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ESCLUSIVO: INTERVISTA A LEILA KHALED

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[ 15 settembre 2010 ]

LA SINISTRA PALESTINESE TRA HAMAS E AL-FATAH
di Mohammad Aburous*
Il 28 Luglio, la brigata di Sumud– Volontariato e Resistenza era impegnata a videofilmare la realtà del campo profughi palestinese di Ein El-Hilweh (Libano meridionale, quando nel tardo pomeriggio è giunta la notizia: “questa sera arriva Leila Khaled”. Una grande eccitazione e un senso di orgoglio hanno preso subito tutti quanti nell’apprendere dell’incontro con questa leggenda vivente, uno dei più noti simboli della lotta di liberazione palestinese. Leila è stata per la sinistra mondiale, l’icona della lotta di liberazione della Palestina dal momento in cui ha preso parte, nel 1969 e nel 1970, come membro dei commandos del Fronte popolare di Liberazione della Palestina (FPLP), ai primi due di quella che sarà una lunga serie di spettacolari dirottamenti aerei.

La sede di Sumud, inaugurata l’anno scorso dopo un lavoro di ristrutturazione durato 20 giorni, era stata accuratamente ripulita in attesa dell’arrivo di Leila. Anche i residenti del campo erano attesi all’incontro, emozionati all’idea di potere incontrare questo simbolo storico. Trenta minuti prima del previsto arrivo è andata via la corrente, il buio improvviso ha suscitato qualche ironico commento: “C’era da aspettarselo, un qualche sabotaggio del Mossad!”, “Prendiamo le candele, l’incontro sarà più romantico!”, “Forse dovremmo spostarci all’ufficio dell’FPLP!”.
Proprio in quel momento attivisti di Nashet e due miliziani dell’FPLP, di guardia alla sede, scambiano queste battute:
* Compagni, voi avete un gruppo elettrogeno, potete prestarci un po’ di elettricità?
* Ma il nostro generatore è piccolo, è appena sufficiente per mandare il frigorifero e due lampade!
* Forza, compagni, Leila sta arrivando!
* Se anche arrivasse Arafat in persona, il generatore è troppo piccolo!
* Un miliziano: Ma che problema c’è? Leila è una combattente, è stata in prigione tanti anni, sarà abituata a stare al buio!
* Secondo miliziano: Meglio così! Vedrà con i suoi occhi quanto miserabili sono le nostre condizioni!
Questo dialogo si interrompeva perché, grazie a Dio, la corrente arrivava giusto prima dell’arrivo di Leila. Il ventilatore era in funzione, rendendo l’afa sopportabile. La sede era zeppa di Sumudiani, di attivisti di Nashet e altri palestinesi, inclusi i dirigenti dell’FPLP del campo. Per questi ultimi l’arrivo di Leila era un’occasione per un incontro fra vecchi compagni di lotta, a noi Sumudiani non restava che un rispettoso silenzio per il tanto atteso arrivo dell’icona.
L’incontro ha inizio con Leila al centro della scena, seduta tra il rappresentante di Nashet e quello di Sumud, Enrico, che, inizia l’incontro, dando il benvenuto a Leila e presentando la delegazione internazionale. Egli ha sottolineato la peculiarità di Sumud, davvero differente dalle classiche ONG, quasi sempre legate al sistema imperialistico di corruzione. Enrico ha spiegato a tutti i presenti, l’idea che anima Sumud, di solidarietà attiva con i popoli oppressi che si ribellano e resistono contro l’imperialismo. Il suo obiettivo è, lavorando fianco a fianco con le vittime dell’Occidente, fare propria la stessa rabbia, la stessa indignazione, per scagliarsi contro un sistema che in modo indiretto, ma altrettanto brutale, tiene incatenati alle sue leggi e ai suoi principi, ad uno stile di vita dominato dal denaro. Imparare a resistere ad un’oppressione più subdola, non riconosciuta, accanto a chi si batte per non soccombere. Ha sottolineato quindi, l’importanza del “lavoro volontario” e della “Resistenza”, prendendo le necessarie distanze dalle “elemosine” della Chiesa e dello Stato, considerandole, specialmente le seconde, infiltrazioni nei movimenti mondiali per corrompere culture e identità, uno dei tanti aspetti di ciò che dovrebbe essere chiamato con il suo vero nome: Imperialismo…
Leila Khaled prende la parola…
Dopo Enrico, è stato il turno di Leila. Videocamere e registratori accesi, gli attivisti, nonostante la stanchezza, si sono concentrati per seguire la discussione, i traduttori hanno aguzzato le orecchie e…
