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Dove vanno gli USA?

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[ 17 settembre 2010 ]

Lo strano mostro dei Tea Party e il  revanchismo della nuova “America profonda”
di PiEmme
Pubblichiamo qui sotto l’articolo di Carlo Bastasin apparso su Il Sole 24 Ore del 16 settembre. Bastasin ci offre una arguta rappresentazione del nascente movimento del Tea Party. Un movimento chiaramente reazionario che dopo aver vinto in questi giorni alcune primarie del Partito Repubblicano e dopo i grandi raduni di Washington di fine agosto e di Saint Luis del 12 settembre, ha strappato il centro della ribalta politica americana. Un fuoco di paglia? Solo un contraccolpo all’ascesa di Obama?
Bastasin lascia in sospeso la risposta. Noi tendiamo a pensare che il movimento dei Tea party sia un sintomo inquietante di dove gli USA possano andare nei prossimi anni. Ovvero un campanello d’allarme, non solo per la sinistra americana, ma per i popoli di tutto il mondo, come pure per la Cina, che rischia di diventare il capro espiatorio di un nuovo revanchismo guerrafondaio e imperialistico —che rischia di ingrossarsi grazie alla crisi come pure al fatto che esso non si alimenta di miti religiosi o escatoligismi (com’è stato recentemente). La Grande narrazione su cui si basa è assolutamente laica, apparentemente democratica, finanche libertaria e al contempo ultracapitalistica. Insomma: una secolarizzazione del più becero calvinismo.

Il decalogo dei Tea Party: al fisco solo 4.500 parole

di Carlo Bastasin*

Secondo le migliori ricostruzioni, la scintilla da cui sono nati i Tea Party è scoccata il 15 febbraio del 2009 nel floor della Borsa di Chicago. Quel giorno, un commentatore tv suggerì che i trader convocassero un Tea Party e gettassero nel fiume i titoli derivati, come protesta per il piano del governo federale di rifinanziare i mutui all’8% delle famiglie che non potevano più pagare le rate della casa. L’appello trovò in realtà per destinatario il 92% di famiglie della classe media che a fatica continuavano a pagare i mutui, una tipica “maggioranza silenziosa” che decise da allora che non era più il caso di rimanere silenziosa.

Nel giro di pochi giorni una moltitudine di Tea Party, con pretesti di ogni tipo ma uniti dallo stesso populismo economico, si diffusero in tutti gli stati. Paradossalmente il primo obiettivo della ribellione nata in Borsa fu l’economia e il sostegno del governo alle banche di Wall Street. Da allora la valanga del risentimento non si è più fermata.

Storicamente i movimenti della destra americana nascevano da politiche sociali associate ai valori tradizionali di fede e famiglia. Ma il Tea Party è quasi esclusivamente un fenomeno di protesta economica. Il motto è «responsabilità fiscale, limiti al governo e mercati liberi». Quando i candidati del Tea Party vengono selezionati nessuna delle 80 domande cui devono rispondere riguarda le questioni sociali. Tutto ruota attorno alle tasse, al bilancio federale e al ruolo del governo.

Estremizzando il testo federalista del decimo emendamento della Costituzione, il Tea Party si è attribuito il ruolo di rappresentare il potere del popolo contro il governo. Scorrendo il testo del Contract from America, il programma dei Tea Party, la definizione di conservatorismo economico è più fondamentalista di quella dei repubblicani tradizionali. Il Tea Party vuole impedire che deputati e senatori possano approvare provvedimenti legislativi che dirottano fondi già stanziati verso progetti specifici di loro interesse (i cosiddetti earmarks). Inoltre il Contratto propone l’abolizione dell’intera normativa tributaria da sostituire con una legge non più lunga di 4.543 parole (la lunghezza originaria della Costituzione). La spesa pubblica non deve aumentare se non nella misura dell’inflazione a cui può essere aggiunta una percentuale equivalente all’aumento della popolazione. Ogni aumento della pressione fiscale deve essere approvato da una maggioranza di due terzi del Congresso.

