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UN’ALTRA VOCE SERIA PER L’USCITA DALL’EURO

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i «PIIGS» e il supplizio “europeista”

Liberarci dall’euro
Per un’altra Europa



di Marino Badiale e Fabrizio Tringali*

Pubblichiamo qui sotto gli ultimi due capitoli del saggio «Meglio la finestra. Liberarci dall’euro, per un’altra Europa»

Per un’altra Europa: uscire dall’UE
La discussione precedente non lascia nessuno spazio a proposte politiche che permettano all’Italia di restare nell’UE evitando il massacro sociale che le nuove norme ci minacciano. La conclusione diventa inevitabile: se vogliamo evitare la degradazione irreversibile del paese, la sua “terzomondizzazione”, occorre uscire dall’euro e dall’UE, e contemporaneamente rinegoziare il nostro debito pubblico.

Non si tratta di scelte facili, lo sappiamo benissimo. L’uscita dell’euro comporterebbe problemi gravissimi. Ma si tratta di problemi che possono essere affrontati e superati. Il permanere nell’euro comporta invece la degradazione irreversibile del tessuto sociale e civile del paese.
Per capirci con una metafora, si pensi al supplizio medioevale della ruota: il condannato veniva legato ad una grande ruota e gli venivano spezzate le ossa a colpi di mazza. Veniva lasciato lì ad agonizzare fra sofferenze atroci per un po’, poi veniva finito con un colpo di mazza allo sterno. Ora, immaginiamo che un condannato a questo terribile supplizio abbia la possibilità di fuggire saltando da una finestra (sotto la quale lo aspettano persone amiche per portarlo in salvo) correndo però in questo modo il rischio di rompersi una gamba. Chiunque sceglierebbe di saltare. Il nostro paese si trova nella stessa situazione. Se rimaniamo nell’euro saremo sottoposti a un supplizio terribile, con pesantissimi e ripetuti colpi che ci spaccheranno le ossa. Se usciamo dall’euro corriamo il rischio di romperci una gamba. Il che non è piacevole, ma è cosa dalla quale si può guarire in tempi ragionevolmente brevi.
E’ ovvio quello che ci conviene scegliere: meglio la finestra.
L’uscita dall’Euro va naturalmente pensata a fondo. Le recenti esperienze di altri paesi possono aiutarci a ridurre di molto le difficoltà connesse alla ristrutturazione del nostro debito pubblico, e alla conseguente svalutazione della moneta. Andranno studiate le misure prese nel corso dell’attuale crisi dall’Islanda, che ha scelto di far fallire le banche private indebitate e di svalutare la propria moneta, e soprattutto le misure prese dall’Argentina all’inizio degli anni 2000, quando prese la decisione di sganciare la propria moneta dal dollaro.
Fra le misure che potranno essere prese, possiamo elencare, a titolo puramente indicativo: la temporanea limitazione della quantità di denaro contante prelevabile dai conti correnti, per evitare la “corsa agli sportelli”; programmi di austerità sui beni importati, in modo che l’inevitabile svalutazione abbia il minor effetto possibile; misure di protezione delle industrie esportatrici, per mantenere un buon settore dedito all’esportazione che permetterà di rendere meno dura la svalutazione[1].
La proposta di uscita dall’UE suscita in molte persone una certa resistenza. Sembra che si veda in questa idea una sorta di chiusura nei confronti del mondo globalizzato o il ritorno a un nazionalismo aggressivo o autarchico. Si oppone a questa idea la proposta di restare nell’UE per cambiarla e costruire “un’altra Europa”. Abbiamo già criticato questa idea. Siamo però d’accordo con l’idea che avremmo bisogno di “un’altra Europa”. Il che non è in contraddizione con la proposta di uscita dall’UE. Anzi, l’abbandono dell’attuale Unione Europea rappresenta la precondizione necessaria per la costruzione di un’Europa alternativa.
I rapporti internazionali, le relazioni politiche ed economiche fra Stati, esistono da quando esiste lo Stato, certamente da prima della costruzione della UE, che è una delle possibili forme di questi rapporti, non certo l’unica realizzabile. L’uscita dall’Unione quindi non implica automaticamente nessuna chiusura verso l’esterno.
Forse un paragone storico può chiarire ciò che intendiamo. E’ noto che i Partiti Comunisti del Novecento avevano una fortissima dimensione internazionale, tanto che la struttura che per un certo periodo li ha coordinati si chiamava “Terza Internazionale”. E’ noto altresì che l’ideologia comunista aveva come principio dogmatico quello che nella società comunista si sarebbe estinto lo Stato, e l’umanità comunista si sarebbe unita in un abbraccio fraterno al di là dei vincoli delle frontiere. D’altra parte, sappiamo che il movimento comunista del Novecento appoggiò fortemente le lotte di liberazione dei popoli del terzo mondo dal giogo degli imperi coloniali. Ora, è chiaro che tali lotte avevano come ovvio effetto pratico, se fossero risultate vittoriose come di fatto lo furono, la creazione di nuovi Stati, di nuove frontiere nazionali. Si