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LA TEORIA MARXISTA DEL VALORE: PRO E CONTRO

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IL CAPITALISMO E IL MITO DELLA CAVERNA

Resoconto del seminario teorico promosso da «Scuola Umbra» svoltosi a Spoleto domenica 22 maggio


di Mauro Pasquinelli*

Domenica scorsa si é svolto come previsto il seminario sulla «teoria del del valore» con la relazione introduttiva di Moreno e la controrelazione di Ennio Bilancini.
Moreno è entrato subito nel merito della questione ponendosi dal punto di vista privilegiato del pensatore di Treviri. Non dalla popolazione, non dal PIL non dai massimi aggregati del sistema si parte per arrivare a capire l’essenza del sistema ma dalla sua cellula elementare: la merce. Il sistema capitalistico é il primo modo di produzione della storia che trasforma ogni prodotto del lavoro in merce. Dalla terra alle materie prime dalla forza lavoro al sapere tutto é mercificato, tutto ha una funzione e uno scopo se ha una vendibilità sul mercato.

Come lo scienziato della natura usa il microscopio e i reagenti chimici per studiare la natura così Marx usa il metodo dialettico e l’astrazione per analizzare la merce. Marx civetta con il metodo hegeliano in tutto il primo capitolo del capitale dedicato alla merce.

L’ipotesi Hegeliana che punta a ricercare la sostanza dietro ogni forma, e l’essenza dietro ogni apparenza é di enorme utilità nel metodo di analisi di Marx che in ciò si differenzia radicalmente dal pensiero di Kant secondo il quale possiamo afferrare solo i fenomeni dati ai sensi ma mai i loro noumeni, cioé la loro essenza.

Marx é in questo ancora più esplicito: non si da scienza ove essenza e apparenza dei fenomeni coincidono. E’ nello scarto tra i due che si proietta il lavoro dello scienziato. Nel caso della merce l’apparenza é data dai loro prezzi ma la vera sostanza é data dal valore-lavoro.

Ma che cosa é hegelianamente la merce? La merce é unita’ di due opposti: valore d’uso e valore di scambio. Ogni prodotto del lavoro per essere venduto sul mercato deve soddisfare un bisogno sociale ma deve possedere ciò che più interessa al capitalista, il valore di scambio. Lo scopo del capitale, la pulsione che lo anima non é la soddisfazione dei bisogni sociali ma la valorizzazione del capitale e quindi la riproduzione sempre più massiccia di valori di scambio.

Nell’opposizione tra valore d’uso e valore di scambio è già inscritta la dinamica di crisi del sistema capitalistico. Il capitale entra in crisi laddove la merce, pur soddisfacendo un bisogno sociale, non realizza più un valore di scambio adeguato e ciò si verifica ciclicamente perché scopo del capitale é immettere sul mercato dosi sempre più massicce di merci senza un piano generale che tenga conto dell’effettivo potere d’acquisto della popolazione e della capacità di altri capitalisti concorrenti di sottrarre e rapinare quote di mercato.

Ma che cosa è che determina il valore di scambio delle merci? Non é la qualità intrinseca delle merci, la loro utilità che é sempre soggettiva ma é qualcosa che le accomuna tutte ed é il tempo di lavoro socialmente necessario alla loro produzione. E qui Marx si differenzia da Riccardo perché non parla di lavoro concreto, utile ma (hegelianamente) di lavoro astratto, di lavoro come dispendio di una generica energia fisica muscolare ed intellettuale. E’ nella scoperta di questa duplice natura del lavoro il vero passo avanti della teoria del valore di Marx rispetto a quella di Ricardo.

La legge del valore per Marx e’ la legge fondamentale del sistema capitalistico, e’ la legge che regola e surdetermina tutti gli altri rapporti che sostanzia tutte le altre contraddizioni.