Il Contratto è in realtà una piattaforma open source su cui gli elettori possono intervenire votando cambiamenti al testo proposto originariamente da un avvocato di Houston. Le mille proposte arrivate sono state ridotte a 50 e poi a dieci. La più votata è un esplicito atto d’accusa a Washington con l’imposizione di verificare la legittimità del Congresso in ogni suo atto legislativo. Le altre sono quasi tutte economiche: la seconda proposta più votata è lo stop al sistema “cap and trade” (1) e la sostituzione dei controlli amministrativi con incentivi alla riduzione dell’inquinamento. La terza è un vincolo costituzionale al pareggio del bilancio federale. La quarta l’abolizione del codice tributario. La quinta è l’istituzione di una task force contro gli sprechi nelle agenzie federali. La sesta il tetto all’aumento della spesa pubblica. La settima è l’abolizione della riforma della sanità. L’ottava la liberalizzazione delle politiche energetiche, la nona il taglio degli earmarks (2)e infine l’estensione in via permanente dei tagli fiscali della presidenza Bush destinati a scadere a fine 2011.

Nei think tank di Washington non ci sono ancora analisti che abbiano chiara la proposta di politica economica di un movimento considerato da tutti ancora in progress. Alcuni sono certi che il carattere fondamentalista del linguaggio avrà la necessità di individuare bersagli “non americani”. Pierre Morici, un ex economista dell’International Trade Commission, ha cavalcato le posizioni del Tea Party sostenendo che democratici e repubblicani non vedono i veri problemi strutturali del paese: «L’aumento del deficit commerciale con la Cina, la tolleranza per la manipolazione del cambio da parte di Pechino, l’isteria autodistruttiva con cui le grandi imprese americane spostano le produzioni all’estero e la cultura da casinò di Wall Street». Il timore è che la retorica del Tea Party sulla libertà di mercato sia sopraffatta dalla necessità di attaccare “nemici” dentro e fuori i confini e conduca quindi a scelte protezioniste.

Di persona i candidati del Tea Party possono essere anche più brutali. Carl Paladino, l’imprenditore edile di Buffalo che ha sbancato le primarie (repubblicane, Ndr) di New York, ha proposto di usare gli edifici delle prigioni abbandonate per alloggiare i bisognosi rieducandoli al lavoro, alla famiglia e all’igiene, anziché dar loro assegni sociali.

Secondo un sondaggio del New York Times, otto elettori su dieci del Tea Party non vogliono che il movimento si occupi di questioni sociali ma solo di economia. E gli stessi leader non vogliono legarsi le mani con controversie sui valori, né vogliono confondersi con la retorica sociale repubblicana, arrivando a criticare Sarah Palin, per altro fondamentale nel simbolizzare la rivolta degli “americani veri” contro Washington, per aver invocato l’aiuto di Dio nel risolvere i problemi economici del paese. D’altronde, mentre i movimenti conservatori nascono e si sviluppano in ambienti confessionali, i Tea Party nascono dalla tv e crescono online.

Non a caso il loro leader nascosto è l’anchorman di Fox News Glenn Beck. Lo scorso anno Beck ha condotto intere trasmissioni sui temi economici attaccando l’Amministrazione, la Fed, la Cina e l’Europa. Il linguaggio è fortemente emotivo, ma lo staff di Beck dispone di sufficienti basi tecniche da riuscire a manovrare sia i dati economici sia i loro collegamenti logici e condurli in porto verso conclusioni populiste.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 16 settembre 2010
(corisvi e sottolineature nostre) 
NOTE 
(1) Il cap-and-trade è un provvedimentoapprovato dalla Camera dei Rappresentanti degli USA nel giugno 2009. Esso pone un limite alla quantità di gas serra che si possono emettere
(2) Earmark: viene così chiamata negli USA ogni sovvenzione pubblica , o sostegno (esenzione fiscale) ad un qualche progetto di natura economica o sociale.


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