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Pomigliano: la relazione di Mara Malavenda (Slai Cobas)

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[ 06 luglio 2010 ]

Dal No di Pomigliano al rifiuto della collaborazione sindacale coi padroni e governi
di Mara Malavenda
Pubblichiamo il testo della relazione introduttiva di Mara Malavenda all’assemblea nazionale svoltasi il 3 luglio all’Hotel Ramada (Napoli). La giustezza di gran parte delle critiche ai sindacati e alla FIOM, non toglie nulla ai nostri dubbi sia sull’approccio settario assunto dallo Slai verso la Fiom, che sull’analisi trionfalistica che vien fatta del referendum. L’ottimo risultato ottenuto dal NO non cambia la sostanza che il movimento dei lavoratori è debole e rimane sulla difensiva.

In un clima di intimidazione che ci ricorda il periodo fascista e la Fiat di Valletta, il 22 giugno scorso, mentre ai cancelli si teneva un presidio con delegazioni delle fabbriche Fiat dei sindacati di base, in fabbrica gli operai con lo Slai cobas, “da soli e contro tutti” hanno messo in moto, organizzato e dato immediata credibilitaà al fronte del NO rompendo l’isolamento nei reparti dove erano i capisquadra a fare le assemblee al posto dei sindacati che hanno da tempo abdicato al proprio ruolo. Lo stesso giorno, dopo gli scioperi e le mobilitazioni operaie delle fabbriche Fiat nei principali stabilimenti, i lavoratori dell’Alfa di Arese, con lo Slai cobas, bloccavano le portinerie contro il ‘piano Marchionne’. 
La scelta tattica dello Slai cobas di “scendere in campo” all’ultimo momento è stata presa per “sorprendere e spiazzare” quanti, assieme alla Fiat, si apprestavano a gestire un referendum- truffa organizzato senza alcuna opposizione in fabbrica e alcun controllo ai seggi, da concludersi con un Si plebiscitario con schede false infilate nelle urne da sindacati complici come fecero FIOM-FIM-UIL nel referendum-truffa dell’87 che consentì la svendita del gruppo Alfa Romeo alla Fiat  fatta all’epoca dal governo Craxi con Prodi  presidente dell’Iri.

Il 22 giugno abbiamo tutelato e rappresentato anche gli iscritti della Fiom scaricati dal proprio sindacato che ha scelto un’ambigua “latitanza referendaria”, non presentandosi in commissione elettorale, non designando scrutatori, dichiarando illegittimo il referendum ma invitando i lavoratori a recarsi a votare per …“evitare rappresaglie aziendali”. E ciò senza avere nemmeno il coraggio di pronunciarsi per il NO. In sintonia con  la campagna di “terrore e ricatto” voluta dalla Fiat e auspicato dall’asse  Marchionne-Bersani-Berlusconi e  CGIL-CISL-UIL, nel tentativo di imporre, direttamente all’interno dei rapporti di produzione, la controriforma eversiva del diritto del lavoro e delle libertà sindacali e la messa in moderna schiavitù dei lavoratori. L’ultima volta ci provarono per l’appunto Valletta e Mussolini!
La Fiom avrebbe potuto bloccare il referendum  impugnando l’accordo interconfederale del
20/12/93, ed il regolamento unitario del 21/9/93 (firmati da Cgil-Cisl-Uil ed assunti da Fiom- Fim-Uilm): quest’ultimo, all’art. 15, comma 2, prevede che …”le operazioni di voto dovranno essere effettuate dopo almeno 15 giorni dalla indizione e non oltre 21 giorni dalla stessa”… e, quindi, non certo entro i 2 giorni pretesi da Marchionne!
Possiamo capire Uilm e Fim, ma non Landini che balbettava la illegittimità del referendum ma si guardava bene dall’impugnarlo e si rendeva immediatamente disponibile a trattare sulla “melfizzazione in peggio” ed il collegato peggioramento lavorativo e sociale della condizione operaia.

E’ utile ricordare che il giorno del voto la Fiat pretendeva il “trionfalistico” risultato dei SI
all’85% appoggiata dal coro dei sindacati confederali che prevedevano il NO al 5%,  mentre
praticamente “tutti”  – dall’estrema sinistra alla destra passando per il centro –  davano per
scontata comunque una grossa affermazione dei Si pari alle pretese della Fiat.
La tendenza, anche a “sinistra” di dare per scontato un plebiscito di SI, non ha certo aiutato i
lavoratori né lo Slai cobas. Eppure, senza un evidente sbilanciamento a rimorchio del pensiero “dominante” della cosiddetta “sinistra sindacale”, non ci voleva molto a “vedere” le difficoltà incontrate in fabbrica, e non solo, dal cosiddetto ‘piano Marchionne’.
