Toni Negri, Casarini e noi
(1) Lavoro, precariato e Capitale
Negri afferma: «Siamo in un’epoca in cui è finita la specificità determinata del lavoro sotto comando. (…) La forza lavoro si è separata dal Capitale.. si è tolta dal comando capitalistico. (…) L’uomo cerca di inventare nuove regole, anche perché non c’è più comando dall’alto, un lavoro espressamente sotto comando».
Ma in quale mondo vive Toni Negri? Non sta forse accadendo, dopo la sconfitta subita dal movimento operaio e rivoluzionario, l’esatto contrario? Non è forse vero che mai come ora il comando capitalistico sulla forza soggettiva proletaria è stato tanto stringente e totalitario?
Per quanto intrigante il lirismo negriano non sfugge alla camicia di forza della futurologia metafisica d’impronta post-moderna se non americaneggiante. L’ambizione del pensiero ad elevarsi sopra la realtà, per afferrarla nella sua totalità, causa spesso la fuga dalla realtà medesima, che viene così geometricamente ricostruita attorno ad assiomi e categorie completamente astratti.
Questo lirismo metafisico è quanto mai evidente rispetto al fenomeno della precarizzazione del lavoro e della prestazione lavorativa. Negri, lungi dal cogliere nel precariato la radicale subordinazione del lavoro salariato al capitale e ai suoi meccanismi di valorizzazione, vi legge addirittura il contrario
Sentiamo: «La forza lavoro, in quanto si precarizza e si distende nel tempo, non è più sotto comando: diventa attività in cui ciò che vale e determina valore è il fluire continuo di energia e di vita. (…) Il lavoro è diventato creativo, attività produttiva che sta fuori del Capitale».
Torneremo a tempo debito sulla distruzione della marxiana teoria del valore (da Negri ampiamente sostenuta ne L’Impero). Di nuovo: lascia basiti la distanza di questa rappresentazione onirica dalla realtà effettuale. La tesi del Negri è nota, assumendo come dogma la frase letteraria di Marx per cui il comunismo non è un ideale che debba essere realizzato ma il movimento reale che distrugge lo stato di cose presente, egli, prigioniero di un’immanentismo di marca gentiliana. intravede il comunismo ovunque o, per essere precisi, negli stessi passaggi evolutivi dello sviluppo capitalistico, che pur loro malgrado ma teleologicamente, sono destinati a spianare la strada al comunismo medesimo. Il comunismo, spinozianamente ci direbbe Negri, non è se non nell’ordine e nella intelligenza delle cose presenti. Insomma: dove noi vediamo la più devastante della metamorfosi capitalistiche, Negri intravede una rivoluzione non solo in potenza, bensì un processo già in atto.
(2) Moltitudine, rappresentanza politica e Comune
«L’ospite (Negri Nda) passa poi al tema della moltitudine, una nozione che ha contaminazioni filosofiche con il pensiero di Spinoza, ma anche, sostiene Negri, con la sessuologia presente in alcune aree dell’America Latina. Come si inserisce il tema del precariato? Il precariato per Toni Negri è l’insieme di singolarità collettive. “Non si tratta di un’unità organica, ma dell’espressione di desideri che sono il segno di singole esistenze”. La moltitudine è il prodotto di una organizzazione che tende alla costruzione di una “casa comune”».
Da anni chiedono a Negri cosa mai sia questa categoria della “moltitudine”, e in che senso essa rimpiazzi quella di classe sociale. Ed è da anni che Negri resta nel vago, veleggiando in una siderale astrattezza. Come si evince dalla sentenza più sopra, presasi una corposa licenza poetica, Negri non va al di là di una formulazione letteraria, che nulla ci dice, né della composizione, né delle caratteristiche sociali, né del posto occupato dai moltitudinari nel processo sociale di produzione. Non più gli interessi e la funzione sociale distinguono gli insiemi sociali, bensì le loro “istanze desideranti”, gli eterei quanto eterodeterminati bisogni bio-politici.
Dal che si evince perché Negri ritenga del tutto superata la questione del partito e della rappresentanza politica: «Il concetto di rappresentanza è vinto! Siamo in un processo in cui dobbiamo inventarci di nuovo, cercando connessioni, collegamenti, retri…».
Non si fraintenda il Negri, egli non è uno “spontaneista”, di quelli che ritiene che le moltitudini possano fare a meno di una testa politica. Solo che egli suppone che questa testa sorga motu proprio, per germinazione, per via di … invenzioni, connessioni, collegamenti, reti (sic!).
Entro questa cornice la Comune pare a Negri la modalità politica adeguata. Non un’organizzazione, non un partito, e nemmeno un movimento. Cosa allora? Di nuovo si vola nella stratosfera, ancora il lirismo metafisico: «Questa nuova Comune non è pubblica né privata: è pubblica, ma gestita da singolarità. Si posiziona tra il “proprio” di Locke, e il “pubblico” di Rousseau». Che tradotto in un concetto significa: «La moltitudine è il prodotto di una organizzazione che tende alla costruzione di una Comune».
