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SI SALVI CHI PUÒ

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di Moreno Pasquinelli


Scrivo di getto, mentre giungono i dati sul nuovo tonfo dei mercati finanziari europei e, dentro questo tonfo, il crollo del valore dei titoli di stato italiani (il cui rendimento, ricordiamolo, sta in un rapporto inversamente proporzionale al valore). Un’ondata di vendite che, a partire dalla City di Londra, si è diffusa in tutte le piazze. A nulla è servito il salvagente degli acquisti da parte della Bce.
Ancor più significativa la notizia giunta da Londra: assicurarsi sull’acquisto dei titoli italiani è diventato proibitivo, la qual cosa ha incoraggiato le vendite. [1] Ciò significa, tra l’altro, che le banche non possono utilizzare come prima i titoli italiani come collaterali, ovvero è  sempre più difficile offrire titoli italiani a garanzia per comprare denaro dalla Bce o prendere a prestito denaro da altri istituti di credito. Come se non bastasse i rendimenti dei titoli italiani a breve scadenza hanno anch’essi sfondato la soglia del 7%, segno che i “mercati” temono l’insolvenza italiana, e non nell’arco dei 5-10 anni, ma che essa sia dietro l’angolo. [2] 


Effetti collaterali sono dunque non solo la svalorizzazione dei valori transati in borsa, ma il collasso del mercato creditizio, il blocco certo dei flussi di credito dalle banche alle aziende le quali dovranno pagare più cari i soldi presi in prestito. Morale della favola: recessione non certa, certissima, con le conseguenze economiche e sociali immaginabili.



Quanto sta accadendo oggi è l risposta dei “mercati” al pasticciaccio berlusconiano. Essi non hanno apprezzato, non tanto le dimissioni del Cavaliere, altamente gradite, ma il prezzo che questo signore vuole gli sia pagato per togliersi di mezzo. In particolare una Legge di stabilità (Finanziaria), incluso il maxi-emendamento allegato, all’acqua di rose, pensata in vista delle elezioni e quindi calibrata per non pregiudicare il proprio consenso elettorale.


I mercati esigono misure ben più decise e immediate sia per il pareggio di bilancio che per ridurre drasticamente il debito pubblico. In caso contrario essi non solo continueranno a sbarazzarsi dei titoli di stato italiani, non li compreranno più. Ciò che determinerà un aumento vertiginoso dei costi per finanziare il debito gettando il paese sull’orlo del default.


Ai “mercati”, leggi ai grandi banchieri e ai grandi fondi speculativi, non piace nemmeno, evidentemente, che si vada a votare con questa legge elettorale, che non consentirà ciò che essi in secondo luogo si attendono: un vero cambio della classe politica. Fatte le elezioni, ha ragione Piemme [3], il quadro politico resterà ancora nel marasma. E ha ragione Piemme a dire che la pressione dei “mercati” può far cadere i governi ma non metterli in piedi, tuttavia essi ci stanno provando, stanno provando ad imporre un governo d’emergenza, capeggiato da un tecnico di loro fiducia, che prenda misure economiche draconiane e faccia adottare una legge elettorale nuova, tale da consentire un ricambio profondo della classe politica.


Se Berlusconi pensava di essersela cavata a buon mercato si sbagliava. Ciò che sta succedendo dice chiaro che né la “manovra” di luglio, né quella più volte rimaneggiata d’agosto, né quella che oggi Tremonti, fresca di stampa, ha portat  al cospetto del Quirinale sono adeguate alla bisogna. 


I “mercati” hanno risparigliato il mazzo di carte, gettando la maggioranza di centro-destra nel pallone. A questo punto i berluscones o capitolano o vanno alla guerra, giocando allo sfascio, al tanto peggio tanto meglio.


La grande finanza predatoria, spalleggiata dai governi tedesco e francese e dagli eurocrati, per quanto mossa da appetiti carnivori, guarda all’Italia come un particolare nel generale, e il generale è la sorte dell’euro. Se crolla l’eurozona sarebbe un disastro dalla incalcolabile portata economica e geopolitica per chi comanda. L’Italia, come gli altri PIGS, deve quindi offrire il proprio tributo di sangue sull’altare dell’unione e dell’euro.


Non messi meglio sono gli avversari di Berlusconi i quali, in cuor loro, speravano che col maxi-emendamento i “mercati” avrebbero dato al paese una tregua, e che si sarebbero quindi potuti dedicare al cazzeggio, ad una campagna elettorale dalla quale sarebbero usciti vincitori —poiché dicevano sì di voler un governo d’emergenza, ma non ci credevano affatto. Adesso la cosa diventa terribilmente seria per loro, i “mercati” li hanno presi in parola: «Prendete in mano il governo, anche con numeri risicati, anche avendo contro il populista Berlusconi, e adottate le misure draconiane che Bce e Unione europea vi hanno dettato». Napolitano è su questa linea, supinamente deciso a porre il paese sotto il protettorato della finanza globale.


Che piega prenderanno gli eventi si deciderà nei prossimi giorni. Dalle scelte che verranno prese a Roma dipenderanno le sorti non solo di questo paese, ma anche dell’euro e dell’Unione europea. 


L’Italia ha solo due scelte davanti: o accetta, come chiedono il grande capitalismo e le banche globali, di perdere gli ultimi brandelli di sovranità politica seppellendo, pur di salvare la baracca dell’euro, ogni parvenza di democrazia (adottando una politica economica di macelleria sociale senza precedenti), o va in default, si dichiara cioè insolvente. 


Le forze sistemiche, sostenute da una sinistra imbelle, agitano il default come uno spauracchio. Affermano che l’implosione dell’euro sarebbe la fine del mondo. Non lasciatevi ingannare. Tra i due mali il minore è dichiararsi insolventi, seppellire l’euro, uscire dall’Unione, riguadagnare la sovranità nazionale, nazionalizzare il sistema bancario, per rinegoziare eventualmente il debito da posizioni di forza. 


Non fatevi spaventare! Non esistono, né un “Tribunale fallimentare internazionale”, né una giurisdizione sovranazionale che possa impedirci di imboccare un’altra strada, visto che quella dell’Unione dell’euro stanno fallendo sotto i colpi, non delle masse popolari, bensì  delle stesse leggi capitalistiche  di mercato. Alla prima prova seria di crisi sistemica l’euro sta dimostrando la sua costitutiva fragilità. Ogni cosa costruita sulla sabbia è destinata a crollare.


Note


[1]  «Anche la clearing house di Piazza Affari alza i margini di garanzia sui BTp»

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