Tunisia: una testimonianza diretta
«Il popolo organizza la sua difesa»
di Alma Allende, da Tunisi*
Il secondo giorno il popolo tunisino si sveglia sotto un’ampia e tersa volta celeste che copre ancor di più il silenzio teso che si è impossessato delle strade. I miei amici Ainara e Amin, dopo una notte di terrore rifugiati in casa di un operaio vicino a viale Bourguiba, dove sono rimasti intrappolati dopo la manifestazione del giorno precedente, vengono a rifugiarsi a casa. Portano i giornali e non riusciamo a trattenerci dal ridere con puerile entusiasmo. Da un giorno all’altro i quotidiani in arabo del regime di Ben Ali hanno preso atto della rivoluzione. As-Sabah titola: “Il popolo ha detto la sua”. As-shuruq, più popolare, è ancora più esplicito: “La volontà del popolo ha trionfato”. Per la prima volta nella sua storia, dove compaiono i nomi del comitato di redazione hanno aggiunto una frase: “quotidiano indipendente del mattino”. E’ come se ABC intitolasse la sua edizione con un “viva Fidel!”.
Quando siamo usciti per la strada abbiamo trovato un altro paese. Medesimi alberi, medesime case, medesima gente, ma in un mondo parallelo, in un’altra dimensione clonica nella quale tutto è esattamente diverso dal suo gemello. Tutto tace e pochissime persone circolano per le strade di Mutuelleville. I negozi sono chiusi; naturalmente anche il Magazin General, che comunque, a differenza dagli altri supermercati, non è stato saccheggiato né bruciato. Troviamo finalmente un negozietto aperto alle spalle di un edificio, vicino a Charles Nicole. Una ventina di persone ammassate di fronte al banco. Qualcosa è cambiato: non c’è latte né farina né pane. Ma non è questo l’importante. La gente è -come dirlo- più educata; è più delicata, più rispettosa. Niente spintoni e prepotenze, nonostante la carenza di approvvigionamenti e la necessità di portare a casa qualche vivanda. Tutti aspettano il proprio turno, domandano con serenità, si scambiano informazioni. In dieci minuti stabiliamo una profonda amicizia con una famiglia che esprime il proprio sollievo per la partenza del dittatore. In un sacchetto abbiamo una bottiglia di schweps, due succhi d’arancia, un tubetto di dentifricio, due tavolette di cioccolata e una lattina di sardine.
In Place Pasteur, la poca gente che passa saluta il picchetto militare, circondato da fil di ferro, che fa la guardia all’entrata del Belvedere. Siamo tutti tesi, abbiamo paura, però quando ci incrociamo ci scambiamo un saluto. In ogni sconosciuto, in qualche modo, riconosciamo qualcosa in comune, un’amicizia d’altri tempi che vogliamo verificare con questo “aslema” timido e sorridente.
Poi, verso le due del pomeriggio, la giornata ha una svolta. Incominciano ad arrivare notizie di gruppi armati che, in automobili senza targa, entrano nei quartieri della capitale e sparano indiscriminatamente, assaltano le case e le saccheggiano. I vicini si organizzano, armati di bastoni, per difendere i loro quartieri. Nella nostra via un gruppo che brandisce coltelli viene respinto dagli abitanti delle case attigue, che mi dicono d’aver chiesto aiuto alla polizia. Munquid, che vive nel garage di fianco e ha l’incarico di bagnarci le piante d’estate mi assicura, lancia in resta, che difenderà anche la nostra casa.
Dopo il coprifuoco, che comincia alle 17, la situazione diventa angosciante. L’elicottero militare che vola dalla notte precedente sul quartiere, con la sua luce rotatoria e la sirena, sfiorando i tetti, passa e ripassa una volta dietro l’altra. Ieri mi irritava il suo ruggito insistente; oggi mi irrita di più non sentirlo. I quartieri di Tunisi hanno organizzato comitati di autodifesa coordinati con l’esercito per neutralizzare i “tonton macoute” di Ben Ali: 3000 poliziotti, si dice, che il giorno precedente avrebbero causato la morte di cento persone e che hanno sparato sul Café Saf-Saf, a La Marsa, centro densamente popolato di residenti e turisti.
A casa, dopo le 10 di sera, quando si ascoltano da lontano, a Montfleury e Hay el-Khadra, isolate raffiche di mitra, Amin organizza in casa un centro di informazione; una specie di teleoperatore di guerra che comunica con i diversi fronti attraverso internet. Meher, Heyfel e Tarek sono a Mourouj, Sofien a il Bardo, Taha a Menzah, Mehdi a Cité el-Khadra, Amine e Radhouan a Kabaria, Amir a Ariana. Tutti riportano minuto per minuto l’evoluzione della lotta sul campo. Nei quartieri è stata organizzata una specie di competizione per vedere quale fra loro trattiene più automobili di assassini. Al momento vince Mourouj, dove ne hanno fermate dieci. E’ vero che “el pueblo unido jamás será vencido” e se a volte sembra un’esagerazione lirica o retorica è perché non c’è sufficiente popolo o non è sufficientemente unito.
C’è tensione, paura, angoscia, ma anche determinazione nella vittoria. Quella che sembrava una rivoluzione cavalcata da un colpo di Stato si è convertita poco a poco in una guerra. Inquieta un po’ leggere i giornali occidentali -quelli spagnoli, ma anche Le Monde o Liberation in Francia- e scoprire che non descrivono la situazione nei giusti termini. Parlano di disturbi, di sommosse, alcuni suggeriscono la presenza di elementi selvaggi del “benalismo”, ma non dicono ciò che veramente sta succedendo: gruppi di poliziotti del dittatore -e della milizia del suo partito- accompagnati da mercenari stanno tentando di piegare il popolo con il terrore.
Ma il popolo tunisino resiste. Una donna esiliata in Francia dice: “il 14 gennaio è il nostro 14 luglio”. Ha ragione. Quello che è accaduto in questi giorni a Tunisi segna una svolta storica che fa uscire l’intero mondo arabo dalla sottomissione alla quale sembrava condannato. Algeria, Egitto, Giordania, temono il contagio. Nulla sarà più come prima: un chiodo è stato estratto non per metterne un altro ma per sostituirlo con un fiore. Siamo ormai in un’altra dimensione.
Il secondo giorno del popolo tunisino termina pieno di incertezze e angustie, con battaglie per le strade, dicerie interessate diffuse dai medesimi media con i quali il popolo si informa e si difende, con la consapevolezza che non è ancora finita e che c’è ancora da battagliare.
Pero Mourouj 10, La Marsa 6, Cité Al-Khadra 5.
Tunisi non si arrende.
Grazie ,,non dimenticate che i compagni hin tunisia hanno bisogno di voi….
Già, è inaccettabile che chi di dovere, chi dice di essere rivoluzionario, antimperialista ecc., ecc., non si senta in dovere di chiamare ad una massiccia mobilitazione in sostegno ad una rivolta che pare potere diventare una vera e propria rivoluzione