LA SINISTRA, LA CRISI, E LA CRISI DELLA SINISTRA
Rinaldini e Casarini: attenti a quei due! |
Idee poche e confuse
ambizioni elettorali tante
del vendolismo con e senza Vendola
di Piemme
Mazzei, il 6 agosto scorso, nel suo articolo, ha detto l’essenziale sulla sconcertante inconsistenza programmatica del PdCI, mentre si appresta a celebrare un congresso tra il fasullo e l’inutile. Ci occupiamo questa volta di Rifondazione comunista e della coalizione Uniti contro la crisi.
Rifondazione: peggio di così si muore
Ci chiedono: che pensate della proposta politica del Prc sulla crisi? Chiedo a mia volta: perché, il Prc ha una proposta degna di questo nome?
Carta canta. Il Prc, in occasione dello sciopero generale Cgil del 6 settembre, ha diffuso un testo nel quale, oltre a denunciare la Manovra Draghi-Napolitano, giustamente condannata perché farebbe gli interessi dei ricchi, espone le sei proposte alternative di Rifondazione. Leggiamo: «1. Tassa sui grandi patrimoni al di sopra del milione di euro; 2. Lotta all’evasione fiscale anche con una sovratassa sui capitali scudati; 3. Dimezzare gli stipendi delle caste e mettere un tetto agli stipendi dei manager; 4. Dimezzare le spese militari e smettere subito le guerre in Afghanistan e in Libia; 5. Le aziende che delocalizzano devono restituire i finanziamenti pubblici; 6. Blocco delle grandi opere inutili e dannose, uso si queste risorse per un grande piano di risparmio energetico, sviluppo delle fonti rinnovabili, riassetto del territorio».
Ci vuole un bel coraggio a chiamare questa robetta “politica economica rovesciata” —come si legge nella loro Petizione popolare per la patrimoniale.
Il primo sostantivo che mi viene in mente è irresponsabilità, o se volete incoscienza. Davanti ad una crisi epocale come quella di cui soffre il capitalismo occidentale, ed in particolare quello italiano, Rifondazione non riesce a proporre che la solita minestra insipida che chiamare riformista è fare un complimento. Provate ad andare a guardare cosa proponeva il Prc anni addietro, dalla crisi del 1992 in poi, vedrete che, la sostanza è sempre la stessa. Siamo anzi andati peggio, poiché anni addietro, almeno, si chiedeva l’abolizione dei Trattati di Maastricht.
E non ci si venga a dire che “il keynesimo è meglio di niente”. Non scherziamo per favore! Il perno della politica keynesiana è l’uso anticilico della spesa pubblica, la qual cosa implica la sovranità monetaria, quindi la primazia dello Stato sul mercato. Ammesso e non concesso che politiche Keynesiane (che sarebbero pur sempre a salvaguardia del sistema capitalistico) siano oggi adeguate, quelle del Prc non sono nemmeno l’ombra di politiche keynesiane. fateci caso: nessuna misura per debellare alla radice la speculazione finanziaria, nessuna parola sulla cancellazione del debito (nemmeno la sua ristrutturazione!), nessuna parola sulla sovranità monetaria, nessuna richiesta di nazionalizzare il sistema bancario-assicurativo e della borsa valori, nessun accenno alla statizzazione delle imprese strategiche. Nessuna parola insomma su dove e come reperire le colossali risorse per rilanciare l’economia e creare almeno un paio di milioni di nuovi posti di lavoro.
Perché questo nulla? Per due semplici e complementari ragioni. La prima è che il Prc considera intangibile l’adesione all’euro, che accetta la sovranità della Bce, che condivide la politica di cessione di sovranità all’Unione europea. La seconda è che lo smarrito gruppo dirigente rifondarolo incardina tutta la sua politica alla prospettiva di un reingresso in parlamento, e quindi dipende dalle aperture del Pd alla coalizione di “nuovo Ulivo”, e quindi declina la sua piattaforma non in base a ciò che la situazione gravissima richiese, ma in base a quanto è ritentuo digeribile dal gruppo dirigente del Pd.
Quale funzione e quale ruolo può quindi assolvere un partito siffatto? Nessuno! Il Prc sarà travolto, sia che le oligarchie riescano a mantenere il loro predominio, sia che siano spazzate via da una generale sollevazione di massa.
