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UNIONE EUROPEA O DELL’ IMPERIUM ŒCONOMICUM

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Dalla Res publica alla dittatura del mercato

di Franco Russo*

Pubblichiamo volentieri questo breve e denso saggio, necessario per capire a quale ordine giuridico corrisponda l’Unione europea. In maniera limpida vengono spiegati i passaggi che hanno portato al dissolvimento sostanziale degli stati-nazione, rimpiazzati da un nuovo tipo di dominio imperiale. Ringraziamo il compagno Franco Russo per averci concesso di pubblicare il saggio.

1. La lettera dei banchieri
Sull’Italia, dopo la prima ‘manovra economica’ dello scorso luglio (decreto legge 98/ 2011), è continuato il pressing dei mercati finanziari e dell’UE per rendere più severe le politiche di austerità, e in piena estate, esattamente il 5 di agosto, è stata inviata al Presidente del Consiglio Berlusconi, impropriamente definito Primo Ministro, da parte di Jean-Claude Trichet, presidente della BCE, e da Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, una lettera con la precisa indicazione di ulteriori interventi per rispettare gli impegni assunti nei Consigli Europei e nei documenti che hanno scandito il primo ‘semestre europeo’. Così in agosto è stata varata, con il decreto legge 138/2011, una seconda manovra di stabilizzazione con effetti correttivi di 60 miliardi di euro sui saldi di bilancio del 2014.
Prima di esaminare la lettera dei due banchieri, è utile ricordare che il Consiglio ECOFIN del 7 settembre 2010, ha modificato il Codice di condotta per l’attuazione del Patto di stabilità e crescita mediante le procedure del ‘semestre europeo’, avviato nel gennaio 2011. La loro novità è nella discussione e nell’indicazione ex ante delle politiche di bilancio, le cui fasi principali sono: a metà aprile quando gli Stati membri sottopongono i Piani nazionali di riforma (PNR, elaborati nell’ambito della nuova Strategia UE 2020) e contestualmente i Piani di stabilità e convergenza (PSC, elaborati nell’ambito del Patto di stabilità e crescita), tenendo conto delle linee-guida dettate dal Consiglio europeo; a inizio giugno quando, sulla base dei PNR e dei PSC, la Commissione europea elabora le Raccomandazioni di politica economica e di bilancio rivolte ai singoli Stati membri; nella seconda metà dell’anno quando gli Stati membri approvano le rispettive leggi di bilancio, sulla base delle Raccomandazioni ricevute. In un’indagine annuale la Commissione dà conto dei progressi conseguiti dai paesi membri nell’attuazione delle Raccomandazioni stesse.
Nel 2011 il governo italiano ha seguito con puntualità le cadenze temporali prescritte dall’UE elaborando il Programma  nazionale di riforma (PNR) per il perseguimento degli obiettivi della Strategia 2020, e il Programma di stabilità. I due documenti sono divenuti parte integrante del Documento di economia e finanza (DEF), il nuovo strumento di programmazione economico-finanziario (legge n. 39/2011), approvati dalla Camera con la risoluzione n. 6-00080 del 28 aprile1 . Anche da parte della Commissione sono stati rispettate le scadenze con la definizione, il 7 giugno, delle Raccomandazioni per ciascun dei 27 paesi membri, in cui sono stati valutati gli impegni definiti con i rispettivi PSC e PNR. Esse sono state fatte proprie dall’ECOFIN del 12 luglio, e poi pubblicate il 21 luglio nella Gazzetta ufficiale dell’UE. All’Italia è stata indirizzata la Raccomandazione del Consiglio n. 2011/C 215/02, e per questo, gli impegni assunti sono diventati ‘norme europee’. Nella Raccomandazione sono espresse tutte le principali richieste incluse, prima, nella lettera di Trichet e Draghi del 5 agosto, e poi in quella del governo italiano del 26 ottobre: dal consolidamento fiscale, al mercato del lavoro per cancellare le ‘protezioni’ dell’articolo 18 dello Statuto contro i licenziamenti con il fine di introdurre dosi massicce di ‘flexisecurity’, alla liberalizzazione dei servizi pubblici e delle professioni, all’abbattimento dei controlli e dei costi amministrativi per rendere più libere le imprese, fino alle modifiche della Costituzione ‘in modo da rafforzare la disciplina di bilancio’ (punto 16 dei ‘considerando’ della Raccomandazione).