(3) Lo Stato
Questo, beato Toni Negri! sarebbe oggi «svuotato delle sue funzioni» e cita l’esempio dell’America Latina, dove ci si sta riappropriando di alcune funzioni statali grazie alla capacità di amministrare i beni comuni…. Ossimoro quant’altri mai: lo Stato si svuota delle sue funzioni… attraverso la riappropriazione di alcune sue funzioni. In verità, anche volendo stare ai contraddittori processi sociali latino-americani, è di tutta evidenza che, sia in Venezuela che in Bolivia, non c’è singolo atto di rottura che non passi dall’egemonia conquistata dagli oppressi nel campo statuale e della rappresentanza.
Che poi nei paesi imperialistici lo Stato sia ben lungi dal conoscere un processo di “svuotamento”, che si vada progressivamente blindando un funzione controrivoluzionaria (vedi ad esempio come gli Stati, dopo gli eventi che hanno sconquassato le banlieu, e vedi pure l’approccio politico-militare alla questione dell’immigrazione) è sotto gli occhi di tutti.
Che poi lo stato-nazione sia stato sussunto, almeno in Europa, in entità geopolitiche imperialistiche più ampie, non vuol dire che il Capitale abbia “svuotato” o anche solo stemperato il carattere di banda armata fino ai denti degli apparati statuali i quali, anzi, lo hanno rafforzato decisamente, facendo palestra di contro-guerriglia prima nei Balcani, poi in Iraq, ora in Afghanistan.
Lasciando il lettore alla prese con certe astruserie teoriche solo vogliamo aggiungere che il lupo perde il pelo ma non il vizio. Il pelo fu a suo tempo l’operaio-massa, poi quello sociale, infine la moltitudine. Il vizio del negrismo teorico resta, ed è il costruirsi, mutatis mutandis, mitiche soggettività escatologiche destinate per ciò stesso a portare a compimento l’attesa catarsi.
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“C’è un fattore ‘tecnico’ legato alla composizione del lavoro che rende oggi il tema della rappresentanza completamente diverso da quanto avveniva 20 o 30 anni fa”. La parcellizzazione delle funzioni all’interno dell’organizzazione del lavoro diventa infatti presto “precarietà”. È una precarietà che opera nel tempo, perché dilaziona il lavoro. E si allarga nello spazio. Chi affronta concretamente questo tema: la fabbrica, il sindacato o il partito? Una volta quest’ultimo rappresentava le lotte sindacali e c’era un rapporto di continuità tra “composizione tecnica” del lavoro e politica. Chiede dunque Toni Negri, sottolineando l’aspetto dubitativo: “E se il partito oggi non funzionasse più per questo compito?”. La composizione tecnica della classe operaia e del suo lavoro è certamente stabile: questo produce un rapporto isomorfico con la sua rappresentanza. “Ma come si intrecciano oggi proletariato, sindacato e partito alla luce delle altre forme di lavoro? In realtà, la filiera è finita. C’è discontinuità radicale, totale!” E non manca di fare una battuta: “Anche quando il precariato riconduce le proprie istanze alle vecchie forme di partito oggi lo fa comunque in maniera compassionevole..”
Il precariato per Toni Negri è l’insieme di singolarità collettive. “Non si tratta di un’unità organica, ma dell’espressione di desideri che sono il segno di singole esistenze”. La moltitudine è il prodotto di una organizzazione che tende alla costruzione di una “casa comune” (d’ora in avanti “la Comune”, NdR). La vecchia classe operaia, per esempio, non era una moltitudine perché escludeva le donne o chi si organizzava fuori dalla fabbrica. Oggi accade il contrario con le istanze avanzate dal precariato. “I desideri debordano da ciò che stava una volta in relazione con il potere e con il capitale. L’identità della classe operaia è un vecchio concetto che è andato perso…”
Oggi si può parlare, invece, di una moltitudine di singolarità. “Non di individui, ma di singoli”, precisa Toni Negri. “L’orologio che una volta suonava in fabbrica ora è interno nella singola persona. È diventato un fattore antropologico”. Di conseguenza il rapporto tra tecnica, struttura del lavoro e politica è nuovamente da inventare. “Il concetto di ‘rappresentanza’ è vinto! Siamo in un processo in cui dobbiamo inventarci di nuovo, cercando connessioni, collegamenti, reti..”
Si tenga presente che questa Comune raccoglie elementi eterogenei, come la base linguistica, la comunicazione e molto altro. Non esclude l’aspetto singolare e neppure nuove forme di sfruttamento. “Oggi il lavoratore è più emancipato rispetto al passato, ma lo sfruttamento c’è sempre. È soltanto diverso…” Per questo dobbiamo riappropriarci del Comune di cui siamo espressione: è anche più facile di una volta. Le azioni che metteva in campo l’operaio-massa anni fa, come la riappropriazione della città, quando scendeva in piazza, o la riconquista dei luoghi di consumo, con occupazioni simboliche, erano molto evidenti. Ma anche oggi questa attività può diventare ordinaria perché è “ontologica” e fa parte del nostro essere, sostiene Toni Negri.
