le logiche di questo capitalismo, ricatta, si appropria delle risorse in via diretta o indiretta – comprese quelle delle manovre imposte ai governi, dovute a “Mercati” e “Investitori” – e modella la struttura monetaria e finanziaria del mondo o almeno di una parte significativa di esso, modificando di conseguenza anche la realtà economica e sociale.
I governi eseguono pedissequamente, come nel caso di quello italiano in carica, cercando di non toccare, o di toccare solo marginalmente, le aree di consenso elettorale ritenuto “sicuro”, le loro “riserve di caccia” locali [ad esempio la piccola evasione fiscale incarnata da bottegai e impresari] e contribuiscono a depauperare rapidamente, per questa via, assieme al resto della società lo stato stesso.
Se la politica ufficiale è sostanzialmente prona, davanti all’autorità dei “Mercati” e degli “Investitori” – da intendersi come riusciti mascheramenti della Global class – i subalterni, coloro che subiscono tali imposizioni depauperanti senza ricevere nulla in cambio che non sia precarietà e de-emancipazione, si rivelano sostanzialmente incapaci di esprime una reazione all’altezza della gravità della situazione, o addirittura non reagiscono.
Quanto precede non è dovuto esclusivamente al ventennale processo di flessibilizzazione/ precarizzazione di massa per la costruzione sociale dell’uomo precario, ma anche alla mancanza di alternative teoriche capaci di generare paradigmi alternativi, di suscitare un vero antagonismo e di legittimare una genuina opposizione politica.
Da molto tempo il discorso del “superamento del capitalismo”, che ha attraversato il Novecento e alimentato la speranza in milioni di uomini, è confinato quasi esclusivamente negli ambienti residuali del marxismo ortodosso, in cui si riproducono le sempre più deboli fiducie “anticamente” suscitate della teoria dei cinque stadi, o dal “crollismo” dello scorso secolo [teorie relative al crollo imminente del capitalismo] basato sostanzialmente su una teorica e sopraggiunta impossibilità dello sviluppo delle forze produttive da parte del capitalismo, che ne avrebbe compromesso la possibilità di perpetuarsi, od ancora, le fiducie alimentate da una sorta di generico “messianesimo residuale” perdente e senza sbocchi concreti, contrapposto a quello neoliberista ancora vincente nonostante la crisi in atto.
Si sta verificando, nel mondo marxista del crepuscolo sopravvissuto all’implosione dell’Unione Sovietica, quello che accadde agli ultimi ellenisti, i quali, diventati minoritari e sempre più ininfluenti nella società antica dominata ormai dal cristianesimo, si auto-illudevano sperando in una impossibile “inversione di marcia della storia”, che avrebbe consentito il ritorno ai culti tradizionali e al vecchio ordine.
Spiace constatare che anche chi è partito, nell’italica penisola, con la lodevole intenzione di “Ripensare Marx”, per cercare di costruire una nuova teoria anticapitalistica senza rinnegare le origini marxiste, ma salvando del pensiero originale di Marx ciò che può essere ancora utilizzato, è oggi diventato al più maxweberiano, se non fin troppo “geopolitico”, aderendo, di fatto, a dissennate e grottesche teorie che trasformano in ideologia la geopolitica [un certo euroasiatismo, ad esempio] e monitorando esclusivamente ”il Conflitto Strategico nel Nuovo Olimpo” fra gruppi di dominio della Classe Globale, in una sorta di evidente “avvitamento teorico”, o meglio in una caduta a vite che implica la sostanziale accettazione delle dinamiche del Capitalismo Transgenico finanziarizzato e del potere assoluto dei suoi agenti globalisti – non osando metterli in discussione, o peggio ancora, non comprendendoli nella loro più intima sostanza – e schierandosi, come tragicomica conseguenza, con i globalisti cinesi piuttosto che con quelli americani, con i russi di Putin piuttosto che con gli Stati Uniti, e via di questo passo.
Tornando a cose più serie, la stessa via alternativa mostrata al mondo dal “socialismo bolivariano” ed espressa dalle politiche di alcuni paesi appartenenti all’America Indio-Latina [in primo luogo il Venezuela], non rappresenta, nella realtà, un tentativo di costruire il nuovo, mancando con tutta evidenza anche le basi teoriche per poterlo fare, ma più semplicemente un uso coraggioso di vecchi strumenti [fra i quali le tanto esecrate nazionalizzazioni, che turbano il Libero Mercato] per poter resistere all’aggressione globalista e alla “penetrazione” del nuovo capitalismo finanziario.
Secondo la visione di Costanzo Preve, alla quale lo scrivente ha già da tempo aderito senza alcuna riserva, il capitalismo giungendo fino a noi ha attraversato tre “stadi“, con diretto riferimento alla filosofia di Hegel e, nello specifico, alla Tesi, all’Antitesi e alla Sintesi.