L’impianto procedurale del semestre europeo ha, dunque, già prodotto scelte operative e atti legislativi costituendo il modus operandi della governance economica europea. Questa, con il Consiglio europeo del 24-25 marzo 2011, si è arricchita del Patto Euro Plus2, che lo stesso governo italiano ha riconosciuto essere un ‘momento di innovazione costituzionale’: «Gli effetti del Patto non sono e non saranno limitati alla dimensione economica […] ma esteso alla dimensione politica. Effetti destinati a prendere la forma di una sistematica e sempre più  intensa devoluzione di potere dagli Stati-nazione ad una comune nuova e sempre più politica entità europea»3 .
L’UE, per gestire la crisi economico-finanziaria, è andata concentrando sempre più i poteri nel Consiglio europeo e nella BCE e nelle due nuove istanze istituzionali, quelle dell’Euro Summit e del suo presidente, che attualmente coincide con quello del Consiglio europeo, Herman van Rompuy: sono questi i ‘giudici di ultima istanza’ che dettano le misure di bilancio e di politica economica, controllandone anche l’esecuzione.
Delineata l’evoluzione istituzionale della governance europea, torno alla lettera  di Trichet e Draghi, che ha imposto al governo italiano l’attuazione degli impegni assunti in sede UE, condizione necessaria per beneficiare degli interventi della BCE sul mercato secondario dei titoli pubblici al fine di alleviare lo spread con quelli tedeschi,  e per evitare le sanzioni definiti nel six pack. Approvato il 4 ottobre 2011, il six pack prevede un deposito dello 0.2% del PIL per lo Stato che infrange le regole del limite del deficit annuale del 3% trasformabile in una multa, prescrivendo altresì il rientro del debito nel limite del 60% del PIL nell’ordine di  un ventesimo ogni tre anni 4.  Trichet e Draghi, forti delle Conclusioni del Consiglio europeo del 21 luglio, quando il governo italiano assunse impegni con ‘firma sovrana’, hanno chiesto come prioritaria la realizzazione di ‘condizioni di bilancio sostenibili’ accompagnate da ‘riforme strutturali’, misure tutte già definite nella Raccomandazione. Infatti, ossessivamente, si ripropone la necessità di aumentare il livello della concorrenza nei servizi anche con la loro privatizzazione  ridisegnandone i sistemi regolatori e fiscali, e di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva − «permettendo accordi a livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti  rispetto ad altri livelli di negoziazione»5
Pur muovendosi in questa direzione, si giudica non sufficiente l’accordo del 28 giugno tra Confindustria e sindacati perché manca «un’accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti», ciò che avverrà sia pur parzialmente con l’art. 8 del decreto legge 138, adottato nell’agosto proprio in seguito alla lettera dei banchieri centrali. Si ritiene poco aggressivo l’insieme delle misure del luglio 2011 e si domanda il raggiungimento del pareggio di bilancio (il close to balance) nel 2013: ciò che sarà puntualmente accolto nel decreto legge 138. Altra perentoria richiesta è l’intervento sulle pensioni, in particolare su quelle di anzianità e sull’età di pensionamento delle donne. Da ultimo, come per altri paesi, si prospetta l’urgenza di modifiche costituzionali per ancorare il pareggio di bilancio a una norma di rango superiore a quello della legge ordinaria. Quello di Draghi e Trichet è il programma di governo che le classi dirigenti italiane sono chiamate ad attuare, siano esse di centrodestra o di centrosinistra. Data la scarsa credibilità del governo Berlusconi, Sarkozy, nella conferenza stampa del 23 ottobre, ha ben specificato di riporre ‘fiducia nell’insieme delle istituzioni italiane’, con chiaro riferimento alla Presidenza della Repubblica e alla Banca d’Italia. Non a caso la Presidenza di Giorgio  Napolitano si è venuta trasformando da organo di garanzia della democrazia in quello di garanzia del debito sovrano, ed è marcata da un interventismo politico volto a sollecitare ‘le inevitabili riforme di struttura’ per la crescita. Nel discorso di Bruges, come riportato da Il Sole 24 Ore del 27 ottobre, il Presidente Napolitano ha espresso soddisfazione per le ‘rilevanti innovazioni’ e del contributo della BCE nell’affrontare la crisi del debito sovrano, ha confermato la centralità dell’euro nella costruzione europea e si è fatto sostenitore dell’esecuzione puntuale delle richieste dell’UE all’Italia. Due ancora sono i passaggi significativi del discorso di Bruges, rivolti non tanto alla presente crisi, quanto al futuro: «Nessuna forza politica italiana può continuare a governare, o può candidarsi a governare, senza mostrarsi consapevole delle decisioni, anche impopolari, da prendere ora nell’interesse nazionale e nell’interesse europeo», dunque le misure dell’UE vanno accettate e attuate senza tentennamenti. Si deve agire in questo modo, ed è la seconda considerazione, perché stanno avvenendo «trasferimenti di sovranità […] a livello europeo». Con molta precisione il Presidente Napolitano individua nel Patto Euro Plus uno scavalcamento della «rigida parete divisoria che si volle sancire nel vigente Trattato a protezione delle competenze degli Stati nazionali, contro una progressiva estensione di quelle dell’Unione».
