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Dobbiamo uscire dalla Ue e abbandonare l’euro

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«Osservazioni all’intervento di Giulietto Chiesa»

di Marino Badiale, Fabrizio Tringali

Apprendiamo che come conseguenza del dibattito interno ad Alternativa sulle questioni dirimenti dell’uscita dall’ Unione europea e dall’euro, il segretario Marino Badiale e i dirigenti FabrizioTringali e Gisella Orsini hanno presentato le loro dimissioni. Riteniamo importante pubblicare le cose scritte dai primi due il 3 gennaio scorso in risposta all’articolo di Chiesa.

Giulietto Chiesa ha fatto molto bene ad aprire una discussione pubblica sul tema Euro/UE[1].
Si tratta di un tema fondamentale nelle dinamiche politiche odierne, per motivi noti a tutti. Su questo tema non c’è in Alternativa una posizione comune, e questo rappresenta certamente un limite per la nostra azione politica. Il modo migliore per superarlo è quello che ha scelto Giulietto Chiesa: aprire una discussione aperta, franca e priva di pregiudiziali. Alternativa ha messo al centro della propria identità la necessità di un pensiero razionale e critico, e con tale premessa è chiaro che l’unico modo per affrontare un dissenso, e per evitare personalismi, è proprio quello del dibattito pubblico e aperto. È proprio avendo in mente la necessità di una discussione di questo tipo che riteniamo corretto intervenire subito evidenziando quelli che ci sembrano punti deboli del ragionamento di Giulietto Chiesa. Non svilupperemo qui un discorso del tutto compiuto. In parte esso è stato svolto in nostri scritti precedenti[2], in parte esso è contenuto nel testo che segue le presenti note (che è stato scritto da Fabrizio Tringali prima dell’uscita dell’intervento di Chiesa) ma, soprattutto, esso verrà svolto in uno scritto attualmente in preparazione. Le presenti note rappresentano un’anticipazione di tale scritto. In questa discussione occorre, a nostro avviso, cercare di tenere presenti i punti fondamentali. Le tesi di chi sostiene la necessità di uscire da euro e UE sono di due tipi:

1. Per quanto riguarda l’euro, vi sono precise argomentazioni che mostrano come il meccanismo della moneta unica imponga a tutti i Paesi europei di realizzare le stesse politiche di contenimento salariale che hanno costruito la competitività tedesca. Non c’è via di uscita: in regime di moneta unica, questa maggiore competitività si traduce in avanzi commerciali per i Paesi del nord e disavanzi commerciali per i paesi deboli (i famosi PIGS). Il risultato è la spoliazione dei PIGS da parte dei paesi del nord: la politica di contenimento salariale di questi ultimi impedisce la creazione di una domanda sufficiente a sostenere la loro produzione, ed essi vengono quindi a succhiare domanda nei paesi PIGS. Il deficit commerciale di questi ultimi deve essere finanziato in qualche modo (con debito privato o debito pubblico) e alla fine, data l’insostenibilità di tale meccanismo, tutto si traduce nelle politiche antipopolari e recessive messe in atto dall’attuale governo di tecnocrati. Siamo cioè di fronte ad una situazione nella quale si configura un processo di “terzomondizzazione” dell’Italia che si avvia, assieme agli altri PIGS, a diventare il Terzo Mondo della Germania, un Terzo Mondo di tipo nuovo, ovviamente.
Dunque la prima questione fondamentale da mettere a fuoco è che questo meccanismo è implicito nell’euro[3]. Chi sostiene che l’Italia deve rimanere nell’euro deve spiegarci come sia possibile restare nella moneta unica evitando gli esiti che abbiamo rapidamente prefigurato (e che vengono ripresi nel testo che segue queste note). Giulietto Chiesa non lo fa.
2. Per quanto riguarda l’UE, la tesi di chi vuole uscirne è semplice: l’Ue è costruita su una serie di trattati che ne fanno uno spazio giuridico di totale adesione alle politiche neoliberiste che ci hanno portato al disastro attuale. Queste politiche cioè non sono la scelta di particolari ceti politici, ma sono l’essenza dell’UE, la definiscono come entità politica-giuridica.
