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SOTTO A CHI TOCCA

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Dopo la Grecia, l’Irlanda
il default dell’Italia è il sé o il quando?
di Moreno Pasquinelli
Nonostante i ripetuti interventi per soccorrere l’Irlanda espletati dalla Bce negli ultimi mesi, taciuti per lo più dai media, ma ben noti ai pescecani della finanza (“investitori” nel linguaggio politicamente corretto); Dublino, per trovare acquirenti ai propri titoli di stato, è stata costretta ad offrire un rendimento del 9,26%, ovvero il 6,83% in più rispetto al bund tedesco. Uno spread mai così alto. Gli analisti fanno notare che un differenziale di queste proporzioni lo conobbero i titoli decennali greci lo scorso 27 aprile, sette giorni prima del tracollo che spinse il governo Papandreu a presentarsi col cappello in mano davanti a Bce e Fmi (anche la Cina non ha lesinato aiuti).

Secondo un sondaggio Reuters, due analisti su tre ritengono che l’Irlanda è sull’orlo della bancarotta e sarà costretta a breve ad appellarsi al “fondo salva stati” gestito da Bce e Fmi, e che il prezzo di questo salvataggio si aggirerebbe sui 48 miliardi di euro. Si attende intanto il 7 dicembre, quando Dublino renderà noti i particolari della manovra quadriennale con la quale dovrà riparare ad un deficit pubblico che veleggia già al 32% del Pil.
La burrasca irlandese, annunciata, potrebbe tuttavia scatenare un uragano di ben più ampie proporzioni. Se si guarda agli spread (differenziali) col famigerato Bund tedesco, ieri, 12 novembre, quello greco è salito a 925 punti, quello portoghese a 500, quello spagnolo a 223. Tutti in salita malgrado i riacquisti operati dalla Bce. E lo spread italiano? Esso ha toccato quota 182. Non solo i PIGS, ma pure l’Italia (PIIGS), riescono ancora a spacciare i loro titoli, ma solo promettendo più alti rendimenti —il che equivale a dire che, per far fronte alle spese correnti, questi Stati aumentano il loro indebitamento futuro. Di conseguenza crescono anche i costi della protezione contro l’eventuale default debiti sovrani, ovvero i Credit default swap.
Come pensano di uscirne Tremonti-Pinocchio e soci? Semplicemente non ne hanno, in barba alla loro ostentata sicumera, la più pallida idea. Nell’impossibilità di tagliare con la mannaia la spesa pubblica (causa il timore di provocare sconquassi sociali dalla conseguenze politiche imprevedibili),  sperano soltanto…  in una ripresa economica la quale, nelle attuali condizioni di competizione globale, è come affidarsi all’intercessione dello Spirito Santo.
Così i “mercati” sono affetti dalla sindrome  del “mispricing“,  la paura che di fronte ad un nuovo caso come quello greco, si determini un’insolvenza generalizzata, col rischio quindi di lasciarci le penne. I mercati…. Ma di chi in realtà stiamo parlando? Sono forse “i mercati” entità metafisiche o astratte? per niente. I grandi acquirenti di titoli di stato in euro sono in realtà investitori istituzionali (banche, gruppi assicurativi, fondi d’investimento, quindi anche hedge fund, fondi pensione, ecc.): enti capitalistici che dispongono di colossali disponibilità finanziarie. Esiste una linea che separi i “cattivi” speculatori dagli investitori non speculativi? No, non esiste: ogni investitore punta a guadagnare denaro muovendo denaro (rendita), ed è quindi destituito d’ogni plausibile fondamento il piagnisteo moralistico di chi vorrebbe far credere che nel capitalismo-casinò ci sarebbero una maniera onesta e una disonesta di moltiplicare i quattrini. La cosiddetta “speculazione” altro non è che rendita finanziaria, campo in cui, come dice il vecchio adagio popolare: il più pulito c’ha la rogna.