E’ bene descrivere sinteticamente questi tre stadi.
1) Nel primo stadio, che Preve ha chiamato “Astratto”, il capitalismo si impone come modo di produzione [sociale] dominante, per effetto di un grande cambiamento, avvenuto in Europa, che è in primo luogo culturale ed è maturato a partire dalla fine dell’Evo Medio, ha attraversato il Cinquecento, ed ha prodotto frutti “apprezzabili” nel diciassettesimo e nel diciottesimo secolo. Accumulazione e realizzazione sistematiche, estrazione del plusvalore, ossia del pluslavoro misurato dall’equivalente monetario universalmente accettato, irregimentazione delle masse nella fabbrica, rapida distruzione del tessuto sociale originario, eccetera, costituiscono altrettante caratteristiche note e macroscopiche di questo modo di produzione. Il capitalismo “delle origini” è squisitamente proprietario e borghese, ma già tende alla crescita dimensionale senza limiti e manifesta una sua “tara genetica”, la ricerca del più basso costo di produzione [si rilegga, a tale riguardo, la ferrea legge dei salari di David Ricardo]. La struttura sociale dominata dall’elemento borghese muta, con la scomparsa del vecchio popolo e la nascita del proletariato, ma non vi è ancora la piena manifestazione del conflitto di classe e dei suoi effetti, quale contraddizione di fondo.
La Tesi che si afferma.
2) Nel secondo stadio, quello “Dialettico”, si manifesta in piena luce la principale, arcinota, contraddizione capitalistica, che sintetizzeremo per brevità nella classica espressione della “lotta di classe” fra i dominanti e i subalterni, rappresentati, in una dicotomia sociale essenziale, dalle classi storiche capitalistiche della Borghesia e del Proletariato. Il capitalismo muta per effetto delle crisi periodiche e da proprietario e borghese, ad un certo punto e grazie anche alla crescita dimensionale, alla necessità di capitali sempre maggiori, all’ingestibilità della nuova complessità da parte di un solo individuo o di alcuni membri di uno specifico nucleo familiare, diventa “manageriale” [nascita della public company, dell’azionariato diffuso, della grande corporation e diminuzione dell’importanza del “padrone delle ferriere”]. La Proprietà, in non pochi casi, stacca i coupon, gode dei frutti dell’estorsione del plusvalore [che continua imperterrita], ma si allontana progressivamente dalla gestione. In questo stadio, il capitalismo mostra diversi modelli alternativi, fra i quali emerge, per effetto delle guerre mondiali che hanno sconvolto il Novecento, quello liberista anglo-americano e pur tuttavia attraversa, dopo il secondo conflitto mondiale, un breve, trentennale periodo di emancipazione dei subalterni, a scapito dei profitti privati, con il welfare, la promozione sociale, l’applicazione concreta di alcune politiche “dal volto umano”, la spesa pubblica mirata a migliorare le condizioni di vita di una fetta importante della popolazione. In queste scelte emancipatrici hanno pesato la diffusione delle teorie keynesiane e neokeynesiane, nonché la presenza e la “concorrenza” dell’alternativa sovietica, dietro la quale aleggiava pur sempre lo spettro della lotta di classe. Tutte le trasformazioni capitalistiche nello stadio “Dialettico” hanno risentito, naturalmente, degli effetti del confronto di classe fra Borghesia e Proletariato e della necessità, affinché il sistema si mantenesse, di limitare l’antagonismo sociale, anzi, di “assorbirlo” all’interno del sistema stesso e dei suoi immaginari.
L’Antitesi che si manifesta.
3) Nel terzo stadio, quello attuale, che Preve ha chiamato “Speculativo” dal latino speculum [specchio], il capitalismo “si guarda allo specchio”, si riconosce nella sua “pienezza”, raggiungendo il più alto grado di consapevolezza di sé – corrispondente al raggiungimento dell’autocoscienza hegeliana – e sembra non incontrare più limiti. Si realizza pienamente l’autofondazione dell’economia su se stessa, come compimento di un processo di profonda trasformazione culturale maturato dalla fine del Medioevo e giunto con i suoi effetti fino a noi, ed inizia rapidamente a cambiare, in profondità, la strutturazione sociale: Classe Globale e Classe Povera, in luogo di Borghesia e Proletariato. Si afferma un nuovo paradigma che sussume anche la “classica” estorsione marxiana del plusvalore: la Creazione del Valore di natura finanziaria, azionaria e borsistica che “tritura” uomini e apparati produttivi nel breve, senza alcun riguardo per la dimensione sociale e la stessa prospettiva di un futuro possibile per l’umanità tutta. Se nello stadio precedente la pianificazione, rivolta al futuro, ha avuto un ruolo e un senso, a partire dai contesti macro e micro economici, ora sembra che non ha più alcun ruolo e valore, ed anzi, rappresenta un ostacolo al conseguimento dei “target”, perché l’orizzonte è limitato al periodo breve o brevissimo, la qual cosa si riflette anche nella vita dei singoli individui, non soltanto nelle pure dinamiche aziendali, provocando guasti esistenziali irreparabili e “trasformazioni” indesiderabili [per i subalterni, naturalmente]. In questo stadio, che corrisponde al nostro presente, si inquadrano i grandi e drammatici temi della svalorizzazione del Lavoro umano, delle nuove alienazioni e della manipolazione culturale ed antropologica per la costruzione sociale dell’uomo precario.