Stefano D’Andrea ha dimostrato, in modo che a noi sembra irrefutabile, che in campo economico le politiche liberiste UE sono sovraordinate rispetto ai principi della nostra Costituzione[4]. Alternativa dichiara che la difesa e la  realizzazione della Costituzione della Repubblica è un punto decisivo della propria essenza. È evidente che c’è qui una contraddizione. Se restiamo nell’UE,  la Costituzione Italiana non è più la nostra Legge Fondamentale. Nella gerarchia delle fonti essa è stata scalzata dalla normativa comunitaria. Chi in Alternativa vuole rimanere dentro l’UE deve o confutare tutto questo, oppure dichiarare che viene meno la centralità della Costituzione della Repubblica. Giulietto Chiesa non  affronta il problema, e questo ci sembra un grave limite del suo scritto.
Si potrebbe obiettare che l’UE può essere cambiata, che può essere trasformata in una realtà completamente diversa. Si tratterebbe cioè di lottare per costruire “un’altra Europa”.
Sappiamo che questo è quanto propone tutta la sinistra da circa un ventennio. Abbiamo già fatto notare, in uno degli scritti sopra citati[5], che da vent’anni questo slogan è ripetuto in tutte le salse senza il minimo risultato positivo, e che questo semplice fatto dovrebbe indurre i suoi sostenitori a qualche riflessione non superficiale. A nostro avviso questa impotenza pratica è solo il risultato di una contraddizione di fondo. L’UE è quella cosa lì. È quello che è: uno spazio di puro liberismo economico ed un impedimento all’intervento statale se questo è di ostacolo alla libera circolazione dei capitali. Volere rimanere al suo interno per cambiarla in qualcosa di completamente diverso è una contraddizione in termini, che appare completamente insensata soprattutto in questo momento,  cioè mentre la UE sta sì cambiando, ma per inasprire ulteriormente il suo carattere antidemocratico[6].
Una volta realizzate le modifiche ai trattati che sono in cantiere, chiunque voglia difendere i ceti medi e popolari non potrà che lottare per la violazione dei trattati stessi, cioè per l’abbandono dell’Unione Europea.
L’ “Europa dei popoli – unita e pacifica” è certamente un alto ideale, del tutto condivisibile. Ma addurre alti ideali, senza considerare quanto sopra esposto, vuol direscollegare gli ideali dalla realtà. In questo modo si rischia di proporre slogan ridotti a parole vuote, piuttosto che argomentazioni razionali.
Queste sono dunque, in forma molto stringata, le argomentazioni di chi in Alternativa è favorevole  all’uscita da euro e UE. La discussione è iniziata.
Per essere proficua, sarebbe auspicabile superare alcuni punti deboli che spesso emergono nei ragionamenti intorno alle questioni euro/UE, e che affiorano anche nelle considerazioni di Giulietto Chiesa.
Ne elenchiamo alcuni, citando passi dall’articolo sopra menzionato.
Punto debole n.1: “La valenza culturale e politica di una parola d’ordine come quella di uscire dall’Europa è, a mio avviso, del tutto negativa. Lancia un messaggio regressivo, di chiusura provincialistica, di ristrettezza culturale, di isolazionismo. Alternativa non può fare propria una tale linea perché contraddirebbe se stessa nel momento in cui si propone come movimento transnazionale”.
Un argomento di questo tipo avrebbe valore se la politica internazionale fosse nata vent’anni fa assieme all’UE, e prima di essa ogni Stato sulla Terra, in tutta la storia umana, fosse stato una monade isolata dagli altri. Ovviamente non è così. Ovviamente ci sono sempre state relazioni internazionali, alleanze, scambi. Se uscisse dall’UE e recuperasse la sovranità nazionale, l’Italia farebbe la sua politica internazionale, farebbe alleanze, farebbe scambi, come ha sempre fatto nella sua storia. È altrettanto ovvio che uscire dall’UE non è in nessun modo in contrasto con il carattere transnazionale di Alternativa.