C’è poi una novità che si chiama “Governance”: è il nuovo modo di controllare il Capitale Umano. Come rapportarsi a questa struttura? E, al contrario, se è vero che la forza lavoro si è separata dal Capitale, è in grado di essere autoproduttiva? E ancora sulla rappresentanza: finora si è interpretata come soggetto in grado di portare gli interessi e dunque rappresentare altro da sé. Nel ’900 la politica e i sindacati hanno sempre rappresentato (nominalmente) gli altri. Oggi, con il precariato, sorge la necessità di rappresentare se stessi: l’eterodirezione diventa monodirezione. Ma siamo in grado di autorappresentaci? Come sviluppare dunque nuove forme di autorappresentazione?
Secondo Toni Negri lo Stato è stato svuotato delle sue funzioni. Il comunismo ha puntato finora a distruggerle, ma è praticabile una via differente. In America Latina, per esempio, stanno riappropriandosi di alcune funzioni statali grazie alla capacità di amministrare i beni comuni. Questo movimento può diventare mondiale, costituendo nuove istituzioni democratiche. “Bisogna togliere allo Stato la capacità che ha maturato negli ultimi 5 secoli di attrarre su di sé e centralizzare il dominio sulla vita. In Bolivia, Brasile, Venezuela ecc. stanno sorgendo istanze di questo genere. Il dibattito là è ora quello su come tenere aperto questo potere costituente”. Il Comune deve essere sempre costruito: deve diventare sempre diverso per Toni Negri. “Chi sta mettendo in atto queste sperimentazioni in America Latina ritiene che il potere debba rimanere costituente e aperto SEMPRE”.
“Una volta superata, la rappresentanza eterodiretta perde dunque di valore”, si afferma. “Nasce oggi, però, una nuova forma di valore: la rete. I collegamenti, strutture nuove di relazione e cooperazione consentono di creare dal basso, di pensare sistemi economici alternativi”.
Il cosiddetto “nuovo lavoro”, anch’esso basato sulle reti, di cui parla anche Sergio Bologna, e che apre la strada all’autonomia, pone però la questione della materialità. In precedenza l’adesione al modello del valore nel sistema di produzione fordista metteva sul piatto, come agnello sacrificale, la forza lavoro, ovvero i propri figli. La rappresentanza eterodiretta si nutriva cioè del sacrificio del proletariato. “Oggi che cosa metto di materiale nella mia partecipazione in qualità di precario, al sistema di rete?”
Si deve iniziare e costruire nuovamente istituzioni aperte. “San Precario, per esempio, è l’inizio di un’istituzione costituente”. Questa nuova Comune non è né pubblica né privata: è pubblica, ma gestita da singolarità. Si posiziona tra il “proprio”, così come identificato da Locke, e il “pubblico”, come definito da Rousseau. Occorre rendere Comune le singolarità, andando contro lo Stato che aliena e contro il privato che rende proprio ciò che è pubblico. “Un esempio di Comune? Il linguaggio. Mostra la profonda democraticità del pubblico”. Non esiste oggi in giurisprudenza un diritto di proprietà di questo genere. Nel nostro ordinamento esiste soltanto il pubblico e il privato, ma questa idea di spazio comune dei singoli, che al tempo stesso è pubblico, non trova definizione.
Toni Negri ritorna poi sul tema della Governance. Sostiene che sia un segno classico, che dimostra come la forza lavoro si sia staccata dal capitale e non ci siano più norme e regole tradizionali. “La Governance affronta il fatto che siano saltate le logiche del diritto o del management. L’uomo cerca di inventare nuove regole, anche perché non c’è più un comando dall’alto, un lavoro espressamente sotto comando”. La Governance, a ogni modo, è un’espressione che appartiene ancora al capitalismo, poiché vuole inseguire, recuperare terreno, dopo la rottura dell’ordine. “Si è riaperta la condizione di forza del confronto e ciò impone che i soggetti della vita di classe siano riqualificati”. In fondo per Toni Negri la Governance e i Rappresentanti, sono due facce dello stesso problema.
Cita poi Sergio Bologna, che secondo Toni Negri non considera il fatto che – al di là delle possibili distinzioni tra i lavoratori della conoscenza tra gli artigiani, i kopfarbeit degli anni 20 o chi interviene nella catena del valore in un modello fordista di produzione o postfordista – il lavoro resti sempre lavoro materiale. In Francia, per esempio, si parla di lavoro cognitivo, ma anche in questo caso la terminologia non è del tutto soddisfacente. Sarebbe meglio parlare di lavori “cognitivi-cooperativi”.
Viva MARX e il suo linguaggio chiaro, serio e concreto! Di Toni Negri, noi Moltitudini, non abbiamo minimamente bisogno.