Basta ricordare il repentino ritiro della Fiat del vergognoso spot  di “fabbrica Italia” dopo la
lettera scritta a sua figlia Mayra da Anna Solimeno, la mamma operaia dello Slai cobas.
Basta ricordare il misero fallimento della fantozziana fiaccolata organizzata dalla Fiat.
Basta ricordare le assemblee del 20 maggio scorso del 2° turno (il primo era in cassa
integrazione) dove i 1.500 lavoratori presenti e senza alcuna paura approvano con voto palese
e per alzata di mano (nessun contrario, nessun astenuto) la mozione presentata da Luigi Aprea
dello Slai cobas e bocciavano l’irricevibile proposta Fiat ritirando il mandato a trattare ai
sindacati confederali. A quegli stessi FIOM-FIM-UILM-FISMIC che, per non creare problemi
alla Fiat, fecero di tutto per censurare l’esito delle assemblee sui media compiacenti!
E’ evidente che “erano in parecchi” quelli che speravano di “salvare la faccia” usando il
referendum per addossare ai lavoratori le gravi responsabilità di differenziate scelte sindacali
tutte comunque accomunate da strategie di cedimento, svendita e disarmo. 
Facile profezia è stata la previsione del NO al 40%. Questo considerato la “necessità” di
impostare a “blitz”, giusto nel giorno del voto, la campagna del NO! Era l’unico modo di
coglierli di sorpresa e impedire la programmazione dei brogli. In caso contrario sarebbe stato
possibile l’affermazione del NO al 70%! Questo se non ci fossero stati sindacati
doppiogiochisti e formazioni politiche oggi allo sbando che finiscono col trasmettere più una
pericolosa ed inquietante confusione nel movimento che chiarezza di analisi e  strategia.
Queste pericolose ambiguità presenti nel cosiddetto “movimento” nei giorni scorsi ci hanno
fatto rischiare grosso, specie se avessimo inseguito, come in tanti chiedevano, la proposta della
Fiom di finto boicottaggio del referendum.
E’ proprio in un simile contesto “reggicodista” che si consumò la beffa referendaria che nel
1995 portò alla disastrosa approvazione dell’abrogazione parziale dell’art. 19 dello Statuto dei
Lavoratori, che passò con uno scarto di soli 13.000 voti a fronte di 25 milioni di voti validi.
Il risultato del referendum fu frutto di brogli elettorali. Brogli consentiti dal comportamento
inquinante della cosiddetta “sinistra” Fiom-CGIL, di Rifondazione Comunista, gruppi e
gruppetti collegati e qualche sindacato di base, che organizzarono la raccolta di firme anche sul
quesito parziale, di fatto contrapposto a quello totale per l’abrogazione secca dell’intero art. 19.
Ciò vanificò la pur notevole iniziativa dei lavoratori che forti di quella che all’epoca passò alle
cronache come la “stagione dei bulloni”, si ponevano l’obiettivo di abbattere una norma
liberticida che imponeva il monopolio di CGIL-CISL-UIL e precludeva (e ancora preclude)
ogni possibilità di democrazia per i lavoratori stessi.
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E’ dall’insieme di tali vicende che deriva il restringimento della democrazia nei luoghi di
lavoro e nella società con la rappresentanza sindacale consegnata al  riconoscimento datoriale
con la firma dei contratti bidone.
E oggi più che mai la questione sindacale diventa una vera e propria “emergenza democratica e
politica” in ogni posto di lavoro, sia pubblico che privato, perché l’attacco alla democrazia
sindacale è uno dei principali strumenti usati dal padronato, e dai vari governi che si sono
succeduti, per impedire ai lavoratori ogni idonea difesa.
Alla luce dei fatti possiamo in sostanza ben dire che i sindacati confederali  – e molte delle
collegate forze che si autodefiniscono “radicali, antagoniste o  di movimento” –  hanno svolto
in questi anni un oggettivo ruolo di “cavalli di Troia” tra i lavoratori indipendentemente dalla
loro buona o mala fede… E questo oggi, in molti, continuano a fare!
E’ dovuta alla consapevolezza di ciò la sconfitta politica – e in questo senso anche “mediatica”
– prima che sindacale, delle trame neofasciste di Marchionne e dei suoi complici. E non è stata
frutto del caso, né di un indefinito “spontaneismo operaio” con cui, tutti, oggi, vorrebbero
“cingersi al testa”.
