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BOSSI STACCA LA SPINA?

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Solo un mignottocrate?

Se ne parla (semmai) dopo le elezioni amministrative


di Piemme

In Italia se ne vedono di tutti i colori. Il fenomeno senz’altro più paradossale (rassomiglia a quello del calabrone) è quello di un governo bollito, che si tiene in sella grazie ad un palo di sostegno dietro la schiena. La sfrontata dichiarazione di oggi di Berlusconi, che ha bellamente ammesso che sul nucleare ha preso per il culo tutti quanti, sarebbe enorme se non fosse che oramai sono quasi tutti assuefatti. La cosa ha fatto seguito alla decisione di bombardare la Libia, che oltre a smentire tutte le precedenti prese di posizione del governo, polverizza il Ministro della difesa, che conta evidentemente come il due di briscola, nonchè urta la Lega nord. A seguire la decisione di dare semaforo verde alla scalata della multinazionale francese Lactalis su Parmalat.





Cancellata in un battibaleno la precedente decisione di difendere “l’italianità” dell’azienda parmense (schiaffo a Tremonti e alla Lega). Tutto questo segue la linea improvvisamente “umanitaria”, sgradita alla Lega, seguita sui recenti flussi migratori e il dietro front rispetto alla critiche a Parigi (anche qui: quanto conta il Ministro Maroni?).

Un vero guazzabuglio. Può essere, diciamo può essere, che questi regalini a Sarkozy siano stati il sacrificio sull’altare di Draghi alla presidenza della Bce. Sta di fatto che che in poche settimane la Lega ha preso diversi e sonori ceffoni. Tra i quali non va sottovalutato quello emblematico dei manifesti sulle BR nella procura milanese, visto il dissenso dei leghisti con la linea oltranzista anti-magistratura di Berlusconi.

Leggendo i primi commenti e dato il “malessere” della base leghista, i più si chiedono se per Bossi la misura non sia colma, se non sia venuto il momento  per cui Bossi stacchi la spina? In effetti il dissenso tra i leghisti e i berluscones non è mai stato tanto profondo.

Dubito che la spina verrà staccata. Quantomeno non verrà staccata prima delle elezioni di metà maggio. Certo se il Pdl e/o la coalizione Pdl-Lega prenderà una batosta, una crisi di governo sarà pressoché inevitabile, ed è probabile che a determinarla sarà la Lega che farà mancare finalmente il suo voto di fiducia. Ma.. c’è un ma. Se i risultati saranno una mezza batosta per i berluscones mentre la Lega potrà vantare un successo Bossi, potrebbe scegliere  di mantenere l’alleanza, ma alzando il prezzo di quest’ultima. Come si dice: Berlusconi, tenuto per le palle da Bossi, e temendo elezioni anticipate, finirà per fare buon viso a cattivo gioco, certo non fino a lasciare il suo posto a Tremonti.

Tutto questo per dire che chi pensa ad un ritorno di questa Lega (i berlusconiani al suo interno non sono pochi, come ebbe a dire proprio Bossi) ad una posizione movimentista, secondo il sottoscritto si sbaglia.  

Un anno fa Pasquinelli scriveva:

«Non più secessionismo, e nemmeno il federalismo di Cattaneo, bensì quello… di Cavour. Con queste premesse anche gli ultimi seguaci del neoguelfismo cattolico (fatta salva l’eliminazione di Berlusconi) potrebbero trovare un accordo, ovvero un modello federativo che veda Roma, alleata di Milano, ben salda come capitale di uno Stato formalmente unitario. Bossi si riallaccia non a caso ad Alberto da Giussano, che fu, a difesa della supremazia milanese sul resto della Lombardia, combattente guelfo e filo-papalino. Si potrebbe risalire alla “Pataria” del secolo precedente e che ebbe Milano come epicentro. Movimento popolare ribelle che prese sì di mira la canina stercora dell’alto clero locale, i suoi privilegi, la sua corruzione ma, cattolico quant’altri mai, invocò e ottenne l’appoggio del Papa e di Roma, per poi diventare carburante prezioso alla grande riforma restauratrice e centralista gregoriana». (Può l’Italia fare la fine della Jugoslavia?)

Da bravi “patarini” opportunisti, i leghisti, occupate decisive posizioni di potere nella curia romana, non vorranno mollarle. Le loro grida sono sono funzionali ad ottenere il massimo risultato dalla loro rendita di posizione. Per di più far saltare il governo adesso rischierebbe di mandare all’aria il percorso federalista, la qual cosa i leghisti non possono permettersela. Grideranno ancora quindi, ma è più probabile che vorranno restare dove sono.


C’è un ultimo elemento, che è tuttavia quello sostanziale. Per quanto a molti dirigenti leghisti Berlusconi sia inviso, essi debbono tener conto delle forze sociali “padane” a cui danno voce. Gli interessi neo-corporativi che essi difendono sono intrecciati in maniera simbiotica e forse oramai inestricabile con quelli che il berlusconismo a sua volta rappresenta. L’autonomia del politico ha un limite invalicabile: quando l’elemento politico si separa dal suo committente sociale, quest’ultimo va a cercarsi, e prima o poi trova, una diversa e adeguata rappresentanza politica.

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