Maggioranza e opposizione in Italia, così come negli altri paesi membri, devono muoversi entro i rigidi binari politici tracciati dall’UE, perché è nell’UE che si vanno trasferendo le sovranità degli Stati nazionali. Dunque, siamo di fronte a un governo dell’UE, chiamata il più delle volte governance perché concentrata sulla gestione dell’economia e della finanza, e funzionante secondo una rete di organi a differenti livelli.
La seconda lettera da prendere in considerazione è naturalmente quella del governo italiano in occasione del Consiglio europeo e dell’Euro Vertice del 26 ottobre. L’Euro Vertice, mi preme sottolineare, ha acquisito un  rilievo istituzionale specifico che metterò in luce.
I contenuti della lettera ‘italiana’− la si può leggere integralmente nel sito di Il Sole 24 Ore − sono semplicemente una più accurata e più meticolosa esplicitazione dei temi (im)posti da Trichet e Draghi. Basta scorrere l’agenda prospettata per rendersene conto. L’Italia, in particolare, si impegna ad approvare entro il 2012 «una riforma della legislazione del lavoro funzionale alla maggiore propensione ad assumere e alle esigenze di efficienza dell’impresa anche attraverso una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato». Poi, si snocciola l’ormai ben noto elenco delle cd riforme di struttura quali l’apertura dei mercati in chiave concorrenziale nei servizi pubblici in particolari in quelli locali e la liberalizzazione delle professioni, il sostegno all’imprenditorialità e all’innovazione, la modernizzazione della burocrazia pubblica con la semplificazione delle procedure, lo snellimento dell’amministrazione della giustizia, la riforma dell’architettura costituzionale dello Stato con la riduzione del numero dei parlamentari e con l’abolizione delle province, la riforma in senso federale dello Stato, la maggiore efficienza dei meccanismi decisionali e il rafforzamento del ruolo dell’esecutivo e della maggioranza, la modifica degli articoli della Costituzione relativi alla libertà di iniziativa economica, alla tutela della concorrenza e al vincolo di pareggio di bilancio. Il governo vuole, poi, abbassare le tutele pensionistiche, dismettere il patrimonio pubblico, razionalizzare la spesa pubblica ridurre il numero dei  lavoratori nel pubblico impiego, misure tutte simili a quelle della Spagna, del Portogallo e della Grecia.
2. Modificazioni degli assetti istituzionali
Le decisioni economico-finanziarie dell’UE nel corso della crisi sono andate di pari passo con le modifiche degli assetti istituzionali. Delle decisioni del Consiglio europeo del 23 ottobre 2011, qui interessano i punti 4 e 7. Nel primo si dà una valutazione positiva dell’efficacia degli strumenti della governance economica messi a punto con il semestre europeo, le cui procedure di coordinamento a livello europeo sono state rese più stringenti con il Patto Euro Plus e il six pack. Al punto 7 si sottolinea la responsabilità della Commissione europea nell’assicurare il rispetto della legislazione dell’UE da parte di tutti i 27 Stati membri soprattutto per quanto riguarda il mercato interno, che si conferma essere la vera stella polare della costruzione europea. Si fa riferimento, poi, al Presidente del Vertice Euro che «sarà designato dai capi di Stato o di governo della zona euro nella stessa occasione in cui il Consiglio europeo elegge il suo presidente e per la stessa durata. In attesa della prossima elezione, l’attuale presidente del Consiglio europeo presiederà le riunioni del Vertice Euro». La nuova figura istituzionale viene disciplinata dalle regole stabilite nell’Allegato 1 delle Conclusioni, si noti bene, del Vertice Euro tenutosi subito dopo il Consiglio europeo.
