I BOCCONIANI E LA RICETTA PER USCIRE DALLA CRISI
di Luigi Zingales e Roberto Perotti*
Fatto 1.600 miliardi di euro il Pil italiano nel 2010, una “manovra” secca, immediata del 4% (non spalmata sui tre anni fino al 2014 come quella tremontiana, che comunque pare sia già di 70 miliardi), significa 64 miliardi, equivalenti a 128mila miliardi delle vecchie lire. In poche parole la più grande stretta economica di tutti i tempi.
«Il momento temuto è arrivato. In molti si chiedevano fino a quando il nostro Paese sarebbe riuscito a evitare il contagio finanziario che sta lacerando l’area dell’euro. Ora conosciamo la risposta: anche l’Italia si avvicina pericolosamente all’occhio del ciclone. È inutile dare la colpa all’avidità della speculazione.
Ora bisogna fare in fretta, perché il tempo è la risorsa più scarsa. L’esperienza internazionale insegna che quando crolla la fiducia, la situazione precipita molto velocemente. Solo quindici giorni fa si poteva forse pensare a una strategia che ci permettesse di guadagnare tempo con interventi come quelli attuati dalla manovra. Ma già oggi il quadro è cambiato drasticamente. In pochi giorni lo spread dei BTp con il Bund tedesco ha raggiunto quasi il livello del Portogallo circa un anno fa. E un aumento dei tassi di cento punti base ci costa a regime circa 20 miliardi, la metà dell’ultima manovra. Invece di andare avanti, andiamo indietro. È vano illudersi di poter rimandare gli aggiustamenti al futuro. Se non li facciamo subito, saremo comunque costretti a farne di ancora più gravosi tra sei mesi, in condizioni ancora più difficili.
Come uscire da questa spirale in cui il rischio di insolvenza, aumentando il costo del nostro enorme debito, rischia di diventare una profezia che si autorealizza? Un aumento della crescita certo risolverebbe molti problemi, va perseguito, ma richiede tempo, ammesso che si sappia come realizzarlo. E di tempo a disposizione non ne abbiamo più: i mercati hanno bisogno di un segnale forte, chiaro, e soprattutto immediato.
Esiste quindi una sola via d’uscita, che ci metta al riparo dalla volatilità del mercato: raggiungere il pareggio di bilancio nell’arco diciamo di un anno. Non del bilancio primario, cioè al netto degli interessi sul debito, ma del bilancio totale. Non dovendo più dipendere dal mercato per finanziare la spesa pubblica, il nostro Paese darebbe un segnale credibile che sta rientrando dal debito, non solo in percentuale del Pil ma anche in valore assoluto. Raggiungere il pareggio di bilancio significa una correzione dei conti pubblici di circa il 4% del Pil. È molto di più di quanto Governo e opposizione abbiano mai pensato di fare. Si tratta di lacrime e sangue. Ma le lacrime e il sangue saranno ben maggiori se non abbiamo il coraggio di agire subito.
Una manovra del 4% del Pil non può essere basata solo su un aumento delle entrate, perché ammazzerebbe l’economia in un Paese dove la pressione fiscale è già fra le più alte del mondo.
Dunque la manovra va equamente distribuita tra un aumento delle entrate ed una riduzione delle spese, a partire da quelle previdenziali. I tagli dei costi della politica vanno fatti per lanciare il segnale importante che tutti sono chiamati a condividere i sacrifici; lo stesso vale per i tanti sussidi alle imprese, quasi sempre inutili se non dannosi. Ma entrambe queste misure non sarebbero sufficienti. Bisogna riprendere le privatizzazioni (per esempio Eni, Enel, Poste, Finmeccanica, Rai); anche queste sono un messaggio importante per segnalare ai mercati che si sta facendo sul serio, ma anche queste purtroppo non bastano (i proventi delle privatizzazioni concorrono a ridurre il debito, e il disavanzo di bilancio solo indirettamente attraverso la riduzione della spesa per interessi). Qualcosa si otterrà anticipando le misure previste per i prossimi anni nella manovra appena proposta, ma anche questo non basta.
Purtroppo ormai manca il tempo per le manovre “intelligenti” o politicamente indolori, che taglino il grasso e non la carne. Non è a cuor leggero che facciamo questa proposta. Ci rendiamo conto del suo costo politico ed economico. Per questo una condizione necessaria per il successo di questa operazione è un minimo di consenso trasversale, e quindi il coinvolgimento dell’opposizione. come forse si riuscirà a fare in Portogallo. Purtroppo il costo di non fare niente è ancora maggiore e la nostra classe politica non sembra essersene resa conto. Dobbiamo agire subito, domani potrebbe essere troppo tardi.