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Dibattito sulla crisi di governo (2)

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[ 06 ottobre 2010 ]

QUANTO DURERÀ IL BERLUSCONI DOROTEO?

la crisi politica si avvita su se stessa e le elezioni anticipate sono più vicine

di Leonardo Mazzei*
Non tutti hanno la medesima opinione su quale sia lo sbocco più probabile della crisi del governo Berlusconi. Nel suo articolo «Il nemico si agita, restiamo calmi», pubblicato su questo blog proprio l’altro ieri, Moreno Pasquinelli sosteneva che l’ipotesi più realistica, in caso di dimissioni del Cavaliere, è il famigerato “ribaltone”. Di diverso avviso Leonardo Mazzei.

«Il discorso pronunciato da Berlusconi alla Camera lo scorso 29 settembre è sembrato totalmente ispirato ad un celebre motto di Andreotti, secondo il quale «tirare a campare è sempre meglio che tirare le cuoia».

Questa volta il poliedrico attore che siede a Palazzo Chigi ha indossato i panni del più consumato dei vecchi dorotei, che tra i democristiani erano i più democristiani di tutti. Di loro si conosceva l’attaccamento al potere, l’assenza di principi, l’esasperato tatticismo, il proverbiale immobilismo. Non si è mai capito quali fossero le loro virtù, ma in compenso erano accompagnati da un’autentica certezza: i loro discorsi erano il più potente sonnifero mai apparso sulla faccia della Terra. Per chi non è giovanissimo ed ha una certa memoria, basti ricordare la prosa insipida e sonnolenta di un Forlani per capire di cosa stiamo parlando.
Dunque, all’improvviso (ma non è la prima volta), il Cavaliere si è messo a fare il democristiano al cubo. Perché l’ha fatto?, e soprattutto, quanto durerà il Berlusconi doroteo?
Prima di rispondere a queste domande, rivolgiamo uno sguardo al quadro generale. Se la crisi economica ha fatto emergere lo sfascio della società italiana – scuola, sanità, previdenza, solo per limitarsi a citare i titoli di ciò che è quotidianamente sotto i nostri occhi – il sistema politico non è certo messo meglio.
E’ un sistema in fibrillazione acuta da mesi, ma il paziente né guarisce né muore in attesa che da qualche parte arrivi una qualche ipotesi di “soluzione”.
Al momento tutti i grandi disegni sono falliti.
Berlusconi ha dilapidato, nello strappo con i finiani, l’enorme maggioranza parlamentare di cui disponeva. Certo, formalmente, questa maggioranza esiste ancora, ma qualcuno crede davvero che possa andare avanti a lungo?
Il Pd appare sempre più come il pugile suonato che non riesce neppure a capire da quale parte dovrà abbandonare il ring. Mentre lo schieramento berlusconiano viveva la sua crisi più grave dal 1994, il Pd riusciva a dividersi su tutto: dalle primarie alla premiership, dalle alleanze alla legge elettorale. In questa Babele, il tentativo di Bersani (vedi Ammucchiata nell’uliveto) di dare un minimo d’ordine al caos non ha avuto grande successo.
I centristi hanno dovuto ridimensionare le loro ambizioni. L’Udc ha perso 5 parlamentari, 2 l’Api di Rutelli. Il loro disegno aggregativo – che include ovviamente i finiani – procede molto lentamente. Fini ha i suoi problemi. Non solo dovuti alla figuraccia monegasca, ma anche alla difficoltà di coniugare le esigenze identitarie (senza le quali non si prendono voti) con lo spregiudicato pragmatismo che richiederebbe il disegno politico.
Se nel centrosinistra si pensa di rimediare alla mancanza di idee con la proposta di un “Papa” straniero (addirittura si è arrivati a parlare di Profumo!), tra i centristi le cose non vanno meglio. Casini, si dice anche perché a rischio dossieraggio, appare debole. Si invoca allora Montezemolo.  Costui ogni tanto scende dalla Ferrari, si aggiusta il ciuffo, per lasciarsi andare a dichiarazioni la cui banalità è pari solo alla presunzione di chi le pronuncia. Un po’ poco per la candidatura a “Papa”, sia pure in tempi grami come questi.
La crisi politica va dunque avvitandosi su se stessa. Nessuno ha il coraggio di mosse veramente forti. Prevale il tatticismo, e non a torto Bersani ha parlato di “fiducia del cerino”, intendendo dire che nessuno osa prendersi la responsabilità delle elezioni anticipate. Lo stesso segretario del Pd, del resto, ha dato il suo contributo in questo senso, ritirando la mozione di sfiducia presentata dal suo partito contro Bossi.
Lo spettacolo offerto in queste settimane dal sistema politico – certo in primo luogo da Berlusconi e Fini, ma anche dalla cosiddetta “opposizione” – è stato assolutamente indecente. Dossier diffusi e minacciati, bestemmie e barzellette, appartamenti e cognati incontrollabili, le più ridicole menzogne, insomma uno scenario da “fine regime” che le continue giravolte rendono ancora più torbido. Il culmine di questa sceneggiata si è raggiunto con un leader che ha fatto propri tutti i temi dell’antiberlusconismo (discorso di Fini a Mirabello) per poi rinnovare la fiducia a Berlusconi, mentre quest’ultimo sembrava ben felice di ottenerne i voti dopo averlo ridimensionato con la distruzione mediatica operata dai suoi giornali di famiglia. 