Nel Vertice Euro, o Euro Summit, del 26 ottobre, al di là all’elogio per gli impegni assunti con la lettera del governo Berlusconi, in termini ben precisi si ribadisce che l’Italia deve ridurre il debito pubblico del 7% entro il 2014, una cifra intorno ai 100 miliardi di euro, introdurre in Costituzione una norma sul pareggio di bilancio, e operare interventi per liberalizzare i licenziamenti. La Commissione è incaricata di controllare la puntuale attuazione del programma, che il governo italiano di qualsiasi colore politico è chiamato a rispettare − come ancora una volta il Presidente Napolitano ha seccamente ribadito in una Nota ufficiale il 1° novembre in cui «considera ormai improrogabile l’assunzione di decisioni efficaci nell’ambito della lettera di impegni indirizzata dal governo alle autorità europee».
Le altre decisioni del Vertice Euro del 26 ottobre sono state l’incremento delle risorse dell’EFSF per fornire un’assicurazione contro i rischi agli investitori privati e l’istituzione di una società veicolo per ‘aumentare l’ammontare delle risorse disponibili per erogare prestiti, ricapitalizzare le banche e acquistare obbligazioni sui mercati primari e secondari’; gli interventi per la ricapitalizzazione delle banche sono esposti nell’Allegato 2.
Nell’Allegato 1 sono contenute due innovazioni istituzionali. La prima consiste nella trasformazione dell’Eurogruppo, insieme con la Commissione e la BCE, in «fulcro della gestione quotidiana della zona euro»,  e nel potenziamento delle sue strutture operative essendo chiamato a svolgere «un ruolo centrale nell’attuazione del semestre europeo». 

Per rendere effettive le deliberazioni del Vertice Europeo − questa la seconda innovazione, già richiamata − è stato istituito un suo Presidente permanente. Lo stesso 26 ottobre, a questa carica è stato chiamato van Rompuy in modo da renderla immediatamente operativa. Nell’Allegato 1 sono definite ben dieci misure per stabilire, tra l’altro, riunioni periodiche del Vertice Euro con la partecipazione dei capi di Stato o di governo della zona euro e del presidente della Commissione. I Vertici Euro «definiranno gli orientamenti strategici per la condotta delle politiche economiche, per il miglioramento della competitività e per una maggiore convergenza nella zona euro». L’Eurogruppo, oggi presieduto da Jean-Claude Juncker, dovrà «assicurare il coordinamento sempre più stretto delle politiche economiche e la promozione della stabilità finanziaria».  Al punto 6 si stabilisce che il «presidente del Vertice Euro, il presidente della Commissione e il presidente dell’Eurogruppo si riuniranno periodicamente, almeno una volta al mese. Il presidente della BCE può essere invitato a partecipare. I presidenti delle autorità di vigilanza e il direttore generale dell’ EFSF e l’amministratore delegato dell’ ESM possono essere invitati in occasioni puntuali»6.

Senza modificare i Trattati, senza discussione nei Parlamenti nazionali, senza un dibattito pubblico, si sono trasformati organi già esistenti, e se ne sono creati di nuovi, con competenze non previste nei Trattati.  Passo dopo passo, secondo il vecchio metodo funzionalistico si rendono sempre più penetranti i poteri del governo europeo. Questo è esercitato, in un intreccio di organi e di competenze, dal Consiglio europeo, dalla Commissione, dal Consiglio nelle sue diverse formazioni, dall’Eurogruppo, dal presidente del Vertice Euro in stretto rapporto con la BCE e con l’EFSF ( e dal 2013 con l’ESM). Tutto ciò  è stato deciso dai governi e dalla tecnocrazia per rispondere ai mercati, il cui consenso si è sostituito a quello dei cittadini. La conferma della supremazia politica dei mercati si è avuta con la loro rabbiosa risposta alla proposta del governo greco di indire un referendum sull’ultimo piano di salvataggio, quello definito nell’Vertice Euro del 26 ottobre. Di fronte alla prospettiva di un voto dei cittadini i centri finanziari il 1° novembre hanno fatto crollare le borse europee e fatto schizzare ancora più in alto il tasso di interesse sui titoli pubblici. Decidono i mercati, non i cittadini − questo il messaggio del 1° novembre.