Se lo cose stanno così dobbiamo allora ricavare un altro assunto: che sono gli Stati stessi, e i governi che vanno e vengono dunque, ad alimentare il grande gioco. Il debito pubblico è come il miele per le mosche della “speculazione”, il principale serbatoio in cui si alimentano le sanguisughe della finanza. Togli il debito, azzeralo, dichiara default, e i vampiri schiatteranno. Per capire l’entità del malloppo basti sapere che il valore dei titoli a medio-termine (e parliamo solo di quella a medio termine!) messi all’asta nel 2010 nella zona euro, ammonta alla iperbolica cifra di 960 miliardi circa (altro che il quantitative easing della Fed americana!). (1)
Proprio per cautelarsi dal rischio di bancarotta i vampiri esigono che le banche centrali e i governi, li assicurino che in caso di default, che ci sarà chi gli restituisce i soldi prestati, ovviamente con tanto di interessi. Per questo “i mercati”, leggi i grandi investitori finanziari, se la sono presa a male, alcuni giorni fa, quando Germania e Francia, malgrado le proteste della Bce e di Trichet (che fungono da garanti della grande giostra finanziaria), hanno dichiarato che in caso di default degli Stati, le perdite se le dovranno accollare anche loro, non solo le finanze pubbliche. Apriti cielo! Mugugni e rimbrotti. Non fosse mai che si ponga  fine all’andazzo per cui si ripagano i debiti privati coi soldi pubblici, interrompendo quindi la perversa spirale che per prima alimenta il Moloch della rendita finanziaria. Solo mugugni? Neanche per sogno. “I mercati”, come ubbidendo a comando, hanno lanciato i loro segnali di guerra, inziando appunto a giocare sugli spread, speculando anzitutto sui debiti sovrani d’Irlanda e Portogallo.
Tremonti-Pinocchio, dopo aver tirato un sospiro di sollievo per il buon andamento dell’ultima asta di titoli italiani (aste che, diciamocelo, sono la madre di ogni preoccupazione dei governi di questa nostra Italia alo sfascio), rassicura che il Paese è solvibile, che gli investitori non corrono rischi. “Tranquilli —dice in pratica il Ministro— saremo in grado  di spillare agli italiani fino all’ultima goccia di sangue, ma rimetteremo tutti i nostri debiti”. 
Le cose ovviamente non stanno così. Proprio ieri sono stati diffusi i dati sul debito pubblico italiano, che ha toccato il suo picco storico, mentre l’economia boccheggia, e le stime di crescita vengono riviste al ribasso. In questo contesto il rischio di una tempesta dei debiti sovrani dei PIGS, potrebbe travolgere letteralmente lo Stivale. Una prova?
Il 16 settembre scorso, quasi in sordina, Il Sole 24 Ore, con un articolo di Riccardo Sabbatini, informava che Poste-vita proponeva ai risparmiatori una polizza (denominata Radar) a  tutela dal rischio di default dell’Italia. In altre parole, Poste assicura gli eventuali acquirenti di BTp che in caso di bancarotta essi avrebbero limitati i rischi. Chiosava il Sabbatini: «I prezzi correnti dei BTp e gli spread che registrano sul Bund tedesco incorporano un certo rischio di default che gli investitori attribuiscono a titoli sovrani made in Italy. Tuttavia sorprende il fatto di trovarlo esplicitato in un prospetto informativo redatto per giunta da un ente (le Poste Italiane) controllato per intero dal ministero dell’Economia. Sono le meraviglie della trasparenza». In poche parole il governo emette i titoli, ma per poterli meglio vendere, li assicura dal rischio della propria insolvenza. Come colui che mentre si fa cambiare con denaro contanti un proprio assegno postdatato, dicesse al creditore: “Guarda che non è sicuro che quando lo porti all’incasso sarà coperto, meglio che ti assicuri dall’eventualità che vada protestato”.
Domanda: tu ti fideresti di cambiare un assegno ad un tipo simile? Seconda domanda: fino a quando la banca continuerà a concedergli dei carnet?
Note
(1) Il sole 24 Ore del 12 novembre

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