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«DI CHE SCIENZA STIAMO PARLANDO?» – dibattito sulla crisi e sulla crisi degli economisti

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[ 30 luglio 2010 ]

Altro che “empirismo”!
DALLA CRISI TEORICA DEGLI ECONOMISTI ALLA CRISI ECONOMICA DEL CAPITALISMO. ANDATA E RITORNO
di Michele Fabiani*

In un recente articolo Moreno Pasquinelli si interroga intorno ad un quesito davvero interessante: è più grave la crisi economica del capitalismo o quella teorica degli economisti? In realtà una risposta Pasquinelli non ce la dà, anzi si limita semplice ad attaccare, con successo (ma va detto che l’impresa non era poi troppo difficile), la povertà per ora solo teorica degli economisti borghesi, riferendosi in particolare ad un intervento di Antonio Guarino su Il Sole 24 ore.


Neanche io ho una risposta al quesito, ma ho per così dire un’impressione forse mi si dirà irrazionale: la crisi teorica degli economisti è davvero colossale, quasi insuperabile.
Condivido quasi tutto ciò che scrive Pasquinelli, eccetto un dettaglio. Un dettaglio che potrà sembrare marginale, ma che – a mio avviso – se ben inquadrato ci apre un campo sterminato di riflessione e ci mette nella condizione di delineare delle ipotesi alternative, non solo alla crisi teorica e in generale alla teoria stessa delle classi dominanti, ma alla crisi economica e chissà forse al capitalismo stesso.
Per farla breve, Moreno Pasquinelli accusa Guarino e in generale il chiassoso e rissoso bordello teorico nel quale «centinaia di economisti, accademici o addirittura premi Nobel, disquisiscono da almeno tre anni sulle cause della crisi, sulle terapie per uscirne, nonché sull’efficacia delle misure poste in essere dai governi» di “empirismo”.