E se l’esito di una lotta è dato dalla posta in gioco, la grande lezione che hanno dato i
lavoratori dell’Alfasud va ben oltre la pur momentanea sconfitta della Fiat: per capire i termini
della questione basterebbe pensare a cosa sarebbe accaduto a Pomigliano, in Italia e in Europa,
se fosse passato il ‘piano Marchionne’ con la resa incondizionata dei lavoratori.
Lo scorso 22 giugno abbiamo dimostrato l’insostituibile ruolo dei sindacati di base capaci di
ridare “forza e voce” ai lavoratori, infliggendo un duro colpo alla filosofia generale contenuta
nel ‘piano Marchionne’ e ponendo una importante premessa e direzione di marcia per la ripresa
delle lotte.
Tutto ciò “rischiara” una fase che, tra l’altro, scontava l’evidente difficoltà strategica delle lotte
di resistenza dei lavoratori e di quelle sociali, che anche se forti e destinate ad allargarsi sotto i
colpi della crisi, sembravano non bastare ad impedire quel “ritorno al medioevo” in cui la
devastante controffensiva globale del capitale e l’involuzione a destra dell’intero quadro
politico volevano precipitarci.
Lo scorso settembre, nell’assemblea tenuta proprio in questo luogo ed indetta da Slai cobas ed
RdB, lo avevamo affermato: “con l’appoggio ai licenziamenti politici del 2006 e ai reparti
confino, col sequestro del voto delle RSU concertato con la Fiat in funzione del ‘piano
Marchionne’, FIOM-FIM-UILM a Pomigliano stanno scrivendo una delle pagine più nere
della storia sindacale”! E’ su questa scia che Brunetta ed i sindacati collaborazionisti hanno
deciso il rinvio “per legge” delle elezioni anche nel pubblico impiego incluse quelle per la
scuola già scadute dal 2009.
Come ieri Prodi, oggi Berlusconi, la Confindustria e l’insieme dei poteri economici e finanziari
predicano la necessità dei drastici sacrifici e della solidarietà tra chi sfrutta e chi è sfruttato per
“superare la crisi” nella speranza di indurre i lavoratori a rassegnarsi alla pretesa ineluttabilità
della politiche di lacrime, sangue e macelleria sociale con cui intendono, in sopraggiunta,
realizzare una sconfitta “epocale” dell’intero movimento di lotta dei lavoratori.
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Una controriforma classista che oggi, con lo spauracchio della crisi, rilancia ed attualizza la
filosofia della “strategia dell’EUR”, varata dalla CGIL nel 1977 (con 33 di anticipo su
Berlusconi) per la “trasformazione dei diritti dei lavoratori, della democrazia e del dettato
costituzionale in variabile dipendente dalle prevalenti necessità dell’impresa”.
Ma non è infatti questo che Marchionne voleva imporre a Pomigliano? Non è forse questa la
filosofia delle modifiche costituzionali previste da Berlusconi?
Viene da lontano l’internità di questo sindacato alle passate, presenti  e rinnovate logiche di
sfruttamento e dominio capitalistico sulla forza lavoro e sull’intera società, come il suo ruolo
di finta opposizione per il controllo, il travisamento ed il disarmo del conflitto sociale.
La collegata e cosiddetta sinistra sindacale non è avulsa da una quantomeno oggettiva
funzionalità a questo disegno.
Sono  molteplici le responsabilità che in questi anni stavano portando allo sfascio il movimento
operaio e dei lavoratori in generale!
Ma come fa la FIOM , ad esempio, a parlare di democrazia e diritti a Pomigliano ed accettare i
reparti confino mentre continua ad impedire, insieme alla FIM ed alla UILM, la rielezione
delle RSU scadute da oltre un anno? A parlare di democrazia e diritti e presentare una legge di
iniziativa popolare sulla rappresentanza sindacale scritta sotto evidente dettatura della Fiat?
Ma come fa a “respingere” il ricatto-Fiat accettandone la sostanza con la richiesta di applicare
il contratto nazionale del gennaio 2006 dove FIOM-FIM-UILM sancirono la totale “flessibilità
del rapporto di lavoro, dei turni e degli orari, dello straordinario, la sottomissione per 5 anni
dei nuovi assunti alle forche caudine dei contratti precari, la fruizione dei permessi personali
retribuiti con l’obbligo di prenotarli 15 giorni prima e vincolati tra l’altro alle percentuali di
assenteismo non superiori al 5% complessivo, l’orario plurisettimanale con lo sfondamento
della 40 ore, l’utilizzo degli stessi permessi retribuiti per l’istituzione di turnazioni aggiuntive
funzionali ai 18 turni e la deroga alle normative legali”?
