REFERENDUM A MIRAFIORI: UN EFFETTO COLLATERALE
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Quelli che il «lavoro cognitivo»… … “Sì” bulgaro contro gli operai |
Prime vittime:
Negri e i teorici del «lavoro cognitivo» o «immateriale»
(prima parte)
di Moreno Pasquinelli
Nel grafico accanto i risultati reparto per reparto. Spicca la vittoria “bulgara” del “Sì” tra gli impiegati, senza la quale Marchionne e il suo Esercito della salvezza sarebbero usciti praticamente con le ossa rotte. Un effetto collaterale di questo decisivo referendum è che vengono seppelliti, sia la stravagante teoria post-moderna del «lavoro cognitivo» che i suoi teorici, primo fra tutti Toni Negri.
Non si pensi che gli impiegati del Lingotto siano dei meri passacarte.
«Li chiamano impiegati, in realtà sono tecnici con professionalità elevate, hanno mansioni che richiedono competenze di robotica e meccatronica, specializzazioni inimmaginabili pochi anni fa. Gestiscono squadre o complessi programmi informatici, rischiano diventare i “colpevoli” della sconfitta del No». [Nino Ciravegna, Il Sole 24 ore, 16 gennaio]
L’articolo continua dando la parola al “Signor G.”: «Il signor G. è un capo Ute, Unità tecnologica elementare, gestisce una cinquantina di operai al reparto montaggio, terra di frontiera, con una sindacalizzazione spinta: nell’immaginario collettivo è dove si concentra il lavoro pesante, alienante e ripetitivo. Capo al montaggio, lavoro difficile».
L’articolista compie qui due mosse furbette: la prima, che il montaggio sarebbe un reparto “dove si concentra il lavoro pesante, alienante e ripetitivo”, ma solo nel cosiddetto “immaginario collettivo”. Togliete “immaginario collettivo” e avrete la cruda realtà. La seconda, per suscitare nel lettore l’empatia verso il signor G., che quello di capo del montaggio sarebbe “un lavoro difficile”. Oddio come lo compatiamo!
Ma restiamo al tema. Il 95,5% di questi impiegati svolge, con l’ausilio di diavolerie informatiche modernissime, funzioni di controllo e comando della forza lavoro. Non si tratta più solo di semplici impiegati quindi: si tratta di figure professionali che per compito istituzionale hanno quello di verificare che gli operai o il singolo reparto, lavorino sodo e rispettino gli obiettivi produttivi. Usando una metafora militaresca, sono come caporali i quali, ricevute le istruzioni dei gradi superiori, debbono accertarsi e far sì che i singoli in trincea, rispettino le direttive impartite, e vadano a morire se questo è richiesto. Grazie all’informatizzazione e alla robotica, rimpiazzano insomma, i vecchi capi squadra e i tradizionali capi reparto, i famigerati cronometristi che in catena di montaggio monitoravano i tempi del singolo operaio, solo che non stanno fisicamente nei reparti, ma svolgono queste loro mansioni virtualmente, dall’alto dei loro uffici.
Quello di queste nuove figure impiegatizie sembrerebbe dunque, aocnr più dei loro antesignani, un lavoro mentale o, se si preferisce, intellettuale. Vero, ma a condizione di precisare che questo lavoro è a sua volta comandato dai calcolatori, telediretto, non necessità di alcuna “creatività”, né di sostanziale autonomia. Il capo della Ute deve attenersi strettamente alle istruzione contenute nel software, è una protesi della macchina, un esecutore che, nella misura in cui pensa, lo fa per segnalare un’anomalia, ovvero come e perché l’operaio si discosti dagli standard prestabiliti, per informare chi è addetto al controllo della catena di porvi rimedio.
La differenza con l’operaio non è solo quantitativa, nell’ammontare del suo reddito, ma qualitativa: mentre l’operaio svolge una mansione produttiva, ovvero col suo lavoro vivo aggiunge valore alla merce e consente anche al “lavoro morto” —alle macchine e ai robot, che sono pur sempre una forma materializzata di lavoro operaio passato— di trasferire il valore in esse incorporato; l’impiegato non contribusice a creare plusvalore che indirettamente, solo grazie al dispendio di energie, fisiche e mentali, dell’operaio in produzione. Ultimo ma non meno importante, come detto sopra, questo partecipare dell’impiegato al processo dio valorizzazione del capitale, avviene nelle forma sbirresca del controllo e del tele-comando. Egli, nella misura in cui è “mente e braccio”, è mente e braccio del padrone, è la figura mediatoria indispensabile tra capitale e lavoro —la figura grazie alla quale, grazie alla tecnica, il capitale esercita la sua supremazia sugli operai, li sfrutta, e trasmuta le loro energie, fisiche e mentali, nel valore della merce.
Che c’entrano i teorici del “lavoro cognitivo” e Toni Negri con tutta questa faccenda? C’entrano poiché essi, vittime del delirio post-modernista della fine del “lavoro”, hanno non solo teorizzato la tesi che il modo di lavorare taylorista e fordista era morto e defunto, e con esso l’operaio tradizionale. Essi l’hanno entusiasticamente abbracciata sostenendo che saremmo entrati in un’epoca nuova, quella del bio-capitalismo, nella quale, destituita d’ogni fondamento la legge marxiana del valore, la ricchezza sprizzerebbe oramai, non ha monte, nel processo produttivo, bensì da ogni poro della società, nella sfera del consumo, come metafisica secrezione della moltitudine.
