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Il caso Calipari e il ruolo di Berlusconi, Letta e Fini

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Nassiriya. Iraq. Dicembre 2004. I simboli dei “peacekeepers”
italiani in bella mostra in una delle loro camerate.

SE QUESTI SON “PATRIOTI”


come ti insabbio un’inchiesta per
compiacere gli Stati Uniti

di Anonimo

Sarà una “minestra riscaldata”, come è stato scritto su questo Blog, tuttavia ciò che sta uscendo dalla Cloaca Massima yankee grazie a Wikileaks, proprio perché gettato in faccia all’opinione pubblica, sta suscitando in numerosi paesi dei piccoli terremoti politici. I danni saranno presto riparati? ma certo che sì! Per l’intanto numerose satrapie americane vengono esposte al pubblico ludibrio. Tra queste satrapie c’è anche quella italiana.




Tutti sapevano che l’allora governo Berlusconi (con Fini Gianfanco Ministro degli Esteri e Pollari Niccolò—sì, sì quello del sequestro di Abu Omar e di numerose altre trame eversive, salvato dalla galera solo grazie al soccorso del “segreto di Stato” fornito lui sia dal governo Berlusconi che da quello di Prodi— a capo del SISMI) insabbiò la tragica vicenda dell’uccisione di Nicola Calipari (un alto papavero dello stesso SISMI e capo-stazione a Baghdad).

Fa tuttavia un certo effetto venire a sapere cosa scrisse l’ambasciata americana in Italia con un cablogramma del 3 maggio 2005 inviato a Washington (allora, non dimentichiamolo, c’era Bush). 


Torniamo al “fattaccio”. Calipari venne falcidiato e ucciso, il 4 marzo del 2005 (mentre in Iraq infuriava la guerra di liberazione contro gli occupanti, tra cui anche gli italiani, che lo stesso governo Berlusconi inviò per dar man forte agli americani), da una smitragliata del soldato USA Lozano, ad un check-point nei pressi dell’aeroporto di Baghad, mentre riportava a casa la giornalista de il manifesto Giuliana Sgrena. La tesi americana era che si trattò di un “increscioso incidente”. “Fuoco amico”, dissero gli americani.

Inutile dire che si trattava di una volgare menzogna. 

Nei giorni successivi all’assassinio, bastarono poche inchieste giornalistiche, basate sulle dichiarazioni della Sgrena e dell’ufficiale che accompagnava lei e il Calipari, per avvalorare la tesi di un assassinio premeditato. Gli americani si appellarono alle “regole d’ingaggio”, ma la giustificazione non resse alla prova dei fatti. La vettura col Calipari non viaggiava affatto a tutta velocità, ma procedeva lentamente, sapendo, i passeggeri, che si sarebbero trovati di fronte al rischio di un improvviso check-point americano, e ben conoscendo, sia le regole d’ingaggio, sia il rischio di essere attaccati proprio dagli americani —intenzionati a dare una lezione agli “amici italiani” per la loro attitudine a trattare “con gli insorti” e a pagare loro il riscatto.
Nicola Calipari

Sappiamo, sempre da indiscrezioni rivelate dai giornalisti (se non erro la Sarzanini su Il Corriere della Sera e D’Avanzo su Repubblica, come pure dall’inchiesta della successiva Procura di Roma) che il Calipari, proprio per evitare guai con gli americani (e forse perché non si fidava dei suoi stessi colleghi a Roma, tra cui, pare, proprio Pollari), disattivò il suo telefono satellitare, proprio mentre si recava a prendere in consegna la Sgrena. Tuttavia gli americani riuscirono a intercettare i suoi movimenti, di sicuro mentre, dopo aver pagato il riscatto, viaggiava verso l’aeroporto. E deliberatamente gliela fecero pagare.

Che Calipari non si fidasse degli americani, che quindi non fosse dentro il SISMI un loro cameriere, ci è confermato dalla testimonianza dell’ex-senatore di Rifondazione Gigi Malabarba, nel libricino che venne pubblicato nel 2006 come supplemento a Liberazione. Tesi che il Malabarba, senatore dal 2006 al 2008 e membro della Commissione servizi del Senato, ripetè ufficialmente affermando: 


«Negli ambienti dei servizi e per ammissione esplicita da parte americana, la collaborazione tra Italia e Stati Uniti in campo di intelligence militare è più organica persino di quella tra Washington e Londra, che pure in Iraq e non solo conducono insieme guerre da lunga data.
È noto, però, come forti contraddizioni siano esplose nella cosiddetta Coalizione dei volenterosi, in particolare in occasione dei sequestri. Gli interessi italiani, compresi, ovviamente, quelli del governo Berlusconi, che hanno spinto per ottenere con ogni mezzo la liberazione degli ostaggi, si sono scontrati frontalmente con quelli degli americani, sostenitori della linea della “fermezza” contro ogni logica trattativistica.

