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DA PERICLE A TONI NEGRI: IL PRINCIPIO DELL’AGORÀ

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[ 05 ottobre 2010 ]

Il «Comune» come giusto approccio all’alternativa: perché Toni Negri ha ragione

di Armando Penzo*
Riceviamo e volentieri pubblichiamo le riflessioni di un nostro lettore riguardo alle nostre critiche al pensiero e alle proposte di Toni Negri. Contrariamente a quanto Penzo teme, daremo quanto prima una esaustiva risposta. La questione è cruciale: in ballo c’è l’alternativa al capitalismo, come coniugare eguaglianza e libertà e, ultimo ma non per importanza: in quale maniera i cittadini esercitano politicamente la loro sovranità? E’ possibile una relazione radicalmente orizzontale tra rappresentati e rappresentanti.
«Ho letto con estremo interesse l’articolo con cui venivano riportate le osservazioni riguardanti la cosiddetta teoria “marxiana” di Toni Negri [OVE NON FOSSE CAZZEGGIO TEORICO. Toni Negri, Casarini e noi].

Dico subito che esiste una grande confusione dal punto di vista teorico in quanto non si è ancora capito quale strategia stia usando in questo momento il Capitale. Secondo il mio modesto parere credo che il problema sia legato alla Rappresentanza e ai bisogni che il capitale alimenta continuamente per
ingabbiare e controllare l’individuo, in questo caso il proletario. Ma per fare questo anche lui ha bisogno di supporti che gli consentono di agire indisturbato sul tutti i territori, fisici e astratti. Così ho cercato di darmi una risposta. Naturalmente non esaustiva ma tutta sperimentale, visto che la sperimentazione politica non è stata mai presa in considerazione.
Vi mando questo documentino, anche come provocazione perché sicuramente non mi darete una risposta sufficiente.
IL PRINCIPIO DELL’AGORÀ
Che cos’è il Principio dell’Agorà?
Il Principio dell’Agorà è il diritto dovere di ogni cittadino di partecipare alla vita politica volontariamente e collettivamente per amministrare il bene comune.
Perché allora il Movimento del volontariato politico collettivo?
Una ragione esiste.
Ormai da troppo tempo circola l’idea che la politica sia una cosa sporca e in quanto tale fatta per uomini senza scrupoli, per cui non vale proprio la pena di imbrattarsi le mani.
Il grande Pericle invece sosteneva che la politica è l’arte più nobile fra le attività umane.
A questo proposito è interessante conoscere di Pericle – Il Discorso agli  Ateniesi, 461 a.C. :
«Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero».
(da Il Discorso agli Ateniesi, 461 a.C.)
Qui ad Atene…
Ed oggi noi cosa facciamo?
Dopo aver letto questo straordinario discorso, è nostra intenzione ritornare al vero significato dell’attività politica e alla sua grande virtù.
L’adesione volontaria alla politica, e al suo ideale nella Agorà greca, trova pronto ogni individuo a partecipare attivamente alle sorti della propria città-stato.
Se ripercorriamo la storia, ovviamente tralasciando il medioevo caratterizzato per l’assoluto predominio della religione, per arrivare all’età moderna, troviamo che con Hobbes viene istituita la delega tra l’individuo e il nascente stato moderno.
Detta delega verrà perfezionata dalla borghesia con la Rivoluzione Francese.
Se inizialmente si era assistito a una partecipazione attiva degli individui, questo iniziale entusiasmo è andato via via scemando nel corso del tempo sostituito da una sorta di Casta politica che si è insediata ad amministrare la cosa pubblica, tollerata e accettata dal cittadino.
Successivamente essa verrà asservita sotto il completo dominio del Capitale.
Marx e Lenin avevano individuato proprio in questa casta il Comitato d’affari del Capitale in virtù della sua natura servile. Il capitale riconoscente verso questi fedeli servitori ha elargito sempre grandi favori e una quantità impressionante di denaro, vincolando questi soggetti politicial suo potere.
La giustificazione diventata ormai proverbiale è: “Molti possono essere comprati perché ognuno ha un suo prezzo”.
Naturalmente questo non vale per tutti. Sappiamo per certo che questa condizione non si è verificata per Marx che ha lasciato nel suo testamento un’eredità di poche sterline.
E’ ovvio che l’attenzione del Capitale si concretizzi solo verso quelli che hanno determinate caratteristiche, come la capacità di esercitare una discreta influenza su una cerchia di individui ed essere riconosciuti come persone autorevoli di un determinato gruppo.
Questo è il presupposto per far scattare l’interessamento del Capitale verso questi individui, puntando il loro denaro come se fosse un vero e proprio investimento.
Viene spontanea allora la considerazione affermando che il Denaro rappresenta il più grande mezzo di Corruzione nei confronti degli uomini.
Una volta saputo del potere taumaturgico del denaro, come si può intervenire per limitare il più possibile questo potere?
La risposta potrebbe essere banale. E’ evidente che solo bloccando il canale dell’erogazione di questa ricchezza si potrebbe costringere il Capitale a seguire nuove strade per non rinunciare a controllare i suoi nuovi servi.
Convinti di questo possiamo passare all’analisi politica della situazione attuale. Dovrebbe essere chiaro che questa fase politica richiede un intervento politico assolutamente TATTICO.

