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SE ANCHE «REPUBBLICA» SPARA SULLA MERKEL

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Interessanti giravolte degli antiberlusconiani di tipo A

di Leonardo Mazzei*



Ammettiamolo: per certi aspetti il quotidiano Repubblica è una spia davvero interessante. Repubblica, che nacque già nel 1976 come giornale-partito, è oggi un partito-giornale dai due volti complementari. Da un lato è uno degli organi più importanti delle oligarchie finanziarie, dall’altro è il vero portabandiera di quello che possiamo definire come antiberlusconismo di tipo A*.

Questi due caratteri non sono contraddittori. Al contrario, è proprio grazie all’antiberlusconismo alla Scalfari, se l’uomo delle tante sette semi-segrete che diramano dalla cupola del capitalismo-casinò ha potuto stabilirsi a Palazzo Chigi e presentarsi come Salvatore della patria. Per Repubblica il professor Quisling è questo e altro, ma dal suo insediamento novembrino ad oggi sembra già passato un anno.


Fino a due mesi fa l’Europa era indiscutibilmente il «bene». Un bene assoluto al quale tutto sacrificare. Un bene messo in discussione solo dal male albergante in alcuni paesi viziosi, in primo luogo l’Italia berlusconiana. Se l’Europa era il bene, la Germania era il virtuoso esempio da seguire. Più Europa e più Germania era dunque la ricetta per guarire il malato Italia.


Trapassati nel 2012 tra inni alla crescita e inviti alla speranza, il quadro è improvvisamente cambiato. «L’asse tra il Professore e Nicolas “Ora la Merkel dovrà cambiare linea”» è il titolo dell’odierno articolo a commento dell’incontro parigino di ieri tra Monti e Sarkozy. La Merkel va dunque messa in riga, ben venga di conseguenza il nuovo asse con il ridicolo galletto francese, che fino a qualche mese fa faceva comunella con l’odiato omologo italiano.


Già nell’edizione di ieri, 6 gennaio, il giornale di Ezio Mauro faceva bella mostra di un dossier debito, curato da Maurizio Ricci, dal titolo assai esplicito: «Recessione più misure di austerità ecco la miscela che avvelena l’Europa». Non più dunque le mediterranee cicale come cuore del problema, ma qualcosa di più hard e strutturale. 
Finalmente!, verrebbe da dire.


Nel dossier si può leggere che: a) «Fra gli analisti, molti prevedono che uno o più Paesi usciranno dall’euro entro i prossimi dodici mesi». b) Visto che la Germania non vuole allargare i cordoni della borsa, ponendosi come locomotiva della mitica ripresa, «non c’è la possibilità di contrastare la recessione con un rilancio delle esportazioni». c) Ma, con riferimento alle maxi-aste dei titoli europei dell’inizio anno, «prima ancora che si stringa la morsa della recessione, l’Europa potrebbe implodere sui mercati finanziari». d) Dato che il debito di Parigi verrà degradato dalle agenzie di rating «il Fondo salva-Stati – che si regge appunto sulle garanzie dei Paesi europei a tripla A – si sgonfierebbe come uno pneumatico bucato».


Il dossier prosegue elencando le persistenti difficoltà italiane (a proposito, lo spread è più alto ora del giorno dell’insediamento del professor Quisling…), la situazione critica delle banche spagnole e la loro esposizione verso il Portogallo, le cui banche sono oltretutto esposte verso… la Grecia. E giunto ad Atene il dossier si chiude ricordando che «il primo ministro, Papademos, ha ammesso che, entro marzo, la Grecia rischia il default (dopo quello già concordato – ndr) e l’uscita dall’euro».


Per i repubblichini del giornale fondato da Scalfari – repubblichini nel senso di sostenitori di una repubblichetta finalmente affidata ad un podestà straniero – è davvero un bel problema. Il Buffone non c’è più, ed anche in Grecia si è insediato un uomo di Goldman Sachs, ma ciò nonostante le cose non vanno meglio, anzi.


Non si può dunque non vedere che i problemi sono strutturali, che derivano in primo luogo dalla crisi sistemica del capitalismo, dalla sua attuale forma oltremodo finanziarizzata, che ha creato un’economia fondata sul debito, e non solo quello pubblico. E non si può non vedere come in questo quadro l’assurda costruzione europea, specie dal momento in cui si è dotata dell’ancor più assurdo euro, ha fatto il resto.


Tutto ciò non si può non vedere, e proprio per questo va nascosto alla vista dei popoli. Ecco allora l’ultima risorsa di questi disonesti: così come prima la natura strutturale della crisi andava negata, ed il vero nemico (le oligarchie finanziarie) andava protetto indicando il male nell’insignificante Buffone di Arcore; oggi lo stesso obiettivo viene perseguito iniziando a sparacchiare su Berlino.


Naturalmente non possiamo sapere come andranno le cose nelle prossime settimane, e non lo sanno neppure i decisori al massimo livello. Ma la linea da dare in pasto agli italiani è tracciata. In questo, la Repubblica non è sola. Tutta la grande stampa è schierata con Monti. Indicativo l’odierno editoriale del Sole 24 Ore, dal titolo «La partita della vita». Ecco l’inizio di Stefano Folli: «Il mondo politico osserva il peregrinare di Mario Monti da una capitale all’altra dell’Europa. Quasi tutti hanno capito che questa volta c’è poco da scherzare. L’Italia sta giocando la partita della vita, ma purtroppo il risultato non dipende più solo da lei».