Come dimenticare proprio la straordinaria ribellione operaia contro il contratto messa in atto il
14 febbraio 2006, in tutti i turni di lavoro,  da 4.000 lavoratori dell’Alfa di Pomigliano che, a
muso duro, a volto scoperto e con lo Slai cobas, respinsero al mittente l’infame contratto,
zittirono i sindacalisti confederali, e votarono ancora una volta unanimi, con voto palese e per
alzata di mano (nessun contrario- nessun astenuto) la mozione dello Slai cobas nelle
assemblee?
Come dimenticare il licenziamento di 8 operai dello Slai cobas dove il mandante fu Rinaldini
con un comunicato servilmente riportato il giorno dopo  da “il Manifesto”.
E non fu certo per caso che, mentre la Fiat procedeva spedita nel piano di ‘normalizzazione
antioperaia’ mettendo a punto i corsi di ‘formazione disciplinare’ e le liste di proscrizione dei
lavoratori da avviare al reparto-confino di Nola, ancora Rinaldini plaudiva Marchionne
definendone il ‘piano’ come… ”una innovazione da seguire, una sfida positiva”.
E ai nuovi scioperi contro la ‘disciplina da caserma’ seguì l’ennesimo tentativo di
licenziamento (3 operai dello Slai cobas, 2 della Fiom e qualcuno addirittura della Fim), poi  il
trasferimento al ‘confino’ di Nola di oltre 300 lavoratori di cui la metà con ridotta capacità
lavorative per patologie professionali, oltre 100 iscritti al solo Slai cobas,  e qualche decina tra
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tutti gli iscritti ai sindacati confederali compresa la Fiom che non a caso ancora oggi si guarda
bene dal denunciare che, tra le nefandezze del ‘piano Marchionne’, è previsto il rilancio e l’uso
strutturale e massiccio in chiave antisindacale dei reparti-confino!
E’ evidente che, Landini (come allora Rinaldini) fa finta di non sapere che, al punto 12 del
‘lodo Marchionne’…”si conferma la missione del Polo Logistico di Nola”… e si prevedono
“nuovi trasferimenti di  personale dalla sede di Pomigliano d’arco”.
Appena il 7 aprile scorso la Fiat incassava la firma di FIOM-FIM-UILM all’ulteriore taglio
occupazionale per 500 addetti collocati in mobilità che si aggiungevano al licenziamento di
200 lavoratori precari: ma che credibilità può avere un ‘piano di sviluppo produttivo’ che
comincia col licenziamento di 700 lavoratori?! 
Se per la produzione delle Panda è sufficiente il 25% degli addetti impegnati per quella delle
Alfa Romeo la produzione si potrebbe realizzare negli attuali 2 turni su 5 giorni settimanali. Se
tutti sappiamo che oggi, in tempo di crisi strutturale, è impossibile prevedere le future richieste
di mercato negli anni a venire, come si può dare credibilità  alle 270 mila Panda all’anno
previste dalla Fiat per il …2015?!  E’ facile dedurre che questa “cifra” è semplicemente una
mera invenzione “politica ad uso mediatico” della Fiat, come ben sanno tutti, forze politiche,
istituzionali, partitiche e sindacali… E  tutti fanno finta di non sapere!
Ci sarebbe piaciuto che fosse stato qualche sindacato confederale, o qualche ‘giornalista
d’assalto’ a rendere evidenti queste inconciliabili contraddizioni. Purtroppo è la stessa Fiat a
smentirsi da sola col ‘piano Marchionne’ prevedendo, nero su bianco, nuova cassa integrazione
a tutto il 2012 e poi il totale disimpegno produttivo con la postilla: ”fatti salvi eventuali
slittamenti dell’avvio produttivo dovuti alla complessiva situazione economica internazionale
e/o alle condizioni di mercato”.
Come non vedere che il ‘piano Fiat’ per Pomigliano consiste semplicemente nella scelta di
saturare al massimo impianti e lavoratori per farli lavorare ancora meno giorni all’anno, per
garantirsi la flessibilità produttiva per qualunque produzione scelga,  ed il previsto
ridimensionamento occupazionale (proprio come già fatto ad Arese)…  e per il resto ci pensa
lo Stato con la cassa integrazione.
Ma come dare credibilità e copertura politica e sindacale ad un’azienda che già ‘stanziò’ per
Pomigliano 2 miliardi e mezzo di euro, nell’ordine di mezzo miliardo all’anno per il
quinquennio 2003/2007, “per garantire la missione produttiva della gamma Alfa con iniziative
finalizzate a ricerca, sviluppo, innovazione ed ingegnerizzazione delle nuove produzioni”
previste dagli accordi sindacali firmati da FIOM-FIM-UILM il 24 aprile del 2003 all’Unione
Industriali di Napoli?