Ma per capire il perché di questa proposta, è necessario ritornare a Marx.
Se andiamo a quanto scritto nel capitale troviamo che è illuminante la sua analisi per comprendere la situazione attuale e intervenire di conseguenza.
Per cui: “…Con la diminuzione dei magnati del capitale che usurpano e monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, cresce la massa della miseria, della pressione, dell’asservimento, della degenerazione, dello sfruttamento, ma cresce anche la ribellione della classe operaia che sempre più si ingrossa ed è disciplinata, unita e organizzata dallo stesso meccanismo del processo di produzione capitalistico.” (da Il Capitale, Libro I°, sezione settima, Cap. XXIV, la cosiddetta accumulazione originaria)

Questa citazione è indicativa per riconoscere che il Capitalista ha studiato Marx meglio di noi che ci proclamiamo comunisti. Quello che sta avvenendo lo dimostra chiaramente per come sia riuscito, anche se la fase non si è ancora conclusa, di passare attraverso la ristrutturazione del processo produttivo utilizzando anche laglobalizzazione, per mutare la forza dell’operaio massa, disciplinato e organizzato, trasformandola nella sua debolezza con la nuova figura dell’operaio disgregato, cioè precario e isolato sia in fabbrica che nel territorio.
Che cosa significa questo.
Che bisogna ritornare a organizzarsi nel territorio come ambito sociale da conquistare. Come abbiamo visto sopra, il problema che dobbiamo porre all’attenzione è quello di bloccare il canale di comunicazione tra il capitale e il suo garante politico. Allora se il fiume di denaro passa attraverso la gestione della cosa pubblica dove si realizzano i profitti del capitalista nonché il processo di arricchimento del politicante, allora l’obbiettivo sarà quello di colpire anche il politicante nella sua gestione amministrativa. Ovvio che questo obiettivo va accompagnato dalle lotte operaie e proletarie.
Come?
Per nostra fortuna ora è Lenin a soccorrerci. In Stato e Rivoluzione Egli scrive: “Lo Stato è il prodotto e la manifestazione degli antagonismi inconciliabili tra le classi… “Più avanti: “… La repubblica democratica è il miglior involucro politico possibile per il Capitalismo”. Ancora…. “il rappresentante dei lavoratori meglio retribuiti, che si staccano dalle masse,  “si sistemano” abbastanza comodamente nel regime capitalistico e vendono per un piatto di lenticchie il loro diritto di primogenitura, rinunciando cioè alla loro funzione di guida rivoluzionaria del popolo nella lotta contro la borghesia”. 

Ancora: “…. La Comune fu composta dei consiglieri municipali eletti a suffragio universale nei diversi mandamenti di Parigi, responsabili e revocabili in qualunque momento….Dai membri della Comune in giù, il servizio pubblico doveva essere compiuto per salari
da operai…… A questo proposito è da notare in particolar modo un provvedimento preso dalla Comune e che Marx sottolinea: la soppressione di tutte le indennità di rappresentanza, la soppressione dei privilegi pecuniari dei funzionari, la riduzione degli stipendi assegnati a tutti i funzionari dello Stato al livello di “salari da operai”.

