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E’ QUESTO IL RUOLO DELLA BCE?

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Quando la Lira uscì dallo Sme 

Di Sergio Cesaratto*

Il dibattito parlamentare di ieri colpiva per l’assenza di qualsiasi riferimento alla dimensione e alle responsabilità europee in cui si colloca la crisi italiana. Ci riferiamo soprattutto all’opposizione – il premier non ha detto nulla. Concentrarsi sulle responsabilità del governo, screditato e imbelle come non mai, può apparire giustificato per non dargli alibi. Esimersi tuttavia dal dire che cause e soluzioni possibili della crisi italiana non vanno solo ricercate in sede nazionale non fa fare un passo in avanti al dibattito politico. Come abbiano ripetuto ad nauseam nei nostri contributi, la Banca Centrale Europea (BCE) ha un ruolo decisivo nel spegnere l’incendio, dando poi modo per ricostruire.

E invece gli accordi europei di fine luglio sono andati in senso opposto, esentando la BCE dai compiti che sono propri delle banche centrali e per cui sono nate, quelli di prestatore di ultima istanza di governi e banche. Nessuno stato sovrano può fallire se la banca centrale assolve a tale ruolo, e non è neppure costretto a pagare tassi di interesse elevatissimi per coprire gli acquirenti dal rischio fallimento, che appunto scompare. Il WSJ di oggi (4 agosto) scrive significativamente che “la BCE ha trascorso l’anno passato cercando di persuadere i governi ad assumere il ruolo di prestatori di ultima istanza, e ha ottenuto una parziale vittoria solo due settimane fa”, il che significa che l’Italia si deve indebitare a tassi altissimi per aiutare la Grecia avvicinandosi a sua volta al fallimento; la Francia dovrà aiutare l’Italia, avviandosi a sua volta al fallimento e così via.

Gli europei – in particolare Germania e satelliti, Phillipsland, Nokialand ecc. – vivono un mondo artefatto, fra ignoranza e miope difesa di interessi nazionali, in cui non si capisce che “lender of last resort” è chi stampa moneta, non può essere funzione dei governi. Un articolo assai chiaro in questa direzione è di De Grauwe sul FT di stamane (in calce fornisco la versione pubblicata da Eurointelligence, forse Turci lo farà tradurre). Rammarica solo che gli economisti ortodossi non paghino tributo agli economisti non-conformisti che certe cose le dicono da sempre.

L’obiezione che viene fatta al’intervento della BCE è che facilitare la vita ai paesi fiscalmente in disordine li esenterebbe da rimettere in ordine i propri conti.

Qui si deve essere chiari. Mi riferisco solo all’Italia perché questo ci preme ora.

L’elevato debito pubblico italiano nulla ha a che vedere con una spesa pubblica eccessiva. Esso è frutto di scelte scellerate fatte nel lontano passato, fra il 1979 e il 1981, di adesione al sistema monetario europeo (SME) – il Pci contrario ruppe i governi di unità nazionale – e il cosiddetto “divorzio” fra Banca d’Italia e Tesoro dello Stato – questo un vero “golpe” senza passaggio parlamentare perpetrato da Andreatta e Ciampi, oggi osannati come padri della Patria. Tutto questo nel mentre il CAF (i governi Craxi-Andreotti-Forlani antesignani del PdL) lasciava correre l’evasione fiscale. La necessità di mantenere la parità col marco tedesco, e il mancato sostegno della BdI ai titoli di Stato fece schizzare verso l’alto la spesa pubblica per interessi. Questa spesa, assieme alla mancata lotta all’evasione, generò disavanzi crescenti e il rapido accumulo del debito. Fino all’Unione Monetaria Europea (UME, 1999) tale debito è rimasto fra italiani. Con la moneta unica, che ha favorito le politiche neo-mercantiliste di Germania e satelliti, e con l’impossibilità per il nostro paese di recuperare competitività attraverso il deprezzamento del cambio, siamo diventati un paese indebitato con l’estero (sebbene non nella misura della Spagna), un paese che dipende in sostanza da un flusso di risorse esterne per mantenere il proprio livello di reddito (risorse esterne la cui necessità aumenterebbe se il paese cercasse di stimolare la propria domanda interna per crescere di più). Il combinato disposto dell’assenza di una banca centrale sovrana italiana – o di una BCE che assolva questo compito – e del disavanzo strutturale dei conti con l’estero, che mina le possibilità di crescita del paese, è alla base della sfiducia dei mercati, altro che speculazione! Siamo nella medesima situazione del 1992 (“Senza la BCE, l’Italia si può staccare come nel 1992” è il titolo dell’articolo del WSJ sopra citato). Ma allora la lira poté, appunto, staccarsi dallo SME e il paese recuperare competitività. La storia divorzio/SME e BCE/EMU si assomigliano assai: in ambedue i casi le classi dirigenti pensarono di importare la disciplina tedesca, e fecero i conti male. Ma dallo SME potemmo scappare nel 1992 per ricacciarci in un guaio peggiore nel 1999.

Certo che noi dobbiamo cambiare. In primo luogo cacciare un governo indegno sotto ogni punto di vista, e poi riformare (non ridurre) la spesa pubblica, rendere più efficiente lo stato e quant’altro. Pensare però di correggere la situazione a colpi di ulteriori manovre sarebbe folle. In via teorica un forte dimagrimento del nostro reddito nazionale porterebbe a “raddrizzare” conti con l’estero e pubblici. Ma il crollo del prodotto nazionale sarebbe così forte che ne seguirebbe una disoccupazione così devastante – ed è già intollerabilmente elevata – da generare una inesorabile disgregazione sociale (una delinquenza diffusa per esempio) e degrado di scuola, ricerca, università, sanità, servizi ecc., tali da far regredire il paese dal novero dei paesi moderni. Guardate, non sono fantasie, tutto ciò è già in atto, e Berlusconi è forse conseguenza e non causa di questo a cui anche (sopratutto?) i governi di centro-sinistra ci hanno avviato. Non credo che noi desideriamo quest’esito.

Ma è questo ciò che la Germania desidera? Che vantaggi economici e di stabilità politica e sociale del continente ne trarrebbe? O preferisce allora la rottura dell’UME con strascichi economici e politici altrettanto inquietanti. Questo lascia margini di manovra per noi a livello europeo: ci si deve rendere conto che siamo sulla medesima barca.

Intervento della BCE per spegnere l’incendio e una diversa politica economica europea per ricostruire, questi sono i passaggi. Il primo sarebbe di per sé epocale. I governi europei ritennero vent’anni fa che l’UME sarebbe stata la premessa dell’unione politica. Fu un calcolo folle: l’UME è un surrogato di un sistema aureo (gold standard). In quel sistema la quantità di moneta dipende, diciamo, dalla quantità d’oro prodotta dalle miniere sudafricane. E’ una semplice abdicazione collettiva alla sovranità monetaria e alla possibilità di aggiustamenti via tassi di cambio. Ci sta conducendo alla disgregazione europea, altro che a maggiore unità! Un serio intervento della BCE a favore di Italia e Spagna sarebbe un passaggio epocale in quanto significherebbe che l’Europa decide di avere una banca sovrana, e quanto sarebbe un passo politico vero verso una maggiore unità. Naturalmente poi dobbiamo fare i compiti a casa: in primo luogo colpire l’evasione subito e duramente per ridurre debito e deficit – in fondo sono gli evasori a detenere buona parte dei titoli pubblici acquistati con i proventi dell’evasione.

L’Italia avrebbe argomenti da vendere a livello europeo, se solo i nostri politici fossero meno provinciali, o non avessero una venerazione a prescindere, Napolitano in primis, dell’Europa, non capendo che questa Europa si sta suicidando. Bersani sarebbe stato benissimo in grado di svolgere questi ragionamenti sostenendo che solo un governo autorevole, non certo questo, si può presentare in Europa con proposte ragionevoli non solo per l’Italia, ma per l’interna unione. Non avrebbe concesso alcun alibi al governo, anzi avrebbe viepiù sottolineato quanto la sua sola presenza danneggi gli interessi del paese.


* Fonte: Left-AVVENIMENTI del 5 agosto 2011

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