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NON CAMBIERA’ UN CAZZO

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E dopo la sberla a Berlusconi?


di Piemme


L’euforia che impera nel campo del centrosinistra non nasconde il fatto principale: l’esodo dei cittadini, anzitutto dei proletari, dalle urne. Il “consenso a valanga” per Pisapia a Milano (365mila voti su un totale si quasi un milione di aventi diritto) è un’illusione: si riduce ad un terzo degli elettori. Per De Magistris a Napoli (264mila voti su 812mila aventi diritto) va anche peggio. E’ la regola della democrazia bipolare: il predominio della minoranza. Di quale svolta vanno parlando?





La sconfitta del centro-destra e personale dei Berlusconi era nell’aria, e ci voleva. Se un discorso a parte potrebbe essere fatto per De Magistris, va detto che non sono certo le metafore paesane di Bersani o l’eloquio demagogico di Vendola, né “la mitezza” di Pisapia, a spiegare la vittoria del centrosinistra. La spinta l’hanno determinata in prima istanza la crisi, la retrocessione di status sociale del ceto medio, la crescita della disoccupazione, il dramma del precariato, la sofferenza vera di milioni di famiglie. In subordine, certo, lo schifo per lo spettacolo indecoroso offerto da puttanopoli. Ma se è così questo non è un voto solo contro Berlusconi, è un voto contro Tremonti e la sua politica economica, contro le pagliacciate leghiste.





Milioni di cittadini hanno insomma espresso, seppure nella forma opaca e spuria del voto entro la gabbia di un sistema bipolare, la richiesta di una diversa politica economica e sociale. E’ qui che vengono le dolenti note. Anche ove queste elezioni causassero lo sfratto di Berlusconi da Palazzo Chigi, anche ammesso (e non concesso) che Bersani e Vendola non si prestino all’operazione di un “governo di decantazione”, vincano cioè le elezioni politiche anticipate, proprio sulla sostanza del problema, la crisi economica e le pesanti ripercussioni che essa ha avuto sula maggioranza dei cittadini, un governo di centrosinistra, non potrà cambiare nulla. Ma proprio nulla. E’ infatti vero quello che va ripetendo Bersani, che cioè sull’economia c’è come un “pilota automatico” e il governo fa poco o niente. Si dimentica di dire che questo pilota automatico si chiama Unione europea, in primis Bce. Che chiunque salga al governo, entro le coordinate stabilite dai sacerdoti dell’ortodossia monetarista e liberista, ha come obblighi inderogabili tenere i conti pubblici sotto controllo, onorare i creditori (è in arrivo una manovra da almeno 40mila miliardi di euro se sarà sufficiente), aumentare la produttività ovvero abbassare ulteriormente i salari, accrescere la mobilità del lavoro.


Ragione per cui, la sbornia Piazza Duomo, finirà presto il suo effetto eccitante, evaporerà in tempi ancor più stretti di quanto capitò al governo di Prodi. Quale sarà il precipitato della prossima, enorme, disillusione di massa? Ci scommettiamo: la crescita dell’astensionismo, che in quanto tale, certo, non produce alcuna alternativa. Ma ove questa disillusione si sposasse con una vera e propria sollevazione popolare, allora la musica potrebbe cambiare davvero. Allora vale quanto da questo blog andiamo da tempi dicendo: non passando per le urne, ma per la porta stretta della rivolta di massa, sarà possibile invertire la rotta che conduce questo paese verso la catastrofe.


A tempo debito sarà il caso di fare un’analisi, non solo dei flussi elettorali, quanto un’analisi sociologica del voto, dove i due schieramenti sono andati a pescare i voti. (1) E’ qui che il dato dell’astensionismo crescente (si tenga conto che il dato dell’astensionismo è più alto se si tiene conto delle schede nulle e delle bianche) ha un peso decisivo. E’ un dato di fatto che l’astensionismo è più massiccio nelle zone più basse della scala sociale, tra i proletari, mentre il ceto medio esprime una maggiore fedeltà al gioco elettorale. Facendo un calcolo già oggi il 50% circa dei proletari non si reca alle urne, per cui si può dire che in questa fetenzia di seconda repubblica il voto è ridiventato quasi di censo, come ai bei tempi andati in cui votavano solo i ricchi, gli avvocati e i farmacisti.


Non un voto, né una risata li seppellirà, ma solo la sollevazione popolare.


Note


(1) Vale la pena fare un po’ di conti. Partiamo dalle elezioni provinciali. Al primo turno avevano votato il 61,26% degli aventi diritto. Al secondo turno questa percentuale è scesa al 45,22%. Alle comunali (ovviamente nei comuni sopra i 15mila abitanti) al primo turno avevano votato il 68,58%. Al secondo turno il 60,12%.
La sola eccezione a questo trend è stata la città di Milano, dove la percentuale tra primo e secondo turno è praticamente restata invariata (e dove infatti Pisapia, che rispetto al primo turno (quando aveva ottenuto 281.874 voti) ne ha guadagnati 50mila in più. Inutile dire che nella roccaforte storica di Berlusconi ha funzionato l’effetto referendum, per cui siamo all’eccezione che conferma la regola. A Napoli infatti tutt’altra musica, dal primo al secondo turno i votanti sono scesi dal 60,32% al 50,57%, sono venuti cioè a mancare la bellezza di 80mila elettori.

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