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8-11-12: MONTI DA I NUMERI AL LOTTO

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Crescita? Quale crescita?


Governo di “tecnici”… della propaganda

di Emmezeta

Non sappiamo cosa abbiano bevuto in 8 ore di consiglio dei ministri, ma in compenso sappiamo cosa vorrebbero dare da bere agli italiani

Se non altro Berlusconi, quando parlava di crescita, si riferiva principalmente a quella dei capelli.
Per il resto non risparmiava promesse, ma sulle cifre si manteneva nel vago. I professori invece sparano. Hanno la licenza, loro. 8-11-12 è un terno un po’ compresso, da non giocare ma da tenere a mente.

Bersani si è dichiarato entusiasta di un Consiglio dei ministri durato 8 ore, anche se lui lo avrebbe fatto durare 5 minuti di più… Ma cosa avranno bevuto in quelle 8 ore? D’accordo, hanno l’auto blu (sapete, non le hanno ancora eliminate tutte) e non rischiano il palloncino, ma la cosa rimane inquietante. Come possono aver concepito l’8-11-12 senza l’aiuto di qualche sostanza?
Il bello è che la stampa finge di crederci e rilancia la barzelletta: 8-11-12. Insomma, secondo questi imbroglioni professionali, che evidentemente la Bocconi l’hanno frequentata con profitto, gli effetti del loro decreto «sfascia Italia» – pardon, «cresci Italia», che sennò si offendono – sarebbero racchiusi in questi tre numeri magici.
Occupazione + 8%, Pil +11%, salari reali +12%. Una pacchia? Come risponderebbe il ragionier Fantozzi: «una boiata pazzesca».
Vorrebbero far credere al popolino che dietro queste cifre vi sia la scienza, quando invece c’è solo (nel migliore dei casi) la fede, e (nel peggiore) la malafede. Che i professori al governo siano degli invasati del liberismo non c’è dubbio, ma forse in questo caso la malafede prevale sulla stessa fede ultra-liberista.
Ma fingiamo che di sola fede si tratti. Qual è il Talmud dal quale attingono tanta certezza? Per quel che ne sappiamo si tratta in particolare di uno studio dell’Ocse. Fingiamo ora che l’Ocse sia un organismo attendibile e disinteressato, esente da vizi ideologici, e fingiamo anche che le previsioni economiche di lungo periodo abbiano un qualche senso. Bene, dopo tutte queste finzioni, qual è la previsione dell’Ocse? Crescita del Pil del 4% in dieci anni, dell’8% in venti, dell’11% (ecco la cifra magica) in…sessanta anni!
Ovviamente le proiezioni dell’Ocse sull’effetto delle liberalizzazioni non sono per niente affidabili, tantomeno sono affidabili le previsioni così proiettate in avanti, basti pensare a quelle sul Pil di solo sei mesi fa rispetto a quelle aggiornate (e capovolte) di tre giorni fa… 
Ma i professori hanno fatto di più. Hanno preso i dati dell’Ocse sul Pil ed hanno estrapolato quelli, ancora più immaginari, su occupazione e salari reali. E qui arriviamo a delle assurdità che si commentano da sole.
In Italia gli occupati sono 23 milioni. Un aumento dell’8% equivarrebbe ad un incremento di 1.840.00 (unmilioneottocentoquarantamila) occupati. E questo grazie a che cosa? A 500 notai ed a 5mila farmacisti in più? Ai quali si dovrà comunque detrarre il numero (certamente assai maggiore) dei posti di lavoro persi nei piccoli negozi, nelle edicole, nei distributori di carburante spazzati via dalla deregulation dei professori.
Eh già, questi prezzi occupazionali e sociali non sono calcolati né dall’Ocse né da Palazzo Chigi, ma ci sono. Ed in effetti c’è qualcosa di curioso nel chiamare liberalizzazioni un insieme di norme che hanno l’unico effetto di favorire la grande distribuzione.