In dodici mesi, a distanza di neppure due anni dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’UE per rispondere alla crisi economico-finanziaria ha trasformato le sue istituzioni e procedure decisionali, metodo che forse non piacerà a quanti credono che le istituzioni debbano essere pensate e organizzate more geometrico, mentre esse evolvono in modi contingenti rispondendo alle domande del tempo. Si conferma, in queste vicende dell’UE, la perspicacia di chi ha sostenuto che l’evoluzione delle istituzioni è sempre path dependent, condizionata cioè dalle esigenze che storicamente sono chiamate a soddisfare. Le élites dirigenti dell’UE ne sono ben consapevoli e agiscono sì pragmaticamente avendo, al tempo stesso, sempre presenti le finalità della costruzione europea. Si legga l’intervista di Wolfgang Schäuble, Ministro delle finanze della Germania: «Tutti sappiamo che noi dobbiamo continuare nella costruzione dell’Europa. Bisogna andare avanti passo per passo. Non solo oggi ma anche domani e dopodomani». E ancora: «Finora l’Europa è uscita da ogni crisi più forte. Sarà così anche questa volta»7. Schäuble riassume in poche limpide frasi intere biblioteche dedicate a spiegare il metodo funzionalistico nella costruzione europea, teorizzato dal padre fondatore Jean Monnet ed esposto con parole ispirate nella Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950: «L’Europe ne se fera d’un coup, ni dans une construction d’ensemble: elle se fera par des réalisations concrètes créant d’abord une solidarité de fait»8.
 La prima Comunità, la CECA, rendeva esplicito l’ambito nel quale si sarebbero dovuti compiere le ‘realizzazioni concrete’: quello economico, specificamente del carbone e dell’acciaio. Con la CEE, il mercato comune venne posto al centro; con i Trattato di Maastricht l’UE definì l’obiettivo del mercato unico, senza più frontiere per la libera circolazione delle merci, delle persone, dei capitali e dei servizi(‘le quattro libertà’). Con l’euro, la moneta unica di diciassette dei ventisette Stati dell’UE,  si è alla sfida più impegnativa perché l’euro non è governato da uno Stato sovrano, né da una Confederazione o Federazione di Stati. A fronte del sovrano della moneta, della BCE − definita da Rainer Weinert ‘guardiano della stabilità del valore della moneta’ (der Hüter der Geldwertstabilität)9− non c’è un ‘decisore unico’ delle politiche fiscali europee. Per sopperire a questo vuoto, che in questa fase storica è il problema dell’UE,  non è  stato seguito il suggerimento, avanzato tra gli altri da George Soros, della creazione di un ministro del Tesoro europeo10. La soluzione adottata è più pragmatica  e ripercorre le idee del Piano Werner, del 1970, che prefigurava un unico centro comunitario per le decisioni di politica di bilancio, che oggi è costituito dall’Eurogruppo, dalla Commissione, dall’ECOFIN e dal Consiglio europeo. Il piano Werner, espresso con le parole di A. Santagostino, prevedeva proprio un esame comunitario prima che i governi stabilissero in maniera definitiva i loro bilanci, per imporre i vincoli necessari affinché le politiche fiscali nazionali concorressero alla stabilità della moneta: è quanto realizzato con il Patto Euro Plus11.
3. Dal punto di vista della filosofia del diritto
Sono stati scritti centinaia di volumi per analizzare i tratti salienti della costruzione europea, e sono state elaborate le più disparate ‘teorie’. Sarebbe stata sufficiente una più attenta riflessione sugli scritti di Jean Monnet, o sulle stesse norme fondamentali dei Trattati cosi come interpretate dalla Corte di Giustizia, o sui vecchi quanto lucidi saggi di David Mitrany, per avere chiaro che la costruzione europea mediante successive aggregazioni di competenze aveva e ha come fine prioritario la costruzione di un mercato unico sovranazionale, in cui le istituzioni, le relazioni sociali, le condizioni ambientali e infrastrutturali, le ‘quattro libertà’,  la formazione e le politiche  ‘sociali’  vengono tutte indirizzate al raggiungimento di un’economia altamente competitiva entro il mercato globale.
