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Il Profumo dei soldi

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[ 22 settembre 2010 ]

Perché Berlino ha voluto la testa di “Alessandro il Grande”

di Moreno Pasquinelli

La cacciata di Alessandro Profumo, Amministratore delegato da Unicredit, è un evento che potrebbe causare uno sciame sismico che lascerà il segno, vedremo se indelebile, negli assetti finanziari, economici e politici dell’Italia.
Gli sciocchi soltanto possono credere alle motivazioni date dal Presidente Dieter Rample, e con lui di alcuni zelanti giornalisti e politici, per cui la defenestrazione sarebbe avvenuta per le maniere decisionistiche di Profumo. Non è forse con Profumo che Unicredit è diventato il secondo gruppo bancario d’Europa? Con filiali in ben 22 paesi e ben 9.200 sportelli?  Non è forse anche grazie al suo “decisionismo” che la capitalizzazione di mercato di Unicredit è schizzata da 1,5 Miliardi di euro a circa 37? E’ evidente che c’è dell’altro.


«Il «pomo della discordia», che ha fatto esplodere i conflitti interni sulla figura dell’ad della prima banca (per capitalizzazione) italiana, è l’ascesa nel capitale di Unicredit dei soci libici. A più riprese durante l’estate Tripoli ha comprato azioni sia con Central Bank of Libya che con il fondo sovrano Libyan Investment Authority, detenendo fino al 7,58% complessivo». (Il Sole on line del 21 settembre 2010)

Ovvero:

«L’avvento della Libia nel grande azionariato di Piazza Cordusio ha mandato in pezzi molti equilibri delicati: primo fra tutti il convincimento, tra Monaco e Berlino, di detenere una golden share strategica su Unicredit, destinata a restare “europea”, e quindi “tedesca”».
(Antonio Quaglio, Il Sole 24 Ore del  21 settembre 2010).

Quindi: «La partita è di puro potere e ha una natura geopolitica: il blocco di interessi tedesco ha battuto il blocco italiano. Chi li ha fatti entrare, gli investitori libici? Senza il placet del governo, non se ne faceva nulla». ( Giulio Sapelli a Il Sole 24 Ore del 22 settembre 2010)

Ed è degno di nota che non solo il padanismo leghista, ma il mondo delle grandi fondazioni bancarie post-democristiane, malgrado sia governo che opposizione (tranne i dipietristi, vedi le dichiarazioni di Elio Lannutti) abbiano spalleggiato Profumo, abbiano avuto partita vinta. Con l’appoggio del padano-leghismo ha in pratica vinto il capitalismo bancario tedesco, che doveva far fuori Profumo per  controllare Unicredit. E controllando Unicredit il grande capitale finanziario e bancario tedesco allunga le mani sul piatto succulento dell’economia padana —che se non è ancora collassata è solo perché, in larga misura, lavora per la locomotiva teutonica, e quindi guarda pù a Monaco o Berlino che a Roma. 

Con l’avallo esplicito della Lega (vedi le dichiarazioni del Sindaco di Verona Tosi e di Giancarlo Giorgetti, presidente della Commissione Bilancio della Camera) il capitalismo lombardo-veneto ha dunque deciso (non si sa mai come andrà a finire con l’Italia) di porsi sotto la tutela tedesca.

«Sono scomodo, non faccio parte del sistema» avrebbe confessato Profumo. (La Repubblica del  21 settembre 2010) La qual cosa è sintomatica e inquietante. Di quale sistema parla? Evidentemente di un sistema, quello finanziario, bancario e industriale italiano, quello cioè che ha in mano quasi tutti i fili dell’economia e del credito, un sistema che evidentemente corre in parallelo alla sua apparente rappresentanza bipolare.

Due le false flag con cui i ciarlatani leghisti hanno motivato la loro capitolazione al capitalismo teutonico. La prima: “vogliamo una banca legata al territorio”. In realtà si autorizzano i tedeschi, una volta acquisito il controllo di Unicredit, a “depredare” il piatto ricco del risparmio padano, per poi rimpinguare con denaro sonante il traballante sistema bancario tedesco, bavarese anzitutto.

La seconda essendo lo spauracchio libico. Vaglielo a dire a queste “sentinelle della civiltà cristiano-occidentale” che senza i soldi freschi dei fondi sovrani arabi, non solo Unicredit, ma tutto il sistema bancario euro-atlantico sarebbe crollato come un castello di carte dopo il fallimento di Lehman Brothers. Vaglielo a spiegare che la grande finanza araba è il vero scudo che ha salvato l’imperialismo da un crack irreversibile.

Su questa vicenda sarà doveroso tornare.

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