VOCI DAL NORD-EST
Una sinistra che volesse uscire dai luoghi comuni e dalle analisi autoconsolatorie dovrebbe imparare a leggere i dati reali che descrivono l’Italia di oggi, le paure, gli orientamenti elettorali, le autocollocazioni di classe, la parcellizzazione e stratificazione sociale.Altrimenti rimane il tatticismo e le declamazioni testimoniali che hanno portato la sinistra ad una marginalità impressionante per un paese che vive una crisi economica e sociale così profonda.
Su “il manifesto” della scorsa settimana è stato pubblicato un articolo dell’ottimo Antonello Mangano che commentava la ricerca di Vincenzo Emanuele, ricercatore presso l’Università di Firenze, sui flussi elettorali in relazione alla dimensione demografica ed alle variabili sociali.
Non è la prima volta che simili dolorose verità cercano di irrompere nelle solipsistiche discussioni della sinistra in crisi. Già lo fece Luca Ricolfi in “Perché le sinistre hanno perso” quando emerse come la relazione tra composizione sociale e voto sia strettamente legata alla dicotomia tra rischio e garanzia. Lo conferma anche questa nuova ricerca: votano preferibilmente a sinistra infatti i pensionati, i lavoratori dipendenti pubblici e quelli privati con contratto tipico a tempo indeterminato mentre votano preferibilmente a destra i lavoratori autonomi, le casalinghe, i precari ed in genere le persone con una scolarità inferiore. Risulta cioè una divisione che più che essere legata al reddito o alla reale collocazione di classe, è legata alla condizione di maggiori o minori garanzie per il futuro.
Per quel che riguarda i precari la scelta al momento del voto sembra il risultato di una propria autorappresentazione come di un lavoratore autonomo o una forma di autoimprenditorialità. I precari lavorano a fianco dei lavoratori “garantiti” che svolgono spesso funzioni analoghe ma con tutt’altre garanzie, diritti, redditi e futuro previdenziale e per questo, come per reazione, assumono orientamenti “di destra” sui temi del welfare e delle tasse, finendo appunto per autorappresentarsi come alternativi al lavoro dipendente tutelato dalla sinistra e dal sindacato.
A questa amara verità se ne aggiunge un’altra: il voto operaio transitato al nord verso la Lega. La classe operaia ha vissuto come un pericolo reale e imminente, ed evidentemente prioritario nell’orientamento della scelta del voto, sia la delocalizzazione produttiva sia l’utilizzo della manodopera straniera per comprimere diritti e salari. Ed è su questo hanno percepito la sinistra, in quanto antirazzista e genericamente più mondialista come una forza politica non in grado di tutelarli su questo piano.
Se poi si incrociano i dati anche in relazione al reddito o al territorio si conferma il sospetto che le grandi città favoriscono il voto a sinistra mentre le piccole alla destra (in particolare l’Udc al sud e la Lega al nord) e che la grande borghesia (quindi in qualche modo i garantiti dalla