Negli specchietti (per le allodole) che impazzano sui giornali c’è anche un capitolo «banche», peccato che non si capisca cosa ci stia a fare. Immancabile pure quello sulle «assicurazioni», ma in questo caso si capisce bene che le norme varate sono tutte a vantaggio delle compagnie, non certo degli assicurati.
La cosa è così evidente che i giornali che si sono avventurati nell’indicare gli ipotetici risparmi medi a famiglia si sono ben guardati dal citare eventuali risparmi in questi settori. Ma il capitolo risparmi – cioè, in teoria, riduzione dei prezzi – è quello più fantasioso di tutti.
Il fatto è che è proprio da qui, dato che si da per scontato il loro blocco in termini reali, che dovrebbe arrivare l’incremento del 12% dei salari, o meglio del loro potere d’acquisto. A salario erogato costante (in termini reali), solo un -12% dei prezzi determinerebbe infatti un +12% del potere d’acquisto. Ora, siccome i professori hanno commesso l’imprudenza di sparare cifre, è con le cifre che li ricopriremo di ridicolo.
A quanto ammonta la spesa media annua delle famiglie italiane? Ce lo dice l’Istat (dati 2010): la spesa media annua è di 29.436 euro. Se volessimo credere al -12%, dovremmo avere risparmi annui a famiglia per 3.532 euro. Ora, a tutto c’è un limite, e ad una simile panzana nessuno crederebbe. Non per questo la stampa embedded demorde. Agevolata in ciò da alcuni fiancheggiatori di complemento.
Solo che, nella foga di voler dimostrare l’indimostrabile, è un continuo incespicare sui numeri. Ricordate, 3.532 euro di risparmi è la cifra che corrisponderebbe al 12% sparato daiprofessori, in soccorso ai quali sono sopraggiunte le ineffabili «associazioni dei consumatori», guidate da consumati demagoghi sempre pronti a invocare la forca per chi sciopera. Per questi trafficoni il risparmio sarebbe però di 1.800 euro! Caspita, la metà, però sempre una bella somma. E poi, chissà, forse la cifra dei professori è solo una previsione a sessanta anni!
Come si risparmino questi 1.800 euro non è cosa che possa uscire dall’attività neuronale di chi dirige le associazioni di cui sopra, e rimane un bel mistero della fede. Eh già, la fede, guarda un po’ quante volte torna fuori. Ma costoro hanno fatto le cifre e noi siamo curiosi di vedere come possano tornare i conti. Andiamo perciò a leggere l’autorevole Corriere della Sera, che se non altro, rispetto ad esempio al Sole 24 Ore, ha il merito di rischiare qualche numero.
Curiosamente il Corriere annuncia risparmi per 400 euro – un nono del governo, 4,5 volte meno dei «consumatori» – ma poi nella tabella si leggono ipotetici risparmi per soli 324 euro. Scusate la pignoleria, quasi genovese, ma qui hanno provocato con i numeri e con i numeri li vogliamo seppellire.
Da cosa deriverebbero queste minori spese annue? Udite, udite: 23 euro dai trasporti ferroviari, 18 dai farmaci, 92 dalle prestazioni professionali, 58 dai carburanti, 82 dalladeregulation nel settore del commercio, 52 dall’energia elettrica. Ora, a parte il fatto che non si vede il perché la completa deregolamentazione degli orari dei negozi dovrebbe abbassare i prezzi, né si capisce quale norma possa favorire la riduzione delle tariffe elettriche, come venire a capo di questa fiera del numero impazzito?
Forse un modo c’è. Perché aguzzando l’ingegno vien da ricordarsi che nel campo delleliberalizzazioni (termine elegante per dire privatizzazioni) non siamo all’anno zero. E allora è possibile andare a vedere qual è stato l’effetto sui prezzi delle liberalizzazioni già fatte, tra l’altro ben più importanti di quelle enfaticamente messe in campo dal governo del professor Quisling.
Citiamo allora una fonte insospettabile (o comunque sempre ritenuta piuttosto attendibile), come la Cgia di Mestre, ripresa a dicembre dall’ancora più insospettabile Repubblica. Secondo lo studio della Confederazione degli artigiani, con le liberalizzazioni,  i prezzi non solo non sono diminuiti, sono letteralmente esplosi.