Ma và! Come mai questa fantastica scoperta dell’acqua calda a scoppio ritardato? L’Europa di oggi non è diversa da quella che due mesi fa ha imposto il golpe bianco tecnocratico a Roma ed Atene, né è diversa da quella che due anni fa decise di mandare in malora la Grecia. Ed è piuttosto la diretta conseguenza di quella progettata venti anni fa con il Trattato di Maastricht, e messa in pista dieci anni fa con l’inizio della circolazione dell’euro.


Ora si scopre che c’è qualcosa che non va, ed il ministro Passera si spinge a chiedere una Bce modello Fed. Ma non sarà un po’ troppo tardi? Non sarà che la Germania agisce come agisce proprio perché ha capito che l’euro è insostenibile?


Questa domanda, indicibile in pubblico nella pudica Italia, se la saranno senz’altro posta anche nel vertice di Parigi. Il professor Quisling ha dichiarato che: «L’Italia lavora mano nella mano con la Francia, così come con la Germania, per proseguire insieme verso la costruzione europea». Il romantico «mano nella mano» farà forse felici tutti coloro che – giustamente – non hanno mai potuto soffrire il disgustoso linguaggio berlusconiano, ma ha una credibilità pari a zero.


La verità è che la Francia sta per precipitare nell’inferno del debito, ed ha cooptato l’Italia in quella strana «cabina di regia» che nessun trattato europeo prevede – a dimostrazione di quanto contino le regole quando il gioco si fa duro… – per difendere i propri interessi nazionali di fronte alle pretese tedesche (ma non solo tedesche) sul nuovo trattato fiscale.


Eccoci arrivati al dunque. Non esiste alcuna solidarietà europea, perché non esiste alcuna unità europea che non sia quella che è servita ad imporre le regole dettate dagli interessi delle oligarchie finanziarie. L’Europa politica non esiste, e se esiste è un coacervo basato su un equilibrio instabile tra diversissimi interessi nazionali. Un equilibrio che può reggere (ed ha retto) in condizioni normali, ma che non può reggere (e non sta reggendo) agli scossoni di una crisi strutturale come questa.


Ovviamente le classi dirigenti (e non solo quelle politiche) hanno enormi difficoltà ad affrontare la situazione per quella che è. Di fronte alla catastrofe dell’euro dei buoni generali preparerebbero e poi dichiarerebbero il dietrofront, ma ci sono buoni generali alla guida dell’Europa? Al massimo ci sono dei generali furbastri, di quel tipo che quando incombe la sconfitta pensano solo a due cose: a chi addossare la colpa della disfatta, a trovare il modo di ingrassarsi un po’ anche nel momento della generale rovina.


Non stupiamoci perciò delle piroette degli scribacchini da cui siamo partiti. Ce ne siamo occupati solo per segnalare che la spia rossa del «si salvi chi può» si è accesa anche nelle redazioni. Anche in quella degli union-europeisti al cubo, i quali dovrebbero come minimo spiegarci che razza d’Unione è quella europea, dove i veri poteri decisionali sfuggono ad ogni regola e dove le regole non sono mai state approvate dai popoli. Un’Unione dove vige solo la legge del più forte, che aiuta le banche ma non gli Stati in difficoltà. Un’Unione che prima crolla, meglio è.



Nota
* L’antiberlusconismo come opposizione ai governi, alla politica ed alla cultura berlusconiana è stato ed è un fenomeno altamente positivo. L’antiberlusconismo a la Repubblica —basato sull’opposizione all’odiato Caimano non perché troppo liberista, ma perché troppo poco liberista, non perché troppo filo-americano e filo-atlantico (vedi le spedizioni in Afghanistan ed Iraq), ma perché troppo poco filo-americano e filo-atlantico (vedi il gasdotto South Stream e l’iniziale resistenza alla partecipazione all’aggressione alla Libia)— è stato invece un autentico cancro.
Un tumore che ha aperto la strada al golpe bianco di novembre. Lo abbiamo chiamato di tipo A per distinguerlo dalle altre forme, ma anche perché A può stare per antipopolare edanticomunista, e soprattutto per assoluto, assolvendo così al compito di coprire i fatti e soprattutto i misfatti delle vere oligarchie al potere. Quello di Repubblica è stato ed è l’assolutismo delle classi dominanti, che hanno voluto la seconda repubblica antidemocratica e l’americanizzazione della politica, ma che non ne hanno accettato l’esito berlusconiano. L’assolutismo che ha partorito infine il governo più classista della storia repubblicana.
Detto questo, una cosa ci consola: in 35 anni questi sostenitori del governo dell’aristocrazia hanno fatto molti danni, ma nelle manovre politiche non ne hanno azzeccata una. Ora, finalmente, hanno un governo a loro immagine e somiglianza: chissà che non gli portino 

sfortuna!


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