Questo progetto di unione economica, di mercato unico sovranazionale, richiede forme istituzionali diverse da quelle proprie della democrazia rappresentativa. Fu per primo Mitrany a teorizzare la contrapposizione tra una ‘voting democracy’ e una ‘working democracy’, sostenendo che l’autorità nell’epoca contemporanea si legittima attraverso i risultati che consegue, cioè come out-put democracy in quanto dipendente dall’efficienza, in primo luogo del mercato dove quotidianamente il consumatore ‘vota’ con i piedi scegliendo il venditore che soddisfa a più basso prezzo la sua domanda12.
Mitrany teorizzò, inoltre, l’evoluzione spontanea delle istituzioni comunitarie ‘branch by branch’, settore per settore, perché ogni funzione avrebbe generato le altre gradualmente. È la grande idea che l’integrazione economica avrebbe prodotto quella politica − è la stessa idea di Monnet quando elaborò il piano della CECA, che avrebbe dovuto condurre alla federazione politica europea attraverso l’integrazione successiva dei diversi ambiti economici. Il risultato non è stato la creazione di una società europea dotata di una Costituzione democratica, ma di una società di mercato con una costituzione economica che ha ribaltato i principi delle Carte costituzionali del Novecento. La costruzione delle Comunità e ora dell’Unione europea ha accentuato il ruolo del mercato, dell’impresa e della finanza, divenuti gli ‘ordinatori’ delle relazioni economiche, sociali e istituzionali. Il dominio dell’economia sulla società, quell’economicismo così caratteristico della cultura capitalistica, trova una sua strumentazione specifica negli articoli 101-109 del TFUE − i vecchi articoli 81-89 del TCE riprodotti alla lettera, definiti a ragione l’economic due process clause −, e nel Trattato di Maastricht, recepito nei Protocolli n. 12 e 13 del Trattato di Lisbona che prescrivono la stabilità dei prezzi, il contenimento della spesa pubblica e le politiche di convergenza.
Per questo Fabio Merusi, anni fa, ha potuto parlare, compiacendosene, della Comunità europea come dell’assassino dell’articolo 41 della  Costituzione: «il governo italiano, infatti, promuovendo (il mandante) il – e aderendo (gli atti esecutori) al – Trattato di Roma sulla istituzione della Comunità economica europea aveva introdotto nel ‘sistema di governo’ italiano una bomba ad orologeria che, una volta scoppiata, lo avrebbe radicalmente distrutto e, conseguentemente, costretto a rigenerarsi in maniera diametralmente opposta: il mercato comune era fondato sugli istituti del mercato e della concorrenza e la progressiva trasformazione della Comunità in una federazione di Stati avrebbe introdotto anche nello Stato federato italiano il mercato e la concorrenza al posto dell’interventismo nell’economia»13. Merusi ha ben visto che la ‘costituzionalizzazione’ del mercato concorrenziale sarebbe avvenuto grazie all’UE, e ora siamo alle soglie della sua formalizzazione se verranno approvati le modifiche degli articoli 41 e 81 della Costituzione secondo i disegni di legge del governo  in discussione alla Camera14.
Sono state formulate, come ho prima ricordato, una quantità di teorie sull’integrazione europea – dall’ imperium mixtum di Cassese fino alla multilevel governance di Pernice o allo Stato regolatore di Majone, o alla democrazia post-nazionale di Scharpf −, mentre sarebbe stato sufficiente esaminare senza paraocchi ideologici ‘parole e cose’ delle istituzioni europee per giungere a due conclusioni. La prima, sintetizzata con nitidezza già da Walter Hallstein, è che la Comunità ‘è creazione del diritto, è fonte del diritto, ed è ordine giuridico’ (Sie ist Schöpfung des Rechts, sie ist Rechtsquelle, und sie ist Rechtsordnung’)15; ciò che la Corte di Giustizia ha ben presto legittimato sancendo che le istituzioni europee sono una ‘comunità di diritto’. La seconda conclusione, anche questa legittimata da sentenze della Corte, è che con i Trattati avviene un trasferimento di sovranità da parte degli Stati membri, competenza per competenza.
C’è sì un tratto originale della costruzione europea, ed è che l’UE è un ordine giuridico del mercato al di là degli Stati nazionali.