Fino a un certo punto è stato possibile contenere il contrasto, permettendo agli alleati di sfruttare persino i rapporti tradizionali della nostra intelligence con i regimi arabi, i loro servizi e le formazioni armate mediorientali nell`interesse della Coalizione, così come era stato in Iraq prima della guerra e durante la fase di occupazione militare anglo-americana del paese. L`ultima possibilità di conciliare le diverse esigenze si è verificata con l`invenzione – per la verità un po` goffa – del blitz americano per la liberazione di Agliana, Cupertino e Stefio al fine di mascherare le trattative che tutti sapevano essersi realizzate.

Il killer Mario Lozano

Ma il Comitato sequestri istituito dalla Coalizione a Bagdad, sotto diretto controllo dell`ambasciata degli Stati Uniti, non ha più tollerato le modalità attuate dalla diplomazia italiana e dal Sismi in occasione dei sequestri successivi di Enzo Baldoni, Simona Pari, Simona Torretta e Giuliana Sgrena. Se è risaputo, infatti, che per ben quattro volte le trattative tra il governo francese e i rapitori dei due giornalisti sono state fatte saltare per gli interventi ostativi americani, meno è stato rivelato rispetto alle interferenze messe in atto da parte americana nei confronti dei tentavi di liberazione degli ostaggi italiani.

Giustamente, l`unica strada attuabile per liberare gli ostaggi da parte delle autorità italiane e del Sismi, certamente irta di insidie, non poteva che essere quella di operare appunto sulla base di mezze verità e di mezzi silenzi nei confronti delle autorità americane.

Non è possibile avere dubbi che John Negroponte abbia messo in opera un progetto di contrasto dell`attività diplomatica e di intelligence italiana, pianificando alcuni contesti nei quali intervenire direttamente: durante i contatti con i rapitori di Giuliana Sgrena e i loro intermediari e rispetto al luogo di detenzione, nonché nella fase di liberazione. Questo lo sappiamo, negarlo oggi sarebbe irresponsabile. Obiettivo di Negroponte: semplicemente ricondurre ogni vicenda relativa agli ostaggi alle direttive Usa. Le circospezioni con cui Calipari si stava muovendo anche nel giorno della liberazione della giornalista del Manifesto hanno a che vedere esplicitamente con questo, o no?

Nessun ostacolo, peraltro, è venuto da parte americana nella concessione dei badge e nel facilitare l`operatività del Sismi il 4 marzo. Il capitano Green non sapeva nulla: può essere. Vorrei ricordare però come sia abbastanza noto che il controllo dei cellulari e dei satellitari consente agli americani di seguire spostamenti e conversazioni: anche questo ha indotto Calipari a chiudere ogni contatto telefonico fino alla liberazione di Giuliana Sgrena. Dal momento delle prime chiamate dei due agenti del Sismi a bordo dell`auto diretta verso l`aeroporto, ossia poco dopo le 20, tutti i movimenti di Calipari erano nelle disponibilità americane, ancora prima della comunicazione ufficiale al capitano Green avvenuta alle 20.30 circa.

La sparatoria al check-point volante, istituito proprio per una visita non prevista di Negroponte all`aeroporto di Bagdad avvenuta nelle ore precedenti, è uno dei possibili contesti in cui chi non si è “coordinato” con il comando Usa può incidentalmente incappare.

Questo incidente è stato lucidamente deciso a tavolino e non necessariamente per bloccare “le rivelazioni” che l`ostaggio avrebbe potuto fare, come taluno ha sostenuto.

Il check point, istituito alle ore 18.43 per il transito di Negroponte, non è servito all’ambasciatore, ma è stato programmato e protratto oltre ogni limite di sicurezza fino all’impatto con l’auto di Calipari alle 20.55, in ritardo rispetto al rientro preventivato dall’agente del Sismi. ‘Casualmente’ il check point non è stato avvisato dal capitano Green in aeroporto all’arrivo di Calipari, ‘casualmnente’ le comunicazioni dal comando per dire che Negroponte già alle 20.10 stava entrando a Camp Victory per un’altra strada non hanno funzionato. Un check point civetta, quindi, che ha creato tutte le condizioni di illegalità formale, di stress della pattuglia e persino di disappunto del capitano Drew distolto dall’attività di pattugliamento di ordinanza della Route Irish, descritta nelle parti classificate e non delle due relazioni; condizioni che hanno creato volutamente il contesto della sparatoria.