Leila inizia anzitutto salutando e ringraziando tutti i presenti, sottolineando l’importanza della solidarietà politica con la causa palestinese, facendo poi notare che 50 anni fa non si vedeva alcun bianco e non si ascoltava alcuna lingua straniera all’interno del campo. Passa quindi alla questione principale: quella dei palestinesi che vivono nei campi profughi da 62 anni e che sono considerati dalla Comunità Internazionale come un mero caso umanitario. I Palestinesi sono stati testimoni di uno dei peggiori crimini di questa epoca e ad essi non resta che prendere nelle loro mani il proprio destino. Il popolo Palestinese ha atteso per 20 anni, dall’espulsione del 1948 fino alla guerra del 1967, affinché fosse applicato il “diritto al Ritorno”, così come sancito dalla Risoluzione 194 delle Nazioni Unite. Votata dopo la guerra del ’48, questa Risoluzione è una delle condizioni con cui la Comunità Internazionale ha accettato l’esistenza dell’entità israeliana. Invece di assicurare il “diritto al Ritorno”, Israele occuperà nel ’67, il restante territorio palestinese. Leila, riferendosi ai dirottamenti aerei, a cui partecipò, ha detto che il mondo cominciò ad ascoltarli al punto che le loro azioni spettacolari venivano discusse molto più della stessa vicenda palestinese. Il religioso silenzio con cui la ascoltavamo si è improvvisamente interrotto quando lei ha corretto il traduttore (Leila parlava in arabo ed era tradotta in inglese), a causa dell’uso del termine “kidnapping”(sequestro), al posto di “hijacking”(dirottamento). In questo stesso istante diverse foto vennero scattate per catturare l’espressione del suo volto.
Il suo viso divenne nuovamente serio, mentre raccontava i dirottamenti aerei, il loro impatto sulla vicenda palestinese e sulla lotta di liberazione. «Il mondo si chiedeva cosa volessimo, ma la risposta non poteva venire dai dirottamenti in sé, ma dalla rivoluzione. Ecco perché combattenti da tutto il mondo si unirono alla nostra lotta». Forniva quindi, ai presenti, diversi argomenti contro l’accusa di terrorismo: «Chi ha portato il terrore nella nostra terra? E’ stato il sionismo e l’Occidente che l’ha sostenuto. E’ stato il progetto coloniale!». Leila ha sottolineato che i palestinesi si sono trovati a combattere sulla prima linea dello scontro mondiale tra i popoli oppressi e l’imperialismo.
Ha inoltre demistificato le manipolazioni dei grandi media amici del sionismo, per cui ogni critica a Israele è tacciata di “antisemitismo”. Ha citato diversi intellettuali e accademici ebrei come Ilan Pappe, che ha scelto di venir via dalla “terra promessa”, o l’ebreo Noam Chomsky, al quale viene impedito di entrare in Israele.
«E’ stato per i miei discorsi antisionisti in Europa che hanno deciso di negarmi il visto d’ingresso, non perché dirottai degli aerei».
Leila ha denunciato la cooperazione con Israele da parte dell’Unione Europea, sottolineando in particolare, i recenti accordi di carattere economico e militare, resi possibili dall’infiltrazione sionista nelle istituzioni europee. Ha ricordato la grande importanza del coordinamento internazionale tra le forze antimperialiste e quindi l’uso delle moderne tecnologie di comunicazione. Ha ricordato i campi antimperialisti ad Assisi in Italia, dove militanti di tutto il mondo si poterono incontrare. Menzionando, inoltre, la sua partecipazione al “campo antimperialista di Assisi”, ha sottolineato come la solidarietà debba essere reciproca, poiché «quando l’amore è unilaterale, è destinato a breve vita. Noi vi amiamo tantissimo e sappiamo che ci amate altrettanto. Per questo non abbiamo paura, per questo vinceremo!».
Originaria di Haifa, ha finito il discorso invitando i partecipanti a visitare la sua città. Il sorriso è tornato sui volti dei presenti quando, ha ricordato la bellezza della sua città natale (nella quale non si è mai più recata a causa dell’occupazione sionista) che poté almeno rivedere …dall’alto!
La Resistenza non si porta avanti solo con il fucile
La discussione è continuata focalizzandosi sul conflitto israelopalestinese e sulle dinamiche della resistenza palestinese a 40 anni dalla sua comparsa. Per quanto riguarda le modalità di azione, Leila ha descritto le tre principali fasi: la lotta armata, l’insurrezione popolare e l’insurrezione popolare armata. Considerando Israele come particella del sistema capitalista e coloniale, lei ha ricordato l’ampia gamma di questioni che questo conflitto solleva, a partire dalla lotta per la terra fino a quella ideologica che include la storia e finanche la terminologia. Leila ha definito la sopravvivenza fisica del popolo palestinese, sia in Palestina che nei campi profughi, come forma di Resistenza contro la propria estinzione storica. Ha anche chiamato a diffidare dai tentativi di smantellare i campi nei paesi confinanti per spedire i rifugiati palestinesi in Europa e in Sud America (così come è accaduto ai rifugiati palestinesi in Iraq dopo l’invasione angloamericana nel 2003). Leila ha affermato che la campagna mondiale per il boicottaggio di Israele (BDS) è un’importante forma di resistenza, poiché mette in evidenza l’aparthaid dello stato israeliano, del tutto simile a quello che vigeva in Sudafrica. «La resistenza ha molte forme, ma solo la lotta armata è quella che può decidere le sorti della lotta».