Finora mercato capitalistico e Stato nazionale sono stati organismi intrecciati, nati l’uno per e mediante l’altro; nell’epoca del mercato globale − qui è la novità  − si affermano i grandi spazi economici sovranazionali, gestiti con gli strumenti del diritto – soft e hard law – non più elaborati e maneggiati dagli Stati nazionali come al tempo del ‘liberale’impero britannico, o del brutale Reich nazista con il suo Großraum o, più recentemente, dell’egemonismo imperiale degli USA. Sono organismi sovranazionali a costruirli e a gestirli. L’UE è l’esperienza più avanzata nell’organizzazione di un grande spazio economico e gli Stati europei agiscono in funzione di questo obiettivo del mercato unico continentale.
Lo Stato non è più la condizione necessaria per la costruzione, l’esistenza e lo sviluppo del mercato capitalistico. Oltre lo Stato rimane il mercato, e ancora una volta questo non è il prodotto spontaneo delle forze economiche, ma la consapevole costruzione a cui partecipano gli Stati, le élites finanziarie e imprenditoriali, la tecnocrazia. La gestione politica dei grandi spazi economici è affidata a centri decisionali sovranazionali che nascono senza legittimazione democratica e vivono senza consenso democratico, neppure quello elettorale. Ha ben ragione Gianni Ferrara quando, già alcuni anni fa, parlava di questo processo come di ‘liberazione dalla democrazia’. Per questo, è altrettanto pertinente l’osservazione di Fausto Bertinotti quando parla di ‘impermeabilità’ delle istituzioni dell’UE alle istanze democratiche16. Non si tratta solo di un deficit di democrazia di cui si è discusso per decenni. Nell’UE stiamo assistendo a un trasferimento di sovranità verso organi − formati da Capi di Stato o di governo, tecnocrazia, centri economico-finanziari − guidati  da strategie e linee operative volte solo alla costruzione e al funzionamento dei mercati. Bruxelles  e Francoforte sono divenuti i centri del potere: un circuito di istituzioni al servizio dei mercati, da cui è espulsa la democrazia17 .
Se si vogliono individuare modelli euristici per dar conto dell’evoluzione dell’UE, si può ricorrere all’apparato categoriale dell’Ordo-liberalismus. Si sbaglia se si considerano i (neo)liberali come sostenitori dello Stato minimo, inteso come semplice ‘guardiano di notte’, a protezione esclusivamente della sicurezza e della pace pubbliche, come se la società di mercato potesse vivere in condizioni di anarchia nell’assenza di più complessive istituzioni, di articolati ordinamenti giuridici, di regole e regolatori (oggi chiamati ‘autorità independenti’). Al contrario, essi  − da Eucken a Müller-Armack a Röpke a Erhard, e io vi includo anche von Hayek − hanno sempre affermato la centralità per il mercato dell’ordine giuridico,  mettendo in luce come questo potesse esistere e svilupparsi anche al di là dello Stato nazionale, che è solo una delle sue possibili manifestazioni. Anche negli scritti di Robbins e di Einaudi si trovano analizzati i nessi tra mercato e federalismo politico a livello sovranazionale, così come vi risulta chiarito che per funzionare il mercato non ha la necessità di essere protetto e chiuso nei confini dello Stato nazionale18. Necessarie sono istituzioni in grado di rendere certi i contratti e sicura la proprietà privata, nel quadro della garanzia del complessivo funzionamento della società di mercato − dalla libera concorrenza alla riproduzione  e mobilità della forza lavoro.
Davanti a noi è l’esperienza storica di un imperium œconomicum. L’integrazione europea si va realizzando attraverso una ‘rivoluzione permanente del mercato’, che ridefinisce e disloca la stessa sovranità. Alla domanda: chi è oggi il sovrano nella UE. Ha risposto dieci anni fa Sonja Puntscher Riekmann: la Commissione che, con il sostegno della Corte di giustizia, ha assunto il ruolo di Statthalter, di Governatore degli Stati19. Oggi, con più rispondenza alla realtà, si può affermare che i mercati sono sovrani, e che l’UE governa in loro nome.