Rinaldini e Casarini: vendolismo senza Vendola
La crisi ha messo in moto, com’era inevitabile, i vari ammennicoli della sinistra istituzionale e para-istituzionale. Del Pdci e del Prc abbiamo detto. Anche dei vendoliani di Sel (che si porta appresso la componente Fiom guidata da Landini), abbiamo detto. Il terzo polo che va rubricato è quello rappresentato da Uniti contro la Crisi. Questa alleanza, formatasi l’anno scorso, dopo aver preso una sonora legnata il 14 dicembre, e aver iniziato a perdere i pezzi, si è rifatta viva con un intervento su il manifesto del 30 agosto a firma di Luca Casarini e Gianni Rinaldini, quest’ultimo in rappresentanza di uno dei tanti pezzi della Fiom —nella Fiom, oltre alla destra vicina alla Camusso, e alla corrente pro-vendoliana di Landini, esistono infatti due componenti di sinistra, quella di Rinaldini e quella di Cremaschi.
Che giudizio dare di Uniti contro la crisi? Il giudizio non può che basarsi sulle proposte che vengono fatte, ed è per questo che segnaliamo come notevole l’intervento congiunto di Rinaldini e Casarini —quest’ultimo a rappresentare gli ex-disobbedienti oramai epurati dai negriani ortodossi, e quindi intruppatisi nell’ennesima sigla anglofona: Reclaim. Essi partono da un’analisi per cui la crisi economica e sociale è gravissima e insistono sull’importanza del conflitto sociale per fermare la manovra e quelle che seguiranno. Se quella del Prc è una piattaforma keynesiana di destra, i due, Rinaldini e Casarini, nemmeno provano a formularne una. La solita retorica sui beni comuni, sui diritti di cittadinanza, sul grande successo del referendum, sull’alternativa (che appunto non si sa quale sia). Anche in questo caso adesione piena al progetto europeista, sì alla cessione di sovranità nel quadro di una aleatoria “altra Europa”.
Ma la chicca è un’altra.
Sentiamo: «Dobbiamo pretendere elezioni subito, contro qualsiasi ipotesi di governissimi, governi tecnici o di unità nazionale. Elezioni subito, anticipate da primarie. Primarie vere, costruite attraverso spazi pubblici di formazione del programma, nei quali chi si è mobilitato e continua a farlo possa, nella reciproca autonomia con i diversi soggetti politici, contribuire attivamente sottoponendo a tutti i cittadini i programmi insieme all’assunzione di responsabilità di chi si impegna a portarli a termine, chiedendo di conseguenza il voto per cambiare».
Più che uniti contro la crisi capitalistica, certi dirigenti dovrebbero pensare ad unire tutte le loro residue forze per schiarirsi le idee e, soprattutto, per resistere alla pulsione suicida parlamentaristica e governistica, quindi, in ultima istanza al Pd. La linea politica di Uniti contro la crisi è infatti chiara, è un vendolismo senza Vendola: via Berlusconi, no al governo dei tecnici o del Presidente, ma sì alleanza (di governo) col Pd. In questa luce si chiede la buffonata delle primarie di coalizione. Il tutto mascherato da un peloso movimentismo. Si vede che a questi qui la batosta che presero il 14 dicembre scorso non gli è bastata. Ben altre ne prenderanno, se pretenderanno, come accadde quel giorno a Roma, di usare la rabbia giovanile per usarla nei loro giochetti politicisti con i gerarchi del Pd.
Eppur (qualcosa) si muove
Mi riferisco all’appello dei sindacalisti, tra cui Cremaschi, che convoca l’incontro nazionale del primo ottobre a Roma e che, pur con dei limiti, almeno solleva con nettezza la richiesta della cancellazione del debito, la sola maniera per stroncare la speculazione finanziaria e reperire risorse per salvare il paese ed evitare un’ecatombe per le masse popolari. L’augurio è che questa iniziativa prenda piede e diventi un vero punto di coagulo unitario per migliaia e migliaia di attivisti sindacali, di precari, di studenti, di disoccupati. Vari steccati di parrocchia stanno cadendo e altri cadranno, tra cui speriamo l’atteggiamento fin troppo critico dei Cobas scuola di Piero Bernocchi.
In questo quadro si colloca l’assemblea nazionale promossa da questo blog per i giorni 22 e 23 ottobre, la sola, almeno consta al sottoscritto, che sottolinei il legame indissolubile e obiettivo tra la cancellazione del debito pubblico e l’uscita dall’euro, come le due misure cardinali sulle quali può basarsi una autentica alternativa alla politiche draconiane che le oligarchie, con l’ausilio del centro-sinistra, stanno orchestrando una volta sbarazzatesi di Berlusconi.
Tutto è dunque in movimento, ed è vero che il 15 ottobre sarà una delicata prova generale.