RIFONDAZIONE: QUALCUNO E’ SVEGLIO
La futura macelleria sociale non è inevitabile. L’uscita dall’Eurozona è sul tappeto |
Diritto ad uscire dall’Europa, il primo punto di un programma di sinistra
di Francesco Piobbichi*
Volentieri pubblichiamo questo intervento. A quanto ci risulta è la prima volta che dall’interno del Prc si mette (era ora!) in discussione il tabù dell’adesione all’Unione europea e all’Eurozona. Lo si fa timidamente, certo, ma si tratta di un evento politico che andava segnalato. A noi non resta che segnalare ai lettori le nostre opinioni al riguardo, ben sintetizzate nell’intervento di Leonardo Mazzei «Proposte per un programma di fase», nel quale si spiega perché, se si vuole davvero uscire dalla crisi, il paese ha bisogno di uscire dall’Eurozona, di riappropriarsi della sovranità monetaria, di ristrutturare o azzerare il debito pubblico, di nazionalizzare il sistema bancario, di uscire dalla sudditanza verso gli USA e la NATO ricollocando geopoliticamente l’Italia, di un’Assemblea costituente per una nuova Repubblica.«Alla fine ci siamo arrivati, Tremonti ha iniziato a diffondere il prezzo della crisi da presentare al governo economico dell’Unione, ed in molti si cominciano a chiedere quanto sarà salato. Ieri al Senato Tremonti ha fatto capire da dove si parte ma non dove si finisce. Manovra correttiva per quest’anno, almeno dello 0.5 del pil per il 2013 e 2014, riduzione forzata del debito a partire dal 2015 anno in cui si concentrerà il grosso del salasso. Banchitalia ha stimato che le mavovre di Tremonti si aggireranno intorno ai 30 miliardi l’anno se, come probabilmente accadrà, il pil non crescerà sopra il 2%, ed oggi anche l’Istat ha prodotto altri dati. Tremonti è un abile incantatore, ma il meccanismo del semestre europeo è congeniato in maniera tale da non lasciare molto spazio alle favole. I numeri che le classi dirigenti europee hanno imposto in un clima bipartisan hanno la testa dura, ed i numeri ci dicono due cose, che l’Italia dovrà pareggiare i conti e ridurre il debito pubblico con una serie di manovre economiche da far gelare il sangue. Una politica questa che non sarà ciclica ma strutturale, tanto che lo stesso Tremonti ieri ha affermato ancora una volta di voler recepire nella nostra carta costituzionale il vincolo di bilancio. Se questo principio passasse, l’intero impianto sociale della nostra carta sarebbe schiantato dalla logica liberista e limiterebbe pesantemente la nostra sovranità economica già per altro compromessa dall’adesione al patto di stabilità. In maniera simile, con gradi di differenza che variano a seconda della crisi queste politiche saranno applicate in tutti i paese dell’Unione. Confondere il sentimento internazionalista o l’europeismo positivio di ieri con l’europeismo eversivo di banche e padroni di oggi, è un gravissimo errore per la sinistra. Noi oggi dobbiamo essere innanzitutto contro l’Europa intesa come esito storico di un processo di rivoluzione liberista che dentro la crisi mostra il suo vero volto. Senza esplicitare con chiarezza questo aspetto commettiamo un errore enorme, un errore che non ci ha permesso di cogliere nel nostro paese il sentimento antieuropeista delle classi popolari maturato in questi anni. L’opposizione all’Europa è un terreno aperto per il potenziale sviluppo della lotta di classe come per la deriva populista, la Grecia da un lato e la Finlandia dall’altro lo dimostrano. In Europa, come in Grecia, come in Spagna ed in Portogallo il centro sinistra ha partecipato alla costruzione delle politiche di austerity, provocando una rottura profonda con la sinistra radicale a partire dal nodo di governo. La sinistra che verrà, può rinchiudersi nel nostro paese nella gabbia d’oro del bipolarismo e dei patti di consultazione, o ripensare il suo ruolo senza diventare complice nella crisi del massacro sociale che l’Europa impone. Se Berlusconi va cacciato non per questo si deve essere al servizio di governi che ancora prima di nascere innalzano le insegne dell’austerity, di Marchionne e della guerra. Dobbiamo lavorare invece, in forma unitaria per la costruizione di un programma di opposizione con i movimenti sociali che sappia collegarsi alle rivolte in atto, che avvengono sia in ambito europeo che euromediterraneo. Un programma comune che invochi l’uscita dall’Europa come arma contro il ricatto monetarista dentro il quale ci hanno cacciato. Prima ci chiedevano sacrifici per entrare in Europa, oggi ce li chiedono per restarci sapendo che in futuro ci toglieranno diritti, salari e stato sociale. La sinistra oggi si ricostruisce ripartendo dallo spazio nazionale “giocato in chiave europeista” . Programmazione economica, controllo democratico delle politiche della BCE, sovranità energetica ed alimentare in chiave continentale, esigibilità di un pacchetto di diritti sociali ( reddito, casa, formazione, sanità ) ostilità alla guerra, contratto del lavoro continentale, cancellazione dei debiti dei paesi come la Tunisia, sono grandi temi su cui investire in termini progettuali. Ma se ci mettono il cappio al collo come stanno facendo. commissione, governi, Bce e Fmi l’Europa se la possono pure tenere. L’Italia è al centro del mediterraneo. In nome della supremazia occidentale è diventata nel corso degli ultimi anni la portaerei fissa delle guerre della NATO e uno dei paesi di frontiera dell’area Shengen. L’Italia inoltre è un paese che più di tutti gli altri rischia di essere diviso dalle politiche di austerity europee fra zone ricche e povere, fra nord e sud ( ed è forse per questo che la Lega che ha ottenuto il federalismo è diventata europeista). Mi spiegate perchè i ricatti dei banchieri tedeschi contano più del nostro palramento? Come sinistra non dobbiamo avere paura di rivendicare il diritto all’uscita dall’Europa anche perchè potremmo diventare da paese sotto ricatto un paese che diviene per il mediterraneo un possibile motore per lo sviluppo ecosociale, la democrazia, e la pace».
* Francesco Piobbichi è un esponente del PRC, area del cosiddetto “Partito sociale”, e uno degli amministratori di CONTROLACRISI.ORG