Più chiaro di così.
Qui sta il problema.
Certo, dopo queste dotte citazioni, la proposta politica potrà perfino sembrare banale. Ma non è così. Sicuramente molti storceranno il naso anche con argomentazioni interessanti ma che non avranno la forza di intaccare la validità tattica della proposta. Dobbiamo renderci conto che in questa situazione economico politica controllata ferreamente dal Capitale, la
rivoluzione diventa una normale utopia non più riproponibile, almeno in questa fase. Del resto il coinvolgimento di molti soggetti sul libro paga del Capitale rende più difficile l’organizzazione delle masse.
Diventa allora prioritario e fondamentale svuotare la delega elettorale del suo contenuto economico.
I cittadini e i proletari, non si rendono conto che è il loro stesso denaro a finanziare i politici. Non c’è niente da fare. O iniziamo a ragionare in questa direzione, o moriremo prima di raggiungere qualcosa che sia degna di far proseguire nella lotta gli operai e i proletari contro il Capitalismo.
Una volta condivisa la proposta come Movimento del volontariato politico collettivo, bisogna trova il modo di rendere operativi gli strumenti necessari alla gestione amministrativa.
Essendo volontario il mandato elettorale esso deve essere completamente gratuito. Potrebbe sembrare un obiettivo anacronistico. In realtà non lo è se analizziamo il pesante attacco che viene portato alla classe operaia e al proletariato. Mentre aumentano gli stipendi miliardari e la grande rendita agli amici del Capitale.
Detto questo, limitando la nostra attenzione per il momento al solo Comune, si potrebbe pensare a utilizzare alcune strutture già presenti nella amministrazione pubblica, al di là dell’apparato burocratico, e cioè le cosiddette Consulte. Esempio: Lavori Pubblici, Scuola, Cultura, Lavoro, Ecologia, Sport, Pari Opportunità ecc. Il lavoro delle Consulte forniscono al Comune delle soluzioni operative per ogni singolo problema ma con un parere vincolante (o no).

I consiglieri possono proporre delle contro deduzioni ma solo da chi ha veramente le conoscenze e competenze per farlo. Spesso in molte giunte si trovano persone con un curriculum scolastico di licenza media. A volte votano contro progetti importanti pur non sapendo di che cosa si sta discutendo.

Allora:
1) con il risparmio dei costi della politica di un Comune (nel miocomune) si potrebbe far assumere subito 200 lavoratori.
2) Gestione degli Appalti sotto il controllo dei proletari.
3) Partecipazione attiva della comunità alla vita politica del proprio territorio.
4) Controllo degli sprechi che vanno sempre a vantaggio dei soliti trafficoni. ecc. ecc.

Naturalmente gli obiettivi posso essere integrati. Mi guardo attorno e vedo grandi dibattiti. Su problemi concreti, pochi. Certo noi siamo bravissimi a girare attorno e osservare le rane che nuotano negli stagni. Ora non mi resta che salutarvi». 

* arpez32@gmail.com

Un pensiero su “DA PERICLE A TONI NEGRI: IL PRINCIPIO DELL’AGORÀ”

  1. Anonimo dice:

    Pietro GaranteIn relazione al post intitolato “Da Pericle a Toni Negri: il principio dell’agorà” e pubblicato sul blog “Rivoluzione Democratica”, occorre mettere sul piatto della discussione alcuni punti.Partiamo da capo.Moreno Pasquinelli striglia giustamente un Toni Negri che sembra ormai incapace o indisponibile a tornare tra di noi sulla Terra dalle angeliche altezze della “noosfera”. L’unica affermazione, tra quelle riportate, che io mi sento di condividere (e credo che condivida anche Pasquinelli) è che non esiste il lavoro immateriale, ma che anche il cosiddetto lavoro cognitivo è materiale.E’ solo comune buon senso e lo condivido per quello che è.Segue:http://www.comunismoecomunita.org/?p=1654

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