Tra Scilla e Cariddi
Leila Khaled considera l’FPLP come un’opposizione politica, sia al governo di HAMAS a Gaza che a quello di Al-Fatah a Ramallah, essendo entrambi delle autorità istituite sotto occupazione, quindi espressioni non autentiche della sovranità popolare palestinese. Essa ha denunciato la divisione in due campi del popolo palestinese definendola una nuova Nakba e perorando una unità nazionale basata su un programma di Resistenza. Ha ripetuto quindi la posizione dell’FPLP contro gli accordi di Oslo e i negoziati mentre l’occupazione continua.
Per quanto attiene al movimento di Resistenza Islamica essa lo giudica un nuovo movimento con il quale l’FPLP dovrebbe cooperare per resistere all’occupazione, d’altra parte ha denunciato le forze religiose come concausa della divisione, sostenendo, (forse esagerando), che la stessa HAMAS ha dovuto subordinare la Resistenza pur di esercitare il governo a Gaza. Per lei il conflitto tra HAMAS e Al-Fatah per il dominio a Gaza è stato una iattura, dato che questo pezzo di terra è solo una grande prigione. Leila ha, tuttavia, invitato il mondo a riconoscere ed accettare la scelta democratica che i palestinesi hanno compiuto nelle elezioni che portarono alla vittoria di HAMAS. «Democrazia per noi significa anzitutto il diritto di un popolo all’autodeterminazione e non solo avere elezioni con standard svedesi. Siamo sotto occupazione, e l’assedio di Gaza esisteva già prima e non dopo le elezioni. L’assedio venne soltanto rafforzato dopo le elezioni del 2006, perché gli imperialisti non vollero riconoscere il colore di chi le vinse». Ella ha ricordato che l’FPLP ha rispettato il responso elettorale, e, pur non accettando incarichi ministeriali, ha votato la fiducia per il governo di HAMAS, in virtù del suo programma favorevole alla Resistenza. D’altra parte ha ribadito che la conquista del potere a Gaza di HAMAS, causando una scissione verticale e orizzontale nel movimento palestinese, ha indebolito la lotta.
Sottolineando la grande importanza del movimento contro l’assedio di Gaza, Leila ha messo in guardia dalla depoliticizzazione della lotta, ovvero dal dimenticare la questione più generale dell’occupazione, che rimane la contraddizione principale.
Leila ritiene il “documento per la riconciliazione nazionale” sottoscritto dai prigionieri palestinesi appartenenti a tutte le diverse fazioni, inclusa Al-Fatah e HAMAS, come base per porre fine allo scontro fratricida e raggiungere un nuovo accordo. Entrambe queste forze sarebbero responsabili per l’applicazione di questo accordo. Leila ha evitato, sollecitata da alcune domande dei presenti, di dare una chiara risposta al perché la collaborazione dell’FPLP con le autorità fantoccio di Ramallah rappresenterebbe un fatto positivo per la Resistenza. Essa ha invece insistito sulla “creatività del popolo palestinese”, che alla fine partorirà una soluzione, a dispetto della diatriba fra le diverse fazioni.
Tattiche e strategie
Per Leila la fine dell’occupazione di Cisgiordania e di Gaza deve essere considerata come una rivendicazione politica, a sua volta basata sulle risoluzioni internazionali. In quanto obiettivo strategico della lotta, lei ha insistito sul principio dello «Stato democratico su tutta la Palestina, dove tutti possano vivere con pieni diritti, fermo restando il diritto al Ritorno per tutti i rifugiati». Riconoscendo il declino dell’azione di resistenza in Cisgiordania e spiegando che ciò dipende dalla doppia persecuzione degli occupanti israeliani e della Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen, Leila ha negato che l’FPLP abbia cessato di compiere azioni di Resistenza: «Noi non abbiamo interrotto queste azioni. Noi continuiamo a sparare da Gaza. Non lo facciamo in Cisgiordania poiché lì non ne abbiamo le capacità. La rivoluzione vive alti e bassi ma poi risorge, in base agli obiettivi, ai rapporti di forza e alle effettive capacità. Abbiamo a che fare con gli israeliani e il generale americano Dayton. Ove non ci arrestassero quelli dell’ANP, lo farebbero gli israeliani. Quello che non possiamo fare è suicidare il nostro partito».
Leila Khaled, figura storica della direzione dell’FPLP, universalmente nota per il suo ottimismo, ha chiuso quindi, il suo discorso in maniera positiva, strappando gli applausi di tutti i presenti, dei Sumudiani, dei giovani palestinesi come quelli degli anziani combattenti: «State certi sul fatto che noi stiamo alacremente lavorando. Non posso dire di più per ovvie ragioni di sicurezza. Ricordate che abbiamo il nostro segretario nazionale e molti quadri in galera, pensate forse che vogliamo sacrificare questa gente? L’FPLP sarà nuovamente in grado di stupirvi».

Traduzione a cura del Campo Antimperialista 

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