La Sintesi finale del “Capitale Autocosciente”, ma non certo la fine della storia umana.
Queste definizioni, pur chiarissime, non sono propriamente “operative”, non intendono certo fornire i lineamenti per la costruzione di una nuova teoria economica, che spieghi nel dettaglio “tecnico”, internamente alle logiche sistemiche e fatalmente in loro dipendenza, le ragioni della caduta del PIL mondiale piuttosto che le ampie fluttuazioni dei prezzi delle materie prime [del petrolio] o i movimenti dei tassi di interesse verificatisi negli ultimi anni, con il conseguente superamento della cosiddetta teoria neoclassica/ neoliberista che giustifica “ideologicamente” e in realtà non spiega, ma fanno ben comprendere, ad un livello superiore di analisi, che oggi, in piena Sintesi, il capitalismo “Speculativo” autocosciente della propria illimitatezza richiede nuove chiavi di lettura [per essere efficacemente indagato e compreso], non certo racchiuse negli angusti spazi dell’economicismo o delle fuorvianti costruzioni teoriche accademiche pregresse.
Banalmente, per tale via si riesce a comprendere la ragione più profonda dell’incontrastata libertà di movimento dei capitali finanziari in uno spazio allargato, globale, nonché l’origine dell’apparente follia di una dimensione finanziaria autonomizzata ed intangibile, sottratta ad ogni efficace controllo, ad esclusivo beneficio dei grandi interessi privati espressi dalla Global class.
La visione previana dell’”evoluzione” del capitalismo dalle origini e fino ai giorni nostri – che si collega alla riscrittura della storia dell’Etica proposta da Preve – è certo il frutto dello “sguardo” dall’alto di un filosofo sociale e comunitario che non scende [né può farlo, partendo da certe altitudini, né gli si deve chiedere di farlo] nella pura contingenza del momento storico, nello specifico tecnico, nel dettaglio del “funzionamento dei Mercati” in questo presente o del “movimento dei tassi d’interesse”.
Ma tale visione ci spinge inevitabilmente ad una rapida archiviazione delle teorie liberista classica e neoliberista oggi praticate ed incensate, non soltanto perché costituiscono con tutta evidenza una legittimazione di natura ideologica di questo capitalismo, ma ancor più concretamente perché fallimentari in quello che dovrebbe rappresentare il loro ambito privilegiato d’indagine [l’ideologia di legittimazione è altra cosa …], non essendo in grado di spiegare neppure il contingente, le crisi che tutti avvertiamo e che si susseguono sempre più rapidamente, la loro vera origine, e non essendo in grado, come scontata conseguenza, di abbozzare soluzioni credibili e praticabili.
Adottando questo nuovo angolo visuale, si potrà procedere altresì ad un auspicabile ripensamento della stessa teoria storico-strutturale dei modi di produzione di Marx, necessariamente riduzionistica della complessità del reale perché basata sui ruoli sociali e non sulla persona umana in quanto tale ed escludente, di conseguenza, la complessità antropologica dell’uomo, teoria la quale costituisce uno dei maggiori capisaldi e meriti dell’opera del grande filosofo tedesco.
Intuiamo che la struttura di questo capitalismo non contiene soltanto i rapporti di produzione e lo sviluppo delle forze produttive, essendo l’ideologia di legittimazione un dato strutturale imprescindibile e il grande “esperimento” di manipolazione antropologico-culturale in atto – posto in essere al fine di plasmare l’Uomo Precario, incidendo nella “carne viva” per un adattamento dell’umano ai nuovi ruoli sociali – un processo indispensabile da portare a compimento, onde garantire la stessa riproducibilità sistemica nei decenni a venire.
Ciò che è servito a spiegare il passato, a demistificare, a far comprendere il funzionamento e gli effetti sociali del capitalismo del secondo millennio, nonché i suoi fondamenti, il suo stesso basamento strutturale, così com’è può non servire più a spiegare un presente ed un futuro qualitativamente diversi da quel passato.
* Da: pauperclass