Il punto debole sta nel fatto che l’argomento di Chiesa richiede un’assunzione implicita, cioè quella, appunto, che l’UE sia l’unico modo di fare politica internazionale, e sostenere l’UE l’unico modo di essere una organizzazione transnazionale.  Appena tale assunzione è resa esplicita, appare evidente l’errore.
Punto debole n.2: “Io credo che, con una parola d’ordine come quella [dell’uscita dall’euro], noi ci mettiamo fuori dal contesto del paese con il quale dobbiamo dialogare. Altro che proporci come orientamento e guida! Già il nostro messaggio è difficile da comunicare. Vogliamo renderci odiosi? Non mi sembra saggio ragionare in questo modo”.
Appare poco consistente l’idea che proporre l’uscita da Euro e UE equivalga a “diventare odiosi” agli occhi dell’opinione pubblica italiana. A rendersi odiosa è la UE, e lo sarà sempre di più con il procedere della crisi e con il concretizzarsi della recessione. Ma al di là di questo, per Alternativa il problema è capire quale battaglia sia corretto ingaggiare.
Applicando lo stesso ragionamento di Chiesa dovremmo abbandonare l’idea della decrescita, perché essa è certamente impopolare oggi come un anno fa, e sarà, probabilmente, sempre più difficile sostenerla in presenza di una recessione economica. La risposta a questi argomenti sta nella semplice osservazione che una forza politica deve decidere le sue linee strategiche in modo autonomo, con una  discussione sul merito.
Del resto per porsi come “orientamento e guida” è necessario proporre idee che inizialmente appaiono come impopolari o poco diffuse, e tramite la loro correttezza teorica e pratica conquistare il consenso che in partenza non si ha.
Come si può invece porsi come “orientamento e guida” se si propongono idee già diffuse e ampiamente condivise? L’orientamento e la guida saranno coloro che quelle idee hanno promosso prima che si diffondessero!
Noi riteniamo che, in coerenza con i principi che abbiamo enunciato sin dalla nostra nascita, la battaglia da assumere sia quella per l’uscita da Euro e UE.
Con l’avanzare del tempo si concretizzeranno le scelte impopolari che la UE impone nel campo del lavoro, dei diritti, dei beni e servizi comuni. La recessione produrrà i suoi effetti sempre più devastanti, e cioè che oggi è “popolare” (cioè l’euro e la UE) diventerà odiato, e ciò che oggi sembra impopolare (l’uscita da UE ed Euro) diventerà popolare.
Se si considera sbagliato questo, allora è corretto non ingaggiare la battaglia che proponiamo. Se invece lo si considera giusto, è corretto assumere le posizioni contrarie all’euro e alla UE indipendentemente dall’ampiezza attuale del consenso su queste idee (che non è da noi misurabile).
Il consenso arriverà per coloro che avranno avuto la capacità di indicare le ragioni della crisi (nella sua fase attuale, cioè della cosiddetta “crisi dei debiti sovrani dell’eurozona”) e le forze contro le quali concentrare l’opposizione.
Il problema è allora discutere nel merito, confrontarsi sulla giustezza o meno delle argomentazioni favorevoli all’abbandono della moneta unica europea e della UE, e della loro coerenza con le idee-guida di Alternativa, a partire dalla decrescita.
Punto debole n.3: “La tesi, secondo cui nessuno dei programmi politici che Alternativa sostiene possono essere realizzati all’interno di questa Unione Europea, e che, quindi, si dovrebbe operare per uscirne, perfino facendo di questa idea la nostra bandiera, è quanto di più schematico si possa immaginare. In base allo stesso criterio si dovrebbe proclamare la nostra uscita dall’Italia. Forse che qualcuno dei nostri obiettivi politici costituenti, fondatori, essenziali, può essere realizzato nell’Italia di oggi? Con quali forze politiche lo si potrebbe fare? Con quali movimenti (a giudicare dallo stato penoso in cui galleggiano le miriadi di “nicchie conviviali” che ci circondano)? Con quali alleanze? In quali tempi? E, per queste ragioni, dovremmo uscire dall’Italia?