È stata forgiata l’espressione ‘embedded liberalism’ per esprimere questa interpenetrazione tra istituzioni e mercati, io ho usato quella coniata dalla Puntscher Riekmann di imperium œconomicum. Si può trovare forzato il suo parallelismo tra l’odierna Commissione europea e i commissari dell’Ancien régime, inviati nelle province con poteri tali da distruggere privilegi e principati locali al fine di accentrare il potere nello Stato nazionale monarchico; certo non si può negare la sua tesi che oggi nel progetto del mercato mondiale, che guida le forze capitalistiche e le sue élites dirigenti, si esprima il primato politico dell’economia capitalistica. Per questo sembrano fuori tempo e fuori luogo le questioni della sovranità e della democrazia, sostituite da quelle dell’efficienza economica e dell’efficacia ed effettività delle decisioni, che caratterizza l’out-put democracy.
Ha sostenuto Puntscher Riekmann che i centri decisionali connessi con i network di interessi  economici e con gli apparati amministrativi ‘sostituiscono il sovrano’: potere in actu, non in situ. Si domanda, riprendendo espressioni di Foucault: si dà un potere senza centro, che si manifesta solo in atti? La risposta è davanti a noi in questo impero della ricchezza dove è legge la minimizzazione dei costi e  la massimizzazione dei profitti, dove la socialità di qualsiasi bene materiale e immateriale è misurata dal suo valore in denaro, dove ogni individuo è un agente di mercato. Il mercato mondiale è divenuto la res publica20.
L’UE assume sempre più i connotati di imperium œconomicum, di una società di mercato senza democrazia, in cui è ristabilito perfino il censo essendo la capacità di voto commisurata e pesata con il denaro. Chi più ne ha, più conta. 
* Fonte: Alternative per il socialismo, n.19/2011
 ** il titolo originale del saggio è «UE: fuga dalla democrazia»

NOTE

1.     Camera dei deputati, www.camera.it, Temi alla voce governance;
2.     Conclusioni del Consiglio europeo 24-25 marzo 2011, punto 11 e Allegato 1 ‘Coordinamento più stretto delle politiche economiche per la competitività e la convergenza’, www.european-council.europa.eu ;
3.     DEF, Camera dei deputati, doc. LVII, n. 4, p. 5;
4.     Consiglio dell’UE, 4 ottobre 2011, n. 14998/11, www.consilium.europa.eu ;
5.     Corriere della Sera, 29 settembre 2011, p. 3;
7.     Die Zeit, 2011, n. 40, p. 5;
8.     in Le plan Schuman dans l’histoire, a c. di Andreas Wilkens, Bruxelles, 2004, pp. 45-47;
9.     in Europäisierung nationaler Gesellschaften, a c. di Maurizio Bach, Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsychologie, Sonderheft 40/2000, p.69;
10.  Il Sole 24 Ore, 18 settembre 2011, p. 19;
11.  in Culture economiche e scelte politiche nella costruzione europea, a c. di D. Felisini, Bari 2010, pp. 112-18;
12.  David Mitrany, A Working Peace System, Londra 1943, pp. 6 e 9;
13.  Democrazia e autorità indipendenti, Bologna, 2000, pp. 13-14;
14.  Per la riforma dell’articolo 41, v. XVI Legislatura., Disegno di legge, Atto Camera n. 4144-A, con la  Relazione della 1a Commissione; per l’articolo 81, v. XVI Legislatura., Disegno di legge, Atto Camera n. 4620;
15.  W. Hallstein, Die Europäische Gemeinschaft, Düsseldorf, 1973, p. 33;
16.  G. Ferrara, in Ripensare lo Stato, Milano, 2003, p. 683; F. Bertinotti, in Alternative per il socialismo, n. 18, p. 16;
17.  v. Paul Craig, The Lisbon Treaty, Oxford 2010, pp. 287-91;
18.  Lionel Robbins, Economic Planning and International Order, London 1937, trad. it. parziale in Il federalismo e l’ordine economico internazionale, Bologna 1985; Luigi Einaudi, I problemi economici della federazione europea, Milano 1945, rist. Milano 2004;
19.  in Europäisierung nationaler Gesellschaften, cit., p. 147;
  20. Sonja Puntscher Riekmann,  Die kommissarische Neuordnung Europas, Wien – New York,                 
       1998, pp. 7-12, e p. 16;

Un pensiero su “UNIONE EUROPEA O DELL’ IMPERIUM ŒCONOMICUM”

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