Qualcuno ha oggi il coraggio e la dignità di chiedere conto alla Fiat dei multimiliardari
finanziamenti pubblici erogatigli negli ultimi 30 anni dalla compiacenti istituzioni locali e
nazionali e dalla comunità europea? Noi si!
Qualcuno ha il coraggio e la dignità di chiedere chi si è messo in tasca i soldi dei finanziamenti
pubblici (quali politici, quali sindacalisti, quali faccendieri, quali partiti) ricevuti dalla Fiat, per
fare investimenti mai fatti, utilizzati per chiudere le fabbriche in Italia e delocalizzare la
produzione all’estero? Soldi in parte esportati nei tesoretti della Famiglia Agnelli nei paradisi
fiscali all’estero? Noi si!
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Sappiamo che negli ultimi 30 anni la Fiat ha ricevuto dallo Stato ben 500 miliardi di euro di
finanziamenti pubblici (cinque volte quanto ricevuto dalla Grecia dalla comunità europea).  Ma
qualcuno ipotizza e verifica l’ipotesi di “truffa continuata” ai danni dello Stato”? Noi lo
faremo!
Ma qualcuno può oggi pensare che, dopo tutto questo, la Fiat può veramente chiudere
Pomigliano, dopo aver smantellato l’alfa di Arese, chiuso Termini Imerese, smantellato
impianti dappertutto e   delocalizzato all’estero? Nascerebbero grossi guai politici, sindacali,
sociali e giudiziari, nonché di ordine pubblico, per Marchionne e tutti i suoi complici! E la Fiat
lo questo lo sa bene!
Ma non è bastata la lezione degli operai polacchi della Fiat che, dopo essere entrati in
schiavitù, vedono messo a rischio il loro posto di lavoro? Chi si fa pecora il lupo lo mangia: è
questo l’insegnamento internazionalista che abbiamo voluto dare come operai della Fiat di
Pomigliano a quelli del Brasile, del Messico, degli Usa, della Serbia e della Turchia. E’
innanzitutto  questa la risposta di fatto che abbiamo voluto dare alla lettera inviataci dagli
operai Fiat delle Polonia: se alziamo la testa possiamo farcela anche se sembra impossibile.
Senza entrare in concorrenza tra noi e mantenendo tutti il nostro lavoro, i nostri diritti e la
nostra dignità!
Intanto non staremo fermi perché è nostra precisa volontà riportare in fabbrica la democrazia,
dire basta alla vergogna dei reparti-confino, e “annullare ed archiviare” definitivamente il
reazionario ‘piano Marchionne’ mettendo nell’angolo chi lo sostiene.
– Abbiamo già avviato in questi  giorni  l’iter  giudiziario per  l’annullamento
dell’accordo-capestro che contrasta con diritti superiori a quelli contrattuali”.
– Abbiamo già dato mandato al nostro ufficio legale per denunciare FIOM-FIM-UILM
per il sequestro da oltre un anno del diritto dei lavoratori di Pomigliano  a scegliere col
voto le proprie rappresentanze sindacali di fabbrica.
– Abbiamo già indetto  scioperi contro lo straordinario, e li faremo, e sfidiamo fin d’ora la
Fiat a farci gli annunciati provvedimenti disciplinari.
Le manifestazioni nazionali e gli scioperi indetti dall’USB, le mobilitazioni di questi giorni
nelle fabbriche Fiat, la mazzata assestata nei giorni scorsi a Marchionne dagli operai e dallo
Slai cobas a Pomigliano, rappresentano quella “alterità di classe” oggi indispensabile
all’orientamento ed allo sviluppo della mobilitazione e delle lotte di tutti i lavoratori, sia privati
che pubblici, precari o immigrati. 
Vogliamo avviare, con quest’assemblea, una difficile ma necessaria prospettiva per un percorso
proiettato oltre il pur valido bisogno “tattico, immediato e difensivo” che ci accomuna nella
necessità di far fronte al violento attacco padronale. Questo perché pensiamo che (proprio a
partire dalla forte solidarietà unitaria e militante portata dal sindacalismo di base e dalle
delegazioni delle fabbriche Fiat ai cancelli della fabbrica lo scorso 22 giugno, e  dalla “valenza
generale e per tutti” del risultato ottenuto) nessuna organizzazione dei lavoratori che si dica
orientata a logiche di classe  oggi “può e deve sottrarsi” alla delineazione di una prospettiva di
autonomia politica e di classe, non solo economica, dei lavoratori e del proletariato.

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