Il punto debole di questo ragionamento si comprende chiaramente da quanto detto sopra. Nell’UE le politiche alternative sono impossibili in base ai trattati stessi che definiscono l’appartenenza all’Unione. Non possono proprio essere realizzate perché farlo violerebbe i trattati. Non è affatto così per l’Italia, dove le politiche che richiede Alternativa sono non solo possibili, ma completamente aderenti al dettato della Costituzione della Repubblica. Scrivere quanto scrive Giulietto Chiesa significa confondere la linea politica di un governo o di una maggioranza con la Costituzione di un paese.
Appare quindi del tutto fuori luogo la critica per cui le posizione contrarie alla UE  “finiscono, certo involontariamente, per coincidere con quelle della Padania”. Coincidono anche con quelle di gruppi di destra, che di tutto possono essere accusati fuorché di voler mettere in dubbio l’unità nazionale. E coincidono con le riflessioni di gruppi e intellettuali di area opposta, oppure vicini al pensiero della decrescita, da Costanzo Preve a Serge Latouche[7].
Punto debole n.4: L’Unione Europea non è nata come la conosciamo oggi. E’ stata una grande e forte idea, nata dalle riflessioni sulla fine della guerra. Un’idea che, alle sue origini, era di pace. E che, se riportata alle sue opzioni originarie, può consentire la pace tra le nazioni e i popoli europei.
Non è così. Le idee relative all’Europa unita sono sorte nel dopoguerra. Ma l’Unione Europea non è affatto un’idea. L’Unione Europea è una ben precisa realtà giuridica, natavent’anni fa esattamente nei termini nei quali la conosciamo oggi, perché in quei termini è stata definita dai trattati che la costituiscono. Prima di essa vi era non l’UE ma idee di Europa che naturalmente potevano essere più o meno attraenti o convincenti. Quelle idee non si sono tradotte in realtà, mentre ciò che è stata realizzata è l’attuale UE, che è l’unica UE che esista e sia mai esistita, ed è con questa UE, non con le idee di Altiero Spinelli, che oggi ci dobbiamo confrontare, perché è questa UE che sta oggi uccidendo il popolo e la democrazia di questo paese.
Punto debole n.5: “Una tale posizione [uscita da euro e UE], se l’assumessimo, sarebbe reazionaria. Le forze dominanti, che ci sono ostili, potrebbero tranquillamente farla propria, se pensassero che conviene loro. Ma l’errore che commetteremmo sarebbe anche quello di ignorare che esistono, tra le forze dominanti, posizioni capaci di guardare a un’Europa autonoma rispetto alla stessa Alleanza Atlantica. Queste forze – che sono parte (il cui peso dobbiamo valutare) del sistema di potere della finanza – si stanno muovendo da tempo per evitare di rimanere avvinghiate alla barca pericolante degli Stati Uniti. Il rifiuto di Angela Merkel di andare alla guerra in Libia è un segnale netto che queste forze esistono. Ovvio che esse attentano al tenore di vita delle popolazioni, e che quindi ci sono nemiche, ma vogliono riservarsi un margine di manovra su scala internazionale, in attesa di eventi che in parte sono in grado di prevedere. Possiamo ignorare questo fatto? Io credo che uno dei precetti di realismo ai quali dovremmo attenerci è di fare un’analisi reale delle forze reali, in ogni frangente. Ignorare che esistono potenziali alleati temporanei, anche se velenosi, e procedere come se vivessimo nel vuoto pneumatico non è una linea politica. E’ un’avventatezza. 
Qui più che una critica, si impone una domanda: “cosa vuol dire quanto scritto?” Si considera la Germania attuale, con i suoi attuali ceti dirigenti, un alleato potenziale oppure no? Giustamente la si definisce nemica, ma si accenna anche a possibili alleanza temporanee: ma il tempo di una alleanza temporanea sarebbe il tempo presente, cioè adesso. Mentre è proprio la Germania, come giustamente viene detto, a guidare la UE nel progetto di massacro sociale in atto, che è assolutamente inevitabile finché resta in piedi la moneta unica. La contraddizione è evidente, così come è evidente che rifiutare l’alleanza con la Germania non significa certo procedere come se si vivesse nel vuoto pneumatico (su questo valgono le argomentazioni di cui al punto successivo). Nelle condizioni attuali, un’alleanza con la Germania (o con parte dei ceti dirigenti tedeschi) in funzione anti-USA, significa l’asservimento e l’immiserimento del popolo italiano, la sua riduzione a plebe da Terzo Mondo, per favorire la potenza tedesca. Questa prospettiva va combattuta da Alternativa con la massima intransigenza.