Vediamo. Nel campo delle assicurazioni, la liberalizzazione della Rc auto ha visto un aumento dei prezzi del 184,1% dal 1994, mentre nello stesso periodo l’inflazione è salita del 43% (aumento uguale a 4,2 volte rispetto al costo della vita). Nello stesso periodo il costo dei servizi bancari e finanziari è cresciuto del 109,2% (aumento di 2,5 volte superiore a quello dell’inflazione). I trasporti ferroviari sono cresciuti, tra il 2000 e il 2011, del 53,2% contro un’inflazione del 27,1%. In crescita, sia pure in misura minore, anche i prezzi dell’energia elettrica e dei servizi postali.
In conclusione, su 11 prodotti liberalizzati in vario modo negli ultimi vent’anni, solo due (farmaci e telefonia) hanno fatto registrare una diminuzione dei prezzi. Ma, notoriamente, la telefonia rappresenta un caso a parte, dato che la riduzione dei prezzi è strettamente connessa sia con le enormi trasformazioni tecnologiche avvenute nel settore, sia con l’impressionante aumento del volume complessivo del traffico telefonico. Niente a che fare, perciò, con la liberalizzazione.
Dunque, se le proiezioni sui costi futuri dei servizi e delle merci liberalizzate appaiono inattendibili e fin troppo interessate, l’analisi dei costi di quel che è già stato ampiamente liberalizzato mette in luce un quadro del tutto opposto a quel che ci vorrebbero far credere i liberalizzatori.
Perché le cose vadano così è fin troppo evidente. Lo dice lo stesso segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi: «Purtroppo, in molti settori si è passati da una situazione di monopolio pubblico a vere e proprie oligarchie controllate dai privati». Forse che i professorinon lo sanno? Certo che lo sanno, ed è proprio per questo che fanno quello che fanno.
Prezzi a parte, il testo definitivo del decreto si conoscerà solo a metà settimana, ma molte cose sono già note, e sono tutte pessime: deregulation contrattuale per i ferrovieri (il disinteressato Montezemolo ringrazia), trivella selvaggia nelle aree protette nonostante le rassicurazioni del ministro, addirittura carceri privante modello Usa. E poi… dagli al tassista che è lui il colpevole della crisi.
Quello sulle liberalizzazioni è un decreto antipopolare, che fa il paio con quello di dicembre, che il governo vorrebbe rendere più accettabile propagandando una riduzione dei prezzi del tutto immaginaria. Altro che «cresci Italia», con l’affermarsi della linea liberalizzatrice e privatizzatrice, che in Italia ha iniziato ad affermarsi vent’anni fa, l’economia nazionale ha cominciato ad andare a rotoli. Ed altrove non è che le cose siano andate diversamente.
Perché allora insistono tanto? E’ solo per un accanimento ideologico? C’è anche questo, c’è che le stesse classi dominanti non sanno più dove battere la testa, ma nel frattempo si ingegnano a privatizzare tutto il privatizzabile, a precarizzare tutto il precarizzabile, a speculare su tutto in attesa di tempi migliori.
Sanno benissimo che non vi sarà alcuna crescita nei prossimi anni, e proprio per questo lavorano per difendere i profitti intensificando lo sfruttamento, cancellando ogni diritto ed ogni elemento di socialità. A pagare sarà il popolo lavoratore. Che potrebbe però iniziare a ribellarsi. La Sicilia insegna e siamo convinti che non si tratti di un fuoco di paglia. Se «cresci Italia» è il nome del loro decreto, «sollevati Italia» dev’essere il nome del nostro programma.


Bozza di Manifesto del M.P.L. in vista dell’assemblea del 4-5 febbraio

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