Un’accusa per la verità fuori luogo, nel senso che è “troppo generosa”, e che ci impedisce di costruire un’alternativa teorica adeguata.
Più che empirista l’economia finanziaria ha una impostazione tipicamente assiomatico-deduttiva. Secondo tale impostazione, tutte le proposizioni di una data scienza sono deducibili da un numero finito di assiomi, essi sono sempre veri e le loro necessarie conseguenze sempre valide. Nel campo dell’economia borghese dell’800 e della moderna economia finanziaria, tale concezione della scienza porta i suoi più esimi intellettuali (pensate quanto possano essere miseri gli altri!) a teorizzare la perfezione e l’eternità delle proprie leggi di produzione, la loro immutabilità, la loro meccanica applicazione, la riduzione dell’analisi teorica ad un mero calcolo algoritmico, a calcolare il proprio profitto unicamente derivandolo da quel calcolo e…all’abolizione della storia. Abolizione della storia che, se i Ricardo del XIX secolo vedevano come risultato del processo storico che magicamente si compiva nel capitalismo, per i teorici dell’economia finanziaria è rimozione della storia, è scienza senza storia, come se il mondo fosse sempre stato composto da “pinguini” che giocano in borsa, come se la storia non fosse mai esistita – appunto, è scienza assiomatica, è scienza dove dai principi si deducono le necessarie conseguenze, è scienza dove dai dati si deducono con la calcolatrice plusvalore e profitti, come se il tempo non esistesse. Altro che empirismo!    
Cari compagni, non dobbiamo farci ingannare dalla volgarità, dalla stupidità, dalla povertà morale e intellettuale di questi cialtroni che mettono la loro “pochezza” al servizio del potere economico e politico; piuttosto è proprio il fatto che da principi così grezzi e volgari loro pretendono di scrivere la “Scienza assoluta” che la dice lunga sulle loro baggianate.
Certo Guarino sul giornalaccio della Confindustria il 24 luglio definisce la “sua” scienza una disciplina dove ci sono «ricercatori che propongono nuove tecniche e altri che le sottopongono a verifica empirica». 
Ma non basta una mera petizione di principio per mistificare la reale struttura “scientifica” delle teorie dell’economia finanziaria. A meno che fare ipotesi non si riduca a “scommettere” su quale titolo guadagnerà e quale perderà – che più che il metodo ipotetico di Platone o di Galileo ci ricorda il metodo del Giocatore di Dostoevskij. Fare ipotesi a mio avviso significa delineare un mondo diverso dal mondo presente, con un’economia diversa, con un modo di produzione e distribuzione della ricchezza diverso, con una politica e un potere diverso, per non dire l’ipotizzare la fine stessa dell’economia e del potere politico. Ma questo non si può fare, guai, dice Guarino, altrimenti si esce dagli assiomi della scienza e si finisce nell’ideologia! Così ci ordina lo Spirito dell’Economia, nella sua contingente incarnazione nella redazione del Sole 24 ore!!!
Nell’accostare la povertà intellettuale di Guarino all’empirismo, forse Pasquinelli cade in un pregiudizio che è importante delineare, perché ci permette di elaborare nuovi strumenti costruttivi per l’elaborazione di una nuova scienza rivoluzionaria. Spesso si crede che il metodo ipotetico e l’empirismo siano legati alla povertà, alla materialità, alla goffaggine di una scienza. Non è affatto così, si pensi ad esempio a Platone. Anzi, a volte è vero il contrario, cioè chi pretende che le propria scienza sia eterna, perfetta e insuperabile è colui che per primo costruisce tale scienza su dei principi gretti e superficiali. Si pensi ad esempio a Guarino.
C’è un campo delle scienze che proprio Guarino cita e che ci spiega meglio di qualunque altro ciò che sto cercando di dire: la biologia. Guarino cita la biologia come esempio di una scienza in cui non esiste la storia, e che l’economia dovrebbe imitare. Sempre nello stesso articolo sul quotidiano dei padroni Guarino, in input di orgogliosa ignoranza, scrive: «leggere La Teoria generale di Keynes non serve a niente: un chimico o un biologo non consultano libri di 200 anni fa». Infatti, come nota Pasquinelli, Guarino non avendo letto questa robaccia, confonde Marx e Keynes, confonde chi vuole dare carburante al sistema e rimprovera il rigore depressivo delle politiche governative e chi lo vuole distruggere il sistema. Beata ignoranza! 
Ma torniamo alla biologia, dove ci sono scienziati veri e ricercatori geniali, e non quella massa di elegiaci del capitalismo (loro si che fanno ideologia!) che produce la scienza economica. Ad esempio, le teorie dell’evoluzione ci insegnano, come dicevamo, che l’empirismo e l’induzione sono capacità astrattive e non attività rozze e superficiali della mente: la biologia ci mostra come gli organismi più semplici e meno evoluti – un po’ come gli economisti borghesi dei nostri giorni, per capirci – si limitano a fare delle mere deduzioni, applicando meccanicamente quegli input che la natura ha predisposto loro; gli organismi più complessi invece, hanno una rappresentazione del mondo e dall’osservazione empirica della realtà riescono a fare delle induzioni e delle ipotesi che, se verificate, permettono loro di sopravvivere; ovviamente anche gli organismi più semplici fanno induzioni e formulano ipotesi, si pensi ad un batterio che si muove nello spazio e reagisce diversamente con la luce del sole o alla presenza di qualche pericolo, ma tali movimenti sono stereotipati e non c’è spazio, se non nel corso di migliaia di anni e tramite la selezione naturale, per ipotesi alternative. 
Certo va detto che gli economisti del Sole 24 ore, a differenza dei batteri meno sviluppati, scrivono teorie in cui si sostiene, come in quelle di Guarino, che bisogna evitare di leggere i libri di 200 anni fa; questo avviene perché l’induzione e il metodo ipotetico hanno permesso con il loro sviluppo una enorme capacità astrattiva. Però a forza di non leggere, non è detto che i nostri economisti teorici non riescano ad innescare un processo di involuzione al livello degli organismi più semplici.       