Marx fa una importante distinzione tra sostanza del valore forma del valore e grandezza del valore. La grandezza del valore è il prezzo ossia il valore in denaro della merce. La sostanza del valore é il lavoro socialmente necessario in essa contenuto. La forma del valore del prodotto é qualcosa che invece si riferisce alla storicità della legge del valore-lavoro. La forma di valore dei prodotti non é sempre esistita essa nasce con lo scambio di merci tra piccoli produttori indipendenti ma non é presente per es. nelle comunità primitive dove il prodotto del lavoro non veniva venduto ma semplicemente distribuito in base ai bisogni della collettività. La stessa cosa dovrebbe accadere nel comunismo.

Nel capitalismo il valore di scambio, cioé una cosa o una entità inanimata simboleggiata dal denaro, é il vero demiurgo del legame sociale. Nel comunismo é l’uomo comunitario che riporta sotto il proprio controllo le condizioni della produzione e distribuzione sociale il vero prius del legame sociale.

Nel comunismo il prodotto del lavoro sociale non avrà più la forma di merce e quindi la forma di valore in quanto il processo complessivo della produzione non sarà più spezzettato tra produttori indipendenti e tutto ciò che verrà prodotto lo sarà in funzione della soddisfazione di bisogni sociali e quindi della realizzazione di valori d’uso. Il prodotto del lavoro perderà la forma del valore di scambio e finirà per mantenere solo quella del valore d’uso ponendo fine al conflitto che dilania la merce e il capitale.

Ennio Bilancini nella sua replica alle tesi esposte da Moreno punta il dito sulla contraddittorietà della teoria del valore lavoro di Marx. In sostanza Ennio é convinto, sul solco della tradizione sraffiana, che nella computazione aggregata tra prezzi di produzione e valori i conti non tornano (cioè la somma totale dei valori non é mai uguale alla somma totale dei prezzi di produzione) quindi tanto vale non servirsi più della teoria del valore-lavoro di Marx e ricorrere ad una più semplice teoria che spieghi il prezzo come somma tra costi di produzione e profitto e mutatis mutandi il profitto come residuo tra prezzo finale e costi di produzione.

Il dibattito successivo é stato tutto teso a confutare le tesi di Ennio che rispolverano vecchi assunti dell’economia borghese ampiamente smentiti dall’analisi di Marx. Usando alcune metafore avvincenti Michele e Mauro hanno fatto notare che tutta l’economia capitalistica è economia del tempo di lavoro e che lo scopo di ogni capitalista é aumentare la produttività del lavoro e sottrarre all’operaio ogni atomo di tempo disponibile perfino per andare al bagno e fare ricreazione (vedi recenti accordi Fiat).
Inoltre se il profitto é un residuo, come afferma Ennio si finisce per mascherare il carattere di sfruttamento del sistema capitalistico. Il profitto non si ottiene per differenza ma, come insegna Marx, é una componente del plusvalore cioé delle ore di lavoro non pagate all’operaio.

Gli economisti borghesi da Smith in poi ci hanno sempre raccontato che il profitto é la remunerazione dell’imprenditore, la rendita la remunerazione della terra, l’interesse la remunerazione per i rentiers, mentre il salario é la remunerazione del lavoro e che essi dovevano essere calcolati come residuo dal prezzo finale. Ma profitto rendita e interesse non sono altro che componenti del plusvalore per la cui appropriazione si attua una lotta a volte accanita tra frazioni della stessa classe dominante e tra borghesi e proletari.

Per concludere si é fatto ricorso alla metafora della caverna di Platone. Il sistema dei prezzi per gli economisti borghesi é come l’ombra proiettata sullo sfondo per gli abitanti della caverna. Questi ultimi potevano benissimo fare a meno di sapere che a quelle ombre corrispondeva il contenuto di altri uomini perché vedevano solo le ombre. Allo stesso modo i prezzi finiscono per diventare delle ombre senza sostanza (valore-lavoro) e alla fine Ennio rischia di incappare nel feticismo analizzato da Marx, cioè nell’incapacità di vedere dietro i rapporti tra le cose le vere relazioni sociali.


* Fonte: scuolaumbra

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