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L’APPELLO DI DE MAGISTRIS PER UNA NUOVA LOTTA DI CLASSE

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[ 29 agosto 2010 ]

Contro l’Italia SpA
di Luigi De Magistris
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo recentissimo Appello di De Magistris. Quattro i  limiti del suo discorso: (1) non coglie il carattere storico-sistemico della crisi; (2) evita dunque anche solo di evocare la fuoriuscitra dal capitalismo; (3) vede solo la metastasi del berlusconismo; (4) non vuole riconoscere che l’alternativa implica la rottura radicale col centro-sinistra e il PD. Tuttavia il suo Appello va nella direzione di quello che noi abbiamo chiamato «FRONTE DEL RIFIUTO».

«La nuova lotta di classe, ovviamente pacifica, deve essere dura, senza sconti. E’ il momento che il popolo, non quello evocato strumentalmente dal neofascista Berlusconi o dal peones Bossi, ma quello che soffre e che non gode dei privilegi, si ribelli, faccia sentire la sua voce, forte e chiara. Si riappropri delle comunità, dei territori violentati. Si convinca che può essere protagonista del proprio destino. Mettiamoci tutti in movimento, come il popolo del quarto stato, quali soggetti politici e pensanti, per far valere diritti e democrazia».   
Nel nostro Paese da alcuni anni e negli ultimi mesi in particolare è in fase di definitiva attuazione un disegno strategico autoritario, di impronta piduista, teso all’introduzione del fascismo del terzo millennio. 
Verticalizzazione e concentrazione del potere nelle mani di una singola persona, con pieni poteri, circondata da sodali servili, imbottito di denari e protetto dalle organizzazioni criminali. Asservimento al capo degli organi di garanzia. Sottomissione della magistratura al potere politico, controllo capillare dei mezzi di comunicazione. Al fine di consolidare il neo-autoritarismo populista si attua la criminalizzazione di ogni forma di dissenso, con la distruzione di ogni luogo in un cui si possa formare il pensiero libero. 
Rendere l’Italia una grande SPA, in modo da rafforzare il liberismo senza regole e consentire la vendita di ogni cosa – compresa l’identità della nazione – che sia suscettibile di valutazione economica. Acqua spa, protezione civile spa, difesa spa, sicurezza spa, giustizia spa, patrimonio culturale spa, ambiente spa. In definitiva, la privatizzazione della democrazia e il dissolvimento dell’etica pubblica. 
La propaganda di regime di Scodinzolini & C. serve per nascondere i fatti ed esaltare il sub-modello neo-fascista anche in vista della normalizzazione post-berlusconiana. Accanto al massacro dello stato di diritto è in atto, con la colpevole sottovalutazione di parte significativa del centro-sinistra e di settori rilevanti del sindacato, lo smantellamento dello stato sociale di diritto per mutare i rapporti tra capitale e lavoro, in favore del primo, ovviamente. 
Distruzione dello statuto dei lavoratori, attraverso l’eliminazione della norma simbolo dell’art. 18. Riduzione del diritto di sciopero. Repressione della manifestazione del pensiero all’interno delle fabbriche. Consolidamento del precariato, in violazione dell’art. 1 della Costituzione, come regola ordinaria dei rapporti tra capitale e lavoro. Il ricatto ai lavoratori: il lavoro non è un diritto, ma una concessione del potere, come tale condizionabile e revocabile. 
Lavoro in cambio di compressione dei diritti, come un baratto. L’utilizzo dell’immigrato non-persona in maniera servente agli interessi del capitale: un corpo da sfruttare fino a quando utile, poi scarto sociale da smaltire, magari nelle discariche sociali delle carceri in quanto l’immigrato è criminale perchè clandestino e non autore di reati. 
I neofascisti hanno rispolverato, anche grazie al “compagno” Fini, la colpa d’autore che Hitler creò per gli ebrei. I lavoratori, inoltre, non debbono pensare, ma solo ubbidire a chi concede loro il privilegio di lavorare. La pretesa di un diritto è sovversione, nelle fabbriche come nei luoghi di lavoro. Se si comprimono i diritti si uccide la democrazia; se si ammazzano i diritti dei lavoratori la soppressione è ancora più odiosa. 
Di fronte a questo progetto eversivo di attacco profondo alla democrazia – che passa anche attraverso lo schiaffo istituzionale di Marchionne che ordina ai suoi di non ottemperare alla sentenza del giudice che dispone il reintegro dei lavoratori di Melfi – non si può rimanere fermi. Si deve consolidare la lotta per i diritti già in atto nel Paese. 
Se il governo, con il ministro Tremonti, adotta una manovra di classe colpendo i soliti noti e tutelando i soliti noti, i ceti oppressi (lavoratori, precari, studenti, senza lavoro, senza dimora, operai, pensionati, impiegati, imprenditori onesti diversi dai prenditori, professionisti perbene, servitori dello stato stanchi del regime delle cricche e dei mafiosi di stato) devono attuare la “nuova lotta di classe”. 
Sì ai diritti, no ai privilegi. Sì alla giustizia, no alle mafie. Si alla legalità costituzionale, no alla legalità illegale. No allo scudo – fiscale, economico e penale – per i potenti, sì alla redistribuzione dei redditi. Lotta ad evasione e privilegi fiscali. Tassazione delle rendite finanziarie. Aumento dei salari e previsione di un reddito minimo per i senza lavoro. Utilizzo diverso dei fondi pubblici, per uno sviluppo economico compatibile con l’ambiente e per valorizzare ricerca e cultura. Qualche casa del popolo in più e qualche casa di Propaganda Fide in meno. Riduzione drastica delle forme più odiose di precariato. Valorizzazione dei beni comuni ed eliminazione del federalismo dei ricchi a discapito dei più deboli. 
Un federalismo che punta anche alla vendita dei beni pubblici patrimonio comune del Paese: dalle foreste ai beni culturali, dai siti archeologici ai beni architettonici. La nuova lotta di classe, ovviamente pacifica, deve essere dura, senza sconti. E’ il momento che il popolo, non quello evocato strumentalmente dal neofascista Berlusconi o dal peones Bossi, ma quello che soffre e che non gode dei privilegi, si ribelli, faccia sentire la sua voce, forte e chiara. Si riappropri delle comunità, dei territori violentati. Si convinca che può essere protagonista del proprio destino. Mettiamoci tutti in movimento, come il popolo del quarto stato, quali soggetti politici e pensanti, per far valere diritti e democrazia. 
Il potere ha paura della gente che pensa in modo libero e critico e che dissente dal pensiero unico, ha il terrore delle facce pulite, dei cuori generosi, teme la democrazia. Viviamo in un regime che dispensa, allo stesso tempo, sorrisi e violenza morale, prebende e “picconate istituzionali”. Un sultanato amorale che vede l’Italia come cosa da sfruttare: l’ideologia degli “utilizzatori finali”. Non consentiamo più l’usurpazione dell’Italia, del nostro futuro e del sogno di vivere in un Paese pulito, senza il puzzo del compromesso morale. Dipende anche da noi, da ognuno di noi, in modo anche da poterci guardare allo specchio con un sorriso e non con gli occhi abbassati.

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