Per quanto riguarda poi l’affermazione che i biologi non leggono i libri del passato, non hanno scuole di partito, non seguono filosofie ed ideologie politiche nelle loro ricerche basterebbe citare il metodo ipotetico di Ippocrate, le catalogazioni zoologiche di Aristotele o in generale i libri e talvolta gli scienziati stessi finiti al rogo nel medioevo perché sostenevano tesi contrarie a quelle dell’ideologia politica e religiosa dominante. Ma questo non interessa agli economisti moderni, perché loro non leggono libri di 200 anni fa. Se c’è qualcuno che lo fa, questo avviene perché è un marxista e va curato tramite le colonne economiche di Repubblica o del Sole 24 ore
Prendiamo quindi un tema profondamente attuale della biologia, ovvero il dibattito che da trenta anni sta interessando quell’incredibile intreccio culturale che va delle neuroscienze, alla filosofia, alle scienze cognitive, alle ricerche di intelligenza artificiale, ecc. Guarino salterà sulla sedia nell’apprenderlo, ma anche in questo campo delle scienze biologiche ci sono (forse la colpa è delle contaminazioni di quei cattivoni dei filosofi!) delle scuole e delle correnti. Una di queste scuole faceva capo al funzionalismo o alla cosiddetta “concezione computazionale della mente”. Secondo questo “partito” la mente è una mera macchina che svolge delle computazioni di rappresentazioni. Cosa sono le rappresentazioni? Nulla, secondo questa scuola di pensiero. Esse hanno un significato solo nel rapporto funzionale l’una con l’altra, altrimenti sono vuote. Ora questa scuola di pensiero è stata superata da un’altra scuola, quella delle cosiddette “reti neurali”. Le principali criticità di questa scuola stavano nel fatto che, nel momento in cui si cercava di costruire delle simulazioni intelligenti, a questi robot manca la capacità di fare ipotesi e di imparare dall’esperienza.
Perdonate le divagazioni. 
Finalmente sono in grado di esibire la mia tesi conclusiva: la crisi teorica degli economisti dipende dal fatto che l’economia finanziaria non è ancora uscita dal funzionalismo. La finanza è fondata essa stessa sul funzionalismo, anzi la finanza è il momento funzionalista dell’economia. Superare il funzionalismo significa abolire la finanza, superare il funzionalismo significa mandare a lavorare i “pinguini” che tutte le mattine si mettono lo smoking e vanno a giocare in borsa. La struttura della finanza è infatti una caotica quanto virtuale spirale di computazioni, di titoli scritti sullo schermo di un computer o stampati sul pezzo di carta di cui è proprietario l’azionista, quei titoli non sono delle cose, non hanno dentro la fatica di qualcuno, il suo sudore, quei titoli non sono nulla, sono rappresentazioni di ricchezza. Ma in quanto rappresentazioni di ricchezza essi non sono nulla. Le rappresentazioni hanno senso solo in relazione funzionale con le altre, altrimenti non rappresentano un cazzo. Quei titoli hanno senso solo se venduti, se scambiati, se calcolati nel meccanismo deduttivo e computazione della finanza. 
Purtroppo, non solo la crisi teorica degli economisti dipende dal funzionalismo e non solo non vi sono alternative concrete a tale crisi, ma anche molti compagni non dogmatici che hanno coraggiosamente abbandonato l’ipse dixit dei loro Maestri, sono poi caduti in questa visione drogata della realtà. E’ il caso ad esempio di Toni Negri e dei teorici del cosiddetto capitalismo cognitivo. Non ci possiamo ora soffermare nei dettagli su questa scuola, ma basti pensare che una delle sue principali richieste politiche è il reddito garantito per tutti. Questi compagni credono alle balle funzionaliste e computazionali della finanza, credono anche loro che il denaro nasca dal nulla, che piova giù dal cielo e che se ci sono delle persone più ricche e delle persone più povere è perché i ricchi hanno delle vasche più grandi per raccogliere questa “ricchezza piovana” e che la sola cosa da fare sia garantire un minimo garantito per tutti. Invece il “denaro piovano” non è prodotto magicamente dal processo cognitivo della finanza, non è prodotto magicamente dalla sue computazioni e dalle sue deduzioni, quel “denaro piovano” è sporco del sangue dei bambini indiani che cuciono le scarpe 14 ore al giorno. E’ perché ci solo quei bambini sfruttati che ci sono delle merci, è perché ci sono delle merci che ci sono dei titoli che ne rappresentano il “valore”e non è viceversa lo scambio funzionale di quei titoli su lo schermo di un computer che crea ricchezza.
Come direbbe il filosofo anarchico Walter Benjamin, secondo la concezione borghese della lingua le parole sono mere etichette, non hanno un significato spirituale dietro. O come direbbe Marx, le merci sono feticci, sono cose magiche, pezzi di carta che possono essere scambiati e solo scambiandoli ci si arricchisce. Invece il significato spirituale, il feticcio di quelle scritte che scorrono sugli schermi delle borse e che hanno rimbecillito gli economisti borghesi e la sinistra alienata da Facebook, sono prodotti di sangue e sfruttamento.  
Ma gli editori del Sole 24 ore o dell’Espresso queste cose non le sanno. Sono delle persone che hanno dei titoli in tasca e che con quei pezzi di carta ogni anno gli arrivano degli interessi per vivere, e pure di lusso. Eccola la loro debolezza teorica, è una debolezza antropologica. Sono schiavi, loro e i loro oppositori “cognitivisti”, di un mondo virtuale fatto di titoli e di computazioni; mentre il mondo reale è fatto di guerre e sfruttamento. 
 
* Michele Fabiani, giovane e altrettanto noto esponente del movimento anarchico umbro. Salì alla ribalta delle cronache dopo essere arrestato il 23 ottobre 2007 , insieme ad altri 4 compagni di Spoleto, attivi nel movimento anticapitalista della città, con l’accusa di far parte di una cellula anarco-insurezionalista.  Attualmente è in fase di svolgimento il processo a suo carico.



3 pensieri su “«DI CHE SCIENZA STIAMO PARLANDO?» – dibattito sulla crisi e sulla crisi degli economisti”

  1. Anonimo dice:

    Inutile, autoreferenziale, eclettico, infantile e anche un po' presuntuoso

  2. Anonimo dice:

    A me pare invece interessante, sia per la critica alla finanza algoritmica sia ai sui oppositori virtuali e come dicono loro cognitivisti.Un po' troppo empirista. Consiglierei la critica agli empiro-criticisti di Lenin.

  3. simone dice:

    Bell'articolo. Articolato, chiaro, ben argomentato, dunque utile.

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