Punto debole n.6: “Strategicamente, un tale approccio, è ancora più sbagliato sul piano internazionale. Segnali numerosi indicano l’esistenza di un grande scontro tra l’imperialismo finanziario anglosassone (in questo momento Wall Street e la City) e quello tedesco (Berlino in primo luogo, insieme ai satelliti dell’Europa Orientale). Come sia rappresentabile la configurazione di questi due schieramenti e come lo siano i loro piani non è facile, al momento, decidere. Non abbiamo gli elementi conoscitivi essenziali per farlo. Certo è che decidere, semplicemente e avventatamente, di disinteressarci dell’esito di questo scontro è di una miopia e di un provincialismo inaccettabili.
Anche qui la debolezza del ragionamento è abbastanza evidente. Chi propone di uscire da Euro e UE non propone certo di disinteressarsi delle dinamiche internazionali. Tutt’altro: è proprio dando per scontata la permanenza nella UE che si preclude all’Italia un ruolo di impulso a politiche di pace e di alleanze inedite a livello europeo ed extraeuropeo. L’uscita dall’Italia da Euro e UE provocherebbe la fine dell’uno e dell’altra e aprirebbe uno scenario del tutto nuovo dove l’Italia potrebbe proporsi come aggregatore di Paesi economicamente vicini e simili (guardando al mediterraneo e anche all’est). I quali avrebbero tutto l’interesse a dialogare. Dunque una scelta di rottura da parte dell’Italia avrebbe certamente conseguenze nei rapporti internazionali, alcune positive, altre negative. Ma è comunque privo di fondamento ritenere che l’esito debba essere necessariamente l’isolamento del nostro Paese. Al contrario, escludere a priori questa opzione vuol dire costringere l’Italia a partecipare a dinamiche dirette da altri (siano gli USA o la Germania) con effetti distruttive per la stragrande maggioranza delle popolazioni.
Ci fermiamo qui. Vorremmo però che fosse chiaro il senso di questa elencazione di punti deboli. Essa ci è parsa necessaria per rendere evidente un fatto: è impossibile difendere l’appartenenza a euro e UE e contemporaneamente i principi fondamentali di Alternativa.
Come ulteriormente argomentato nell’articolo che segue, le proposte di soluzione della crisi e di salvataggio della moneta unica non possono che condurre ad un attacco alle condizioni di vita dei ceti popolari e medi senza nessun precedente.
Pian piano in molti se ne stanno rendendo conto, compresi esperti e personalità che certamente consideriamo vicini[8].
In considerazione delle argomentazioni fornite, confidiamo che la prossima Assemblea Nazionale di Alternativa possa far proprie le posizioni che abbiamo proposto.
 

[3]    Queste argomentazioni di tipo economico sono approfondite nel blog “goofynomics” di Alberto Bagnai: http://goofynomics.blogspot.com/
Questo articolo è diventato un opuscolo a stampa: M.Badiale, F. Tringali, Liberiamoci dall’euro, Asterios, Trieste 2011.
[6]    Si veda il documento ufficiale emesso dopo il vertice europeo di Dicembre 2011, che delinea i fondamenti di “un nuovo patto tra gli Stati membri della zona euro da sancire in regole comuni e ambiziose, che traducano il loro forte impegno politico in un nuovo quadro giuridico” [punto 3 del documento]:   http://www.ilsole24ore.com/pdf2010/SoleOnLine5/_Oggetti_Correlati/Documenti/Notizie/2011/12/consiglio-europeo-capi-stato-governo-zona-euro.pdf?uuid=216a0018-2257-11e1-bcd6-bae0503a9a7b
[8]    Abbiamo già citato Preve e Latouche che sposano posizioni di netta rottura conla UE.  Molti altri stanno assumendo posizioni fortemente critiche o di rottura rispetto alla moneta unica e all’Unione Europea. Per esempio:

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