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Prc-Pdci: all’ombra di Vendola e del PD

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LA «FEDERAZIONE DELLA PAURA» 
(della serie: “Per un pugno … di seggi”)
di Emmezeta*
La Federazione della Sinistra (FdS) ha dunque tenuto il suo primo congresso. Congresso oltremodo blindato, povero di contenuti e, soprattutto, dominato dalla paura: paura che le elezioni slittino, paura di essere scaricati dal Pd, paura del successo di Vendola. Paura, paura, paura… Può un soggetto politico fondarsi sulla paura? Evidentemente no, ma è proprio questo l’elemento fondante attorno al quale la FdS ha preso forma.


E’ comprensibile che nell’attuale situazione di sfascio molti compagni vedano in questo processo unitario quantomeno un elemento di resistenza. E’ comprensibile, ma i fatti si incaricheranno ben presto di mostrare la vera natura della modestissima operazione messa in campo dallo strano quartetto costituito da Ferrero, Diliberto, Salvi e Patta.

Il fatto che la FdS abbia l’obiettivo prioritario di rientrare in parlamento non ci trova d’accordo, ma non ci scandalizza. Il fatto che tutto, ma proprio tutto, sia subordinato a questo obiettivo, ci parla invece di un soggetto che nasce morto. Di un malato che non ha saputo guarire dal virus che aveva generato la partecipazione al governo dell’Unione. Di un malato che ancora vorrebbe curarsi con massicce dosi di arcobalenismo, che subisce l’egemonia del vendolismo (fino ad appoggiarlo alle ipotetiche primarie) dopo averlo battuto al congresso di Chianciano. Un malato così non ha davanti  a sé molta strada…
A chi pensa che questo giudizio possa essere troppo duro, consigliamo la lettura di quel che va dicendo il nuovo portavoce della FdS, l’ineffabile Diliberto.
In un’intervista a l’Unità del 20 novembre, l’ex ministro della Giustizia del governo D’Alema ha indicato l’obiettivo di “un’alleanza di centrosinistra” – e fin qui potremmo ingenuamente pensare ad una mera alleanza elettorale – e di un “patto di legislatura”. 
Ora, se le parole hanno un senso, “patto di legislatura” vuol dire esattamente accordo di governo. Apparentemente questo stride con le ripetute dichiarazioni di Paolo Ferrero sul fatto che la FdS non andrà al governo. In realtà non c’è contraddizione di sorta. Infatti, la questione della partecipazione diretta al governo non si pone proprio, dato che il Pd è disponibile all’alleanza ma non alla presenza nell’esecutivo dei sinistrofederati.
A cosa servirà allora il “patto di legislatura” è chiarissimo: a garantire i voti della FdS al governo, quantomeno nei passaggi decisivi. Certo, a tutti potrà far gioco qualche distinguo su questioni secondarie, ma nei momenti che contano la FdS sarà lì a garantire il proprio sostegno al governo delle 3M (Marchionne, Marcegaglia, Montezemolo).
Del resto, non è una novità. Fu così anche nel 1996-1998. Anche allora, con ben’altra forza parlamentare, il Prc sostenne dall’esterno il primo governo Prodi. Ed in virtù di quella collocazione, votò le “finanziarie per l’Europa” ed il “Pacchetto Treu”, la legge che dette una spinta decisiva alla precarizzazione del lavoro. 
Ma il fatto che non sia una novità non è un’attenuante, è una pesantissima aggravante. Più esattamente, è la prova lampante di come i gruppi dirigenti che hanno dato vita alla FdS siano in realtà incapaci di uscire dallo schema menopeggista che li ha portati, passo dopo passo, al disastro dell’Arcobaleno. E’ la dimostrazione di una incorreggibile coazione a ripetere.
Per Diliberto il problema della “coazione a ripetere” va invece posto in termini diametralmente opposti. Nell’intervista già citata, riferendosi alle prospettive di governo, egli afferma: «Credo che dagli errori si possa imparare, anche se c’è chi ha una coazione a ripetere gli errori, perseverando diabolicamente in essi e c’è chi ne fa tesoro. Ripeto: dobbiamo fare un patto di legislatura».
Per il nuovo portavoce della Fds il problema non è dunque il governismo – ci mancherebbe! – ma l’incapacità della cosiddetta “sinistra radicale” di essere governista a sufficienza per garantire a Pd e soci una legislatura finalmente tranquilla.
Che una simile impostazione abbia ancora libero corso in una formazione nominalmente “comunista”, dovrebbe inquietare i comunisti di tutte le tendenze.
Che venga riproposta per sostenere un governo oligarchico, europeo ed atlantico (cos’altro potrebbe venire fuori dall’attuale crisi politica non si capisce proprio), nel bel mezzo della più grave crisi capitalistica dopo quella del 1929, è il segno di una subalternità assoluta che non ha bisogno di troppi commenti.
Che tutto ciò si accompagni non solo al sostegno a Vendola alle primarie, ma anche alla supplica al venditore di fumo pugliese affinché magnanimamente li accolga sul proprio vascello, è la prova che la FdS non ha un proprio profilo, una propria identità, tantomeno una propria strategia.
Tornare (in pochi) in parlamento è, secondo molti compagni, la condizione necessaria per esistere politicamente. Quel che sfugge è che tornarci a queste condizioni è proprio il modo certo per scomparire definitivamente.

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