In questo quadro è prevedibile un forte aumento dell’astensionismo elettorale. Tutti i sondaggisti (ieri Mannheimer sul Corriere della Sera) lo danno per certo, ma basta parlare con le persone al lavoro, al bar ed in ogni luogo, per rendersene conto. L’esodo da un sistema politico antidemocratico ed oligarchico non solo sta dunque proseguendo, ma si va significativamente rafforzando. Una tendenza che conferma il dualismo presente nella società italiana: da un lato un sistema bipartisan oligarchico ed antipopolare; dall’altro un distacco, che per quanto variegato al suo interno, è comunque il segnale della non accettazione delle politiche delle classi dominanti. E’ ancora poco, ma è questa la base necessaria per poter pensare ad una qualsiasi alternativa futura.
Parlando della crisi politica, abbiamo scritto più volte che decisivo sarà il fattore tempo: Berlusconi non può farsi logorare troppo, il fronte antiberlusconiano ha invece bisogno di tempo sia per logorare l’avversario che per organizzarsi al proprio interno.
La domanda che ora si pone è: perché Berlusconi, considerati anche i contrasti interni al blocco avversario, non ha spinto decisamente per le elezioni anticipate in autunno come pure chiedeva la Lega? Che senso ha aver ottenuto la fiducia per continuare a parlare, fin dal giorno dopo, di elezioni in primavera?
Qui i casi sono due: o si tratta di un bluff gigantesco, di una minaccia che non diventerà mai realtà per la paura del voto, oppure ci sono altri motivi che per loro natura non possono essere apertamente dichiarati.
Chi scrive ha la personalissima convinzione che Berlusconi abbia ormai un’unica carta, quella elettorale, da giocarsi al più presto, pur nella consapevolezza che la vittoria sarà tutt’altro che certa.
L’alternativa è appunto quella del logoramento, della fine ingloriosa di una lunga stagione politica. E’ possibile che Berlusconi getti la spugna praticamente senza combattere? Anche nel 1995-1996 molti pensarono che così sarebbe stato, che egli sarebbe tornato a fare semplicemente il capitalista (pardon, l’imprenditore) abbandonando ogni ulteriore velleità politica. Così non è stato. Sarà così questa volta? Vedremo.
Ma allora perché il Berlusconi doroteo? Si potrebbe pensare che non abbia voluto scottarsi le dita con il già citato “cerino”, oppure che si sia accontentato, al momento, delle botte sui denti rifilate a Fini nella vicenda della casa di Montecarlo. Se così fosse Berlusconi avrebbe commesso un grave errore di valutazione. Prima o poi il “cerino” andrà affrontato, ed i finiani non escono così male dalle vicende degli ultimi giorni, tant’è che sembrano andare verso la fondazione di un partito.
Del resto, in questo caso l’andreottiano «tirare a campare», citato all’inizio, c’entra ben poco con la situazione attuale. I democristiani di allora si consideravano (giustamente) inamovibili, mentre Berlusconi sa – o dovrebbe sapere – di essere ormai sul viale del tramonto. Sa comunque con certezza che quello che si va preparando è un bel ribaltone, perché dovrebbe restare con le mani in mano?
Deve esserci perciò un altro motivo per il quale Berlusconi si è travestito da doroteo.
Amedeo La Mattina, su La Stampa del 1° ottobre, apre così il suo articolo: «Alla buvette del Senato, durante una pausa del dibattito sulla fiducia, un ministro sincero confida che si andrebbe ad elezioni anticipate se non ci fosse di mezzo la necessità di dare uno scudo giudiziario a Berlusconi. E aggiunge che, al di là delle chiacchiere, delle tregue (“finte”) con Fini, la verità è che “l’uno vuole ammazzare l’altro”».
E’ questa una spiegazione plausibile del rinvio delle elezioni anticipate? Certamente sì, dato che sono anni che si parla di grandi riforme, ma poi alla fine tutto ruota attorno alla salvezza giudiziaria del Cavaliere. E non è un caso che in questi giorni i leghisti (ieri Maroni sul Corriere) continuino a dire che o il governo c’è – dove per esserci si intende in primo luogo la completa accettazione da parte dei finiani dei diktat del premier sulla giustizia – oppure si dovrà andare al voto.

Vedremo cosa accadrà nelle prossime settimane, ma – al di là delle polemiche domenicali sulla giustizia, registratesi anche ieri – è assai improbabile che la tregua possa reggere a lungo. Berlusconi è sul viale del tramonto, le èlite economico-finanziarie si preparano al grande cambio, ma il Paperone di Arcore mantiene comunque una sua forza e ben difficilmente continuerà a fare il doroteo. Se incasserà lo “scudo” potrà permettersi di andare alle elezioni anticipate, se non lo otterrà sarà addirittura costretto a farlo».
  
* Fonte: pubblicato il 4 ottobre su  Campo Antimperialista


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