In particolare Negri, e in maniera ancor più radicale e fantasmagorica alcuni suoi epigoni, hanno sostenuto e sostengono che non più il “banale” lavoro materiale tradizionale, bensì quello mentale dei “lavoratori cognitivi” sarebbe la fonte principale di creazione di ricchezza. Come dicono i negriani con espressione cervellotica: «Il bio-capitalismo capta valore dappertutto, poiché tutta la vita è messa a valore».
Negri partì per la tangente: «L’economia informatizzata implica necessariamente un mutamento nella qualità e nella natura del lavoro. Si tratta della conseguenza più immediata, dal punto di vista antropologico e sociologico, di un cambio di paradigma economico». [Toni Negri, Micheal Ardt. L’impero, pag. 271]
La mitizzazione della cosiddetta rivoluzione informatica rasenta il delirio: «Le macchine interattive e cibernetiche sono come nuove protesi, ormai integrate con le nostre menti e i nostri corpi fino al punto da ridefinirli completamente in quanto menti e corpi. L’antropologia del cyberspazio segna definitivamente una nuova condizione umana». [Ibidem, pag.273]
Sì, avete letto bene: cambio di paradigma, nuova condizione umana, rivoluzione antropologica. Il tutto proprio nel senso di un’apologia viscerale della modernizzazione capitalistica, che i negriani, in altre sedi, hanno perorato come “nuovo modo di produzione”. Qui non siamo solo in presenza di un’esagerazione sesquipedale della portata dei processi d’informatizzazione, siamo alla loro aperta perorazione come palingenesi rivoluzionaria; per i teorici del “lavoro cognitivo”, essi conterrebbero per loro stessa natura, la tanta anelata liberazione, una specie di comunismo, non solo in potenza ma addirittura in atto.
Per capire fino a che punto giunge il delirio simil-foucaultiano diamo di nuovo la parola a Negri:
«Oggi d’altra parte la natura del lavoro si è modificata e nel post-fordismo domina il lavoro immateriale che rende gran parte dei lavoratori, per così dire, degli intellettuali: gente dunque che per produrre utilizza il cervello. A questo punto è ormai impossibile distinguere tra tempo di lavoro e tempo della vita, poiché ci siamo liberati del capitale come entità che anticipa gli utensili del lavoro. Ecco, la moltitudine produce indipendentemente dal capitale, e spesso contro il capitale». [Intervista di Paolo Di Stefano, Corriere della Sera, 30 luglio 2001]
Per Negri avremmo a che fare con«rapporti di produzione post-moderni» [Toni Negri, Micheal Ardt. L’impero, pag. 201] i quali farebbero degli operai tradizionali una specie in via d’estinzione, rimpiazzati dai “lavoratori immateriali” o “cognitivi” i quali sarebbero la principale forza motrice della liberazione, anzi! queste nuove figure “moltitudinarie” si sarebbero già “liberate del capitale”, produrrebbero oltre e contro il capitale.
Sorvoliamo per economia di discorso sull’allucinazione neo-cartesiana dell’uomo-macchina —per cui l’informatica avrebbe plasmato un nuovo tipo di essere umano, in cui corpo, mente e macchina sarebbero perfettamente “integrati”. Sorvoliamo sul trip negriano per cui nel cyberspazio la macchina informatizzata sarebbe una protesi integrata dell’uomo, mentre semmai avviene esattamente il contrario — per cui, con le nuove tecnologie informatiche, le figure del lavoro salariato sono, non meno schiavizzate dal capitale ma di più, non più creative ed emancipate ma radicalmente instupidite, qualititativamente dequalificate, maggiormente private di autonomia e coscienza. Sorvoliamo per carità di patria e torniamo al punto.
Cosa ci dice il risultato del referendum a Mirafiori? Ovvero: cosa ci dicono la globalizzazione e il modus operandi del grande capitale? Ci dicono alcune cose: (1) Che il post-fordismo è una leggenda, visto che negli ultimi vent’anni, su scala planetaria, gli operai salariati con mansioni manuali, ripetitive e alienanti, sono pressoché raddoppiati. (2) Che nelle stesse fabbriche altamente automatizzate la funzione del lavoro operaio di linea è più che mai decisiva affinché si attui il processo di valorizzazione del capitale. (3) Che l’enorme flusso di delocalizzazioni, ovvero di investimenti di capitale da Ovest verso Est, e da Nord verso Sud, si spiega appunto grazie alla tendenza ad ottenere i più alti saggi di profitto. (4) Che l’uso dell’informatica e della robotica ha vieppiù schiavizzato l’operaio, incatenandolo a mansioni alienanti e ripetitive, a ritmi disumanizzanti. (4) Che il cosiddetto “lavoro cognitivo” riguarda pur sempre una minoranza la quale, lungi dall’essere il “nuovo soggetto sociale rivoluzionario”, è costitutivamente funzionale al comando capitalistico, antagonistico, non rispetto al capitale, quanto alle istanze operaie. (5) Che la protervia con cui Marchionne ha posto il suo ricatto anti-operaio è la prova provata che è nella sfera della produzione tradizionale che si compie il “miracolo”, ovvero la creazione di plusvalore senza cui il capitale è destinato a svalorizzarsi e a perire. (6) Che è quindi pur sempre la classe operaia il nemico in pectore del capitale e la sola leva per scardinare la macchina capitalistica dello sfruttamento.
Non è così compagno Negri? Non sarebbe ora di ammettere di aver preso una cantonata teorica colossale? Non sarebbe ora, compagni di Uninomade, di prendere atto che, prima ancora degli operai di Mirafiori, proprio i tanto decantati “lavoratori cognitivi”, col loro voto miserabile, hanno denudato il fascino consolatorio della vostra metafisica narrazione?