Qualche settimana fa è stato celebrato il venticinquesimo anniversario dell`assassinio sull`altare di mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, ad opera di un agente al servizio del maggiore Roberto D`Aubuisson, fondatore del movimento politico-militare Orden, ben conosciuto e coordinato con l`ambasciatore Negroponte. Se non avessi seguito da allora le vicende centroamericane e non avessi passato un anno in Salvador nel pieno delle operazioni di “controinsorgenza”, forse non mi sarebbero saltate all`occhio le modalità con cui i check-point diventano la tomba di persone scomode, in Centroamerica ieri come in Iraq oggi: i fatti si svolgono con una ripetitività talmente impressionante da farmi pensare che almeno la fantasia non è appannaggio di questi signori.

Ma è soprattutto la modalità di costruzione della rete politico-militare a cavallo tra l`esercito e l`intelligence, parallela alle strutture ufficiali, che corrisponde straordinariamente negli aspetti operativi a quanto realizzato dallo stesso Negroponte in Iraq per sua stessa ammissione. Il Tribunale di Bruxelles per i crimini di guerra in Iraq, già Tribunale Russel, ha reso nota recentemente l`esistenza di un “gruppo 27” dei marines, autore di alcuni sgozzamenti di contadini con incendio dei palmeti del villaggio di Tarmiya, a sessanta chilometri da Bagdad. Esistono testimonianze attendibili, riscontrabili peraltro in preoccupati articoli del New York Times.

Il trattamento è differenziato nei confronti dei nemici, nemici potenziali o alleati. Il manuale di istruzioni che definisce tutte le casistiche purtroppo esiste ed è stato applicato su larga scala e perfezionato negli anni con i villaggi strategici nel Sud-Est asiatico come con le aldeas modelos in Guatemala e oggi in Iraq, e il suo autore è lo stesso che oggi è diventato il coordinatore dei 15 servizi di sicurezza degli Stati Uniti e ogni mattina alle otto conferisce con il presidente Bush.


Niccolò Pollari con la moglie di Calipari ai funerali di Stato

La mia convinzione sulle responsabilità di Negroponte non è di oggi. Ho voluto evitare queste considerazioni durante il sequestro di Giuliana Sgrena e anche nella fase di avvio di questa farsesca Commissione d`inchiesta mista, utile solo a tentare di trovare una versione dei fatti concordata tra i due paesi, cosa peraltro non facile visto il comportamento arrogantemente autoassolutorio degli americani. Quando ci sono persone che rischiano la loro vita, bisogna essere cauti e – come ho già detto in aula al Senato commemorando Calipari, che avevo avuto modo di conoscere proprio in occasione di una visita alla sede centrale della Cia – ci sono anche persone che non potranno avere neppure come lui gli onori del ricordo del loro sacrificio. Ma a questo punto rischia di essere vero il contrario anche da questo punto di vista: o si prende atto che questa è la legge imposta dagli Stati Uniti anche ai loro alleati (che si sono subito allineati alla linea della fermezza meno di un`ora dopo l`uccisione di Calipari, come ognuno ricorderà) o le persone che rischiano, italiane o irachene che siano, saranno molte di più». (Omicidio Calipari: indagare sull’ambasciatore Negroponte)

E’ per noi un mistero come mai Malabarba (che giustamente tirò in ballo anche il Responsabile berlusconiano della Croce Rossa in Iraq Scelli come uomo al servizio degli americani) abbia poi potuto difendere l’operato di Niccolò Pollari (il quale ultimo ha più spesso dichiarato la sua amicizia proprio col Malabarba). Stendiamo un pietoso velo.

Per chi ne volesse sapere di più, può leggersi il libro di Marco Bozza «Nicola Calipari. Ucciso dal fuoco amico», nel quale possiamo leggere: «Era certamente nota agli americani la sua partecipazione e collaborazione anche ad altre vicende di sequestri avvenuti sul territorio iracheno ed anche in questo caso della giornalista italiana rapita, pur in assenza di una espressa comunicazione formale ai Comandi militari USA del motivo della missione, Nicola e la sua squadra, come molte altre volte, hanno richiesto l’autorizzazione per atterrare all’aereoporto di Bagdad, per poter alloggiare a Camp Victory e, muniti di tesserini identificativi e di armi, per i loro successivi spostamenti nella capitale irachena. Nicola ha non solo condotto a termine la sua missione, la liberazione di Giuliana Sgrena, ma ha anche sacrificato la sua vita per proteggerla dal “fuoco-amico” e, proprio per rispettare quella bandiera nella quale è tornato avvolto da Bagdad, continuo a chiedere con forza e determinazione la verità su quanto è realmente accaduto e di far luce sulle responsabilità di coloro che direttamente o indirettamente ne hanno causato la morte. Non è possibile avere pace se non c’è giustizia».

Veniamo ora alla “minestra riscaldata”, al cablogramma che l’ambasciatore USA a Roma inviò il 3 maggio a Washington. Cosa ci dice? Ci dice, con parole inequivocabili, che il governo italiano, in barba alle evidenze, per non creare imbarazzo agli USA, avrebbe fatto tutto il possibile per insabbiare l’inchiesta in corso della Procura romana e per avvalorare la tesi dell’incidente “tecnico”, del “fuoco amico”. Veniamo a sapere che ci fu addirittura, su richiesta dell’Ambasciatore americano, un incontro riservatissimo a cui parteciparono Fini e il vicepremier Letta, in cui entrambi assicurarono la volontà del governo di “lasciarsi alle spalle l’incidente”, confermando che l’Italia avrebbe mantenuto le sue truppe cammellate in Iraq (di che tipo di truppe cammellate, vedi foto sopra)


Questi sarebbero i “patrioti”? I “patrioti” la cui patria, se son giunti fino al punto di insabbiare la verità sull’assassinio, non di un cittadino italiano qualsiasi, ma del numero due del Servizio segreto militare, sono evidentemente gli USA, non l’Italia.

Non si pensi che patrioti di tal fatta abitino solo il centro-destra. Nessuno dimentichi la strage del Cermis, il 3 febbraio del 1998, quando un aereo militare USA partito dalla base di Aviano tranciò le funi della funivia del Cermis in Val di Fiemme, causando la morte di venti persone, non solo italiane. Un anno dopo, il governo presieduto da D’Alema, avallò la tesi della Procura di Trento per cui i militari americani non fossero perseguibili in Italia, e lasciò che i colpevoli facessero ritorno negli USA. Lo stesso D’Alema che in quei mesi fece dell’Italia la portaerei USA per l’aggressione alla Jugoslavia, D’Alema che, poi sapremo, mentì spudoratamente, visto che i fatti confermeranno il coinvolgimento diretto dell’aviazione italiana nel bombardamento di Belgrado accanto ai compari americani.

4 pensieri su “Il caso Calipari e il ruolo di Berlusconi, Letta e Fini”

  1. Cornacchia dice:

    C'è un errore da correggere "Il ministro degli esteri era Gianfranco e non Massimo Fini)

  2. Rivoluzione Democratica dice:

    banale errore dell'autore.Che ci ha subito permesso di correggerlo.

  3. storico dice:

    La verità è l'unico strumento per onorare la memoria di un servitore dello StatoLa memoria di Nicola Calipari uccisa dallo Stato?

  4. Rivoluzione Democratica dice:

    Ringraziamo «Storico» per il suo post. Per quanto riguarda "l'onorare la memoria di un servitore dello Stato"… beh, qui divergiamo, non sul fatto che Calipari fosse un servitore, ma proprio sullo Stato, proprio lo stesso che non ha voluto difendere la sua memoria. Ma non c'era bisogno di quest'ennesima prova per sapere di che Stato stiamo parlando.Capiamo tuttavia il senso del post, che fa rima (siamo andati a spulciare il blog di «Storico», con questa due vere e e proprie perle:(1) «Martedì Roma è stata messa a ferro e fuoco da un gruppuscolo di delinquenti».(2) «Per tutti i 23 fermati responsabili delle devastazioni di martedì nel centro storico di Roma è stata riconosciuta la legittimità dell'arresto. Ma solo uno di essi avrà gli arrewsti domiciliari. Tutti gli altri sono stati rimessi in libertà. Un fulgido esempio di come la giustizia italiana sia una barzelletta».Posizioni, appunto, da servitori dello Stato.

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