potrebbe allora pensare che ci fosse una contraddizione nelle politiche dei partiti comunisti: partiti “internazionali” che avevano l’abolizione dello Stato fra i propri obiettivi, e lottavano però per far nascere nuovi Stati. E’ chiaro però che un simile rilievo appare molto ingenuo: gli ideali di fratellanza, di pace, di superamento della barriere, perdono ogni valore, e diventano una ignobile ipocrisia, in una situazione di sfruttamento e di sottomissione come è la situazione coloniale. In quella situazione la creazione di barriere nazionali era un necessario elemento di difesa della dignità e della cultura dei popoli colonizzati. Solo ripristinando una condizione di reale uguaglianza potevano essere resi concreti gli ideali di fratellanza. Il che passava anche attraverso la costruzione di nuovi Stati. La posizione dei partiti comunisti era dunque del tutto ragionevole, e ingenua e astratta l’obiezione che abbiamo indicato. Al pari dell’idea che uscire dall’attuale UE sia in contraddizione con la volontà di costruire una Europa alternativa. Abbiamo documentato che il permanere nell’UE comporta rischi gravissimi di distruzione del tessuto sociale e civile di questo paese. In questa situazione, come si può pensare di parlare di fratellanza fra i popoli europei? Un’Italia impoverita, incarognita, dove solo le mafie riusciranno a garantire un minimo di coesione sociale, come potrebbe dare un contributo di civiltà ad un’Europa diversa dall’attuale? Esattamente come i popoli colonizzati avevano bisogno di staccarsi dagli Imperi coloniali e di costruirsi i loro Stati, per cercare poi forme di collaborazione internazionale su basi di parità, allo stesso modo l’Italia deve staccarsi dall’UE per salvare il proprio tessuto sociale, e cercare poi forme di collaborazione con gli altri popoli europei su basi di parità.
I contorni dell’Europa che vogliamo
E’ difficile disegnare nel dettaglio i contorni di un’Europa alternativa a quella attuale, tali da renderla davvero una libera ed indipendente unione dei popoli che la compongono. Tuttavia, senza nessuna pretesa di essere esaustivi, possiamo elencare alcune delle caratteristiche che ci sembra non possano mancare in un eventuale processo di integrazione europeo democratico e funzionale alle necessità dei cittadini.
Il primo elemento riguarda le istituzioni democratiche dell’Unione.
Ad oggi solo i membri del Parlamento Europeo vengono eletti dai cittadini, ed hanno ben pochi poteri reali. La maggior parte delle decisioni vengono prese dalla Commissione o da altri organismi, quali l’Eurogruppo, l’Ecofin o la BCE. Quel che manca è un sistema di checks and balances che garantisca un efficace controllo democratico sugli organismi esecutivi. Così come manca la garanzia che la BCE agisca in modo indipendente dagli interessi privati. Il capitale della BCE è distribuito fra le banche centrali nazionali, il cui capitale spesso è in mano privata, come in Italia. Dunque anche la BCE è di fatto privata.
Questi elementi sono in forte contrasto con qualsiasi idea di Europa democratica, che non sia mero strumento nelle mani di gruppi economicamente forti. Dunque una Unione che abbia a cuore gli interessi dei popoli che la compongono dovrà avere una Costituzione democratica, ed organismi assolutamente indipendenti dagli interessi privati.
Il secondo elemento riguarda la possibilità di operare liberamente e senza condizionamenti scelte in materia economica. Compresa la possibilità di optare per misure protezionistiche che consentano di salvaguardare le condizioni del mercato interno, al fine di rompere il circolo vizioso della concorrenza globale, che porta alla costante diminuzione dei salari e al peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita, in nome della competitività.
Un terzo elemento riguarda il raggiungimento da parte dell’Europa di una maggiore indipendenza energetica. Dipendere dalle importazioni di materie prime energetiche, vuol dire non essere liberi di implementare politiche economiche autonome, perché sarà sempre necessario scendere a patti con i fornitori. La situazione in questo campo è estremamente difficile. Per soddisfare il proprio fabbisogno, l’Europa dipende per oltre il 50% dalle importazioni di idrocarburi dall’estero, mentre l’Italia supera l’85%[2].
La soluzione non può essere la costruzione di centrali nucleari. Al di là dei gravissimi problemi derivanti della poca sicurezza degli impianti, dall’inquinamento e dello smaltimento delle scorie, l’energia atomica non risolve il problema della dipendenza dall’estero: i Paesi europei dispongono di pochissimo uranio, dunque la costruzione di nuove centrali nucleari comporterebbe un ulteriore aumento delle importazioni. Non resta che puntare fortemente sulle energie rinnovabili. Tutti i Paesi europei dovrebbero moltiplicare gli sforzi a favore dello sviluppo delle energie pulite e della ricerca nel campo delle tecnologie ad esse collegate. Tuttavia, anche se ciò avvenisse, le rinnovabili non potrebbero coprire l’attuale fabbisogno di energia, almeno nel medio periodo. E’ necessario impostare politiche in grado di realizzare una forte riduzione della domanda. Occorre consumare meno energia. Molta meno di quanta ne consumiamo oggi. Il che è necessario anche per abbattere le emissioni di CO2, ed uscire dall’emergenza ecologica che sta mettendo a rischio la stessa sopravvivenza del pianeta.
Il quarto elemento riguarda la Difesa. I Paesi europei hanno necessità di una alleanza politica e militare (difensiva) che garantisca la loro piena indipendenza dall’esterno. Un’Europa sufficientemente forte sul piano internazionale potrebbe anche svolgere un ruolo attivo per temperare le mire imperialiste e gli atteggiamenti guerrafondai delle potenze affermate (gli USA) e di quelle emergenti, come la Cina.
Perché l’Unione Europea possa svolgere questo ruolo sono necessari almeno due elementi. In primo luogo, occorre che l’Europa sia in grado di implementare una propria politica internazionale, unitaria ed indipendente. In secondo luogo, occorre che l’Europa non diventi essa stessa una potenza a carattere imperialista. Nel qual caso sarebbe sì autonoma, ma parteciperebbe al caos mondiale entrando in competizione con le altre potenze per l’accaparramento delle materie prime, in particolare energetiche.
Per quanto riguarda il primo punto, occorre sottolineare che l’attuale UE non è in grado di assumere nessun ruolo nello scacchiere internazionale. L’attuale assetto che caratterizza l’Europa è proprio quello di cui hanno bisogno le potenze: una tecnocrazia incentrata esclusivamente sulla dimensione economica, incapace di produrre una politica estera unitaria. La UE non ha un proprio sistema di difesa, né un esercito, e non a caso di fronte alle guerre degli ultimi tempi, i paesi europei si sono costantemente divisi, con geometrie sempre inedite, non mostrando mai la capacità di proporre soluzioni comuni alle controversie internazionali.
Per quanto riguarda il secondo punto, c’è davvero da augurarsi che questa Europa non diventi una potenza. Data l’enorme dipendenza di materie prime energetiche che la caratterizza, essa sarebbe tentata di risolvere il problema nel modo tipico delle potenze: la guerra. L’Europa diventerebbe l’ennesima potenza politico-militare presente sullo scenario internazionale, provocando un ulteriore aumento del rischio di conflitti terrificanti, finalizzati all’accaparramento delle limitate risorse energetiche disponibili (soprattutto petrolio e gas).
Riassumendo: l’Europa, per garantire la proprio sicurezza e per diventare capace di assumere un ruolo significativo sul piano internazionale, ha bisogno di implementare una politica estera comune. Ed ha bisogno di dotarsi di un proprio esercito e di un proprio sistema di difesa. Se però questo avvenisse all’interno dell’attuale UE, l’Europa si trasformerebbe immediatamente in una potenza militare aggressiva, affamata di materie prime energetiche. La dipendenza dalle importazioni di idrocarburi sarebbe la stessa di oggi, ma la forza militare di una Europa politicamente coesa e dotata di un esercito cambierebbe lo scenario internazionale in modo estremamente pericoloso.
Dunque è solo rimettendo in discussione i fondamenti dell’attuale UE che è possibile riaprire il confronto su una nuova forma di alleanza politica, economica e militare. Per pensare ad una Europa di pace e di cooperazione fra i popoli, è necessario liberarsi dai condizionamenti dell’Ecofin, del patto di stabilità e crescita, del “Semestre Europeo”. E’ necessario rompere i legami con l’Unione, e lanciare un progetto di aggregazione fra Stati radicalmente nuovo, basato sulla volontà di realizzare una comune politica estera di pace e cooperazione internazionale.
L’unica possibilità per farlo è abbandonare per sempre le politiche liberiste e l’inseguimento della “crescita”. Quel che serve è coordinare politiche decresciste, in particolare di forte diminuzione del fabbisogno di idrocarburi. Pace ed ecologia non possono essere separati. Sono entrambi aspetti di un unico disegno di equilibrio fra Stati, popoli e natura.
Ma tutto questo non può essere fatto all’interno dell’attuale UE, che è totalmente indirizzata verso la crescita economica, e che non può essere cambiata, per i motivi che abbiamo indicato.
In definitiva, chi voglia davvero un’Europa diversa, democratica, pacifica e indipendente, non può che chiedere l’uscita da questa Europa.
Genova, giugno 2011.
Note
[1] Pur non caldeggiandola, il premio Nobel per l’economia Paul Krugman discute seriamente l’ipotesi di uscita dall’Euro, si veda il suo articolo http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-05-21/atene-buenos-aires-081002.shtml?uuid=AanIs8YD.

[2] Eurostat -“Energy – Yearly statistics 2008” scaricabile qui:http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_OFFPUB/KS-PC-10-001/EN/KS-PC-10-001-EN.PDF.

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