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Rossana Rossanda |
La rotta d’Europa e la sinistra in rotta
di Piemme
Su il manifesto del 19 luglio Rossana Rossanda pubblicò uno dei suoi lunghi pistolotti dal titolo ambivalente «La rotta d’Europa». Si trattava di una specie di piagnisteo che si concludeva in un meschino interrogativo: “Sperammo anche noi comunisti nell’Unione europea, non vorremmo esserci sbagliati”.
Se per la gran parte della “comunità scientifica” i danni causati dall’euro e dalle politiche economiche delle oligarchie di Francoforte e Bruxelles —che nel frattempo erano sfociati nei disastri di Irlanda, Grecia, Portogallo, Spagna e Italia—erano la conseguenza di difetti che stavano nel manico della moneta unica, per la Rossanda valeva invece l’epoché, la sospensione del giudizio.
Non so, francamente, se questa cecità dipenda dalla tetragona incapacità di fare la benché minima autocritica da parte di certi maitre a penser della sinistra italiana, o se non dipenda invece dalla loro ignoranza in fatto di fatti economici e finanziari. Forse un miscuglio delle due cose.
Non vorremmo tirare in ballo il suicidio di Lucio Magri. Il suo atto non si spiega se non alla luce della consapevolezza, non solo di una sconfitta storica, ma di una sconfitta in gran parte autoprocurata. E in quest’ultima un posto di spicco l’ha avuto appunto il sostegno più o meno sperticato della sinistra italiana, il manifesto compreso, alla disavventura, prima dell’Unione e poi dell’euro, considerati, in nome di un malinteso internazionalismo, due eventi positivamente post-nazionalisti, quindi quanto meno progressisti. Chi scrive sottolineò allora che ciò era la prova, rimossa la nozione di imperialismo, del disancoraggio della sinistra da ogni paradigma rivoluzionario e dell’abbraccio mortale da parte dei pensatori post-moderni.
Vada per l’assenza di autocritica, cosa che riguarda chi nutre ancora fiducia in simili brontosauri. Non possono passare le “perle di saggezza” come questa:
«Non so – non trovando traccia delle procedure di abbandono dell’euro nelle varie bozze di trattati – se sia fattibile né ho capito in che cosa migliorerebbe le condizioni della Grecia un ripescaggio della dracma; la poderosa svalutazione si accompagnerebbe, certo, a una maggiore possibilità di esportare i suoi prodotti (ammesso che ne abbia di appetibili oltre il turismo) ma anche a un aumento, di proporzioni pari, del debito con le banche tedesche. O sbaglio?»
[il manifesto, 19 luglio 2011]
In poche righe due sfrondoni.
Che non ci sia traccia nei Trattati di clausole di rescissione del contratto che ha portato alla costituzione dell’euro, non vuol dire che gli Stati che ne fanno parte non possano, con atto politico unilaterale e insindacabile, tornare alla sovranità monetaria. Non occorre essere luminari di diritto internazionale, ma solo conoscere uno po’ di storia per saperlo. E tuttavia merita di essere segnalato che questo argomento (come si fa a recedere da un Trattato se esso non contempla la rescissione), per quanto risibile, vine sollevato da molti sinistrati quando gli parli di uscire dall’euro.
Il secondo sfrondone sulla Grecia. Afferma la Rossanda, evidentemente ritenendo che il massacro sociale in atto non abbia alternative possibili, che il ritorno alla dracma porterebbe ad un aumento del debito con le banche tedesche. E perché mai? Sarebbe vero nel caso che la Grecia non ripudiasse il debito, ovvero lo onorasse. Ma che senso avrebbe per la Grecia tornare alla dracma senza il ripudio del debito estero? Evidentemente nessuno. Ed infatti nessuno, tranne la Rossanda, prende in considerazione l’ipotesi di un’uscita della Grecia dall’euro senza un default conclamato sulle obbligazioni internazionali. Senza andare troppo indietro, sarebbe stato sufficiente considerare il default argentino del 2001-02. Si vede che la Rossanda non mastica molto di economia.
Malgrado ciò la Corte dei miracoli che si raccoglie attorno a il manifesto, proprio sulla base di quell’articolo, ha contribuito a svolgerci un convegno, a Firenze il 9 dicembre scorso proprio col titolo La rotta d’Europa.
Sempre la Rossanda ne fa un sunto su il manifesto del 13 dicembre, questa volta col titolo La Rotta d’Europa, tre considerazioni urgenti, dal quale apprendiamo che i tre mesi passati dal primo articolo hanno contribuito ad infittire la nebbia attorno all’enigma delle sue opinioni.
Un articolo farraginoso, senza né capo né coda, in cui ancora una volta la Rossanda si erge ad avvocato difensore della sinistra, non solo di quella che sostenne l’euro, anche di quella che ne fu architetto. Ancora una volta nemmeno l’ombra di autocritica. Si tira in ballo il crollo dell’URSS per giustificare la débâcle della sinistra italiana (il solito alibi), senza dire che proprio la cieca adesione all’euro e ai Trattati europei è stato il fatto suicidario fondamentale. La Rossanda parla di “paralisi delle sinistre”, di “afonia delle sinistre”, di “sinistre che si adeguano”, di “inerti sinistre storiche” e via discorrendo, ma mai afferma che afonia, inerzia e paralisi dipendono anzitutto dall’essere colpevoli per aver contribuito in maniera determinante al disastro dell’euro. Sinistre che son riuscite a rinnegare tutto il loro passato, ma che non possono né vogliono rinnegare di aver partorito, col neoliberismo come levatrice, il pargolo mostruoso, l’euro appunto.
E non c’è proprio verso di far ragionare questa sinistra. Nè pare serva la lezione formidabile che stanno dando Monti e i suoi mandanti. Non fa nemmeno capolino nel cervello di questa sinistra l’idea che all’euro possa esserci un’alternativa. L’eutanasia di Lucio Magri sembra così una triste metafora di quel che accadrà a certi superstiti, che se di sinistra sono, lo sono del fronte unico liberista, solo con pallide venature keynesiane.
Cosa infatti propone la Rossanda pur di restare nell’Unione e di tenersi l’euro? Sentiamo:
«Le nostre proposte sono, appunto, “riformiste”: colpire la finanza con una tassazione forte, colpire gli alti patrimoni, reintrodurre un controllo dei capitali in direzione opposta alla formula tedesca, ridare fiato agli organismi comunitari, ricondurre la Bce a quelli che dovrebbero essere i suoi fini, riformare un gruzzolo, oggi dovunque scomparso per la crescita».
In breve: per uscire dalla crisi dell’Unione più Unionismo, e per salvare l’euro più potere alla Bce, tra cui quello di voltare le spalle alla dottrina tedesca per seguire la linea di quantitative easing della Fed americana.
Robetta, robetta che la Rossanda virgoletta a ragione come “riformista”. A patto di specificare che questo “riformismo” non è neanche l’ombra di quello tradizionale delle socialdemocrazie, che esso non ha nemmeno il più timido segno di classe, se non quello di essere un “riformismo” nel senso gergale entrato in uso, un “riformismo” tutto interno al capitalismo decadente e alle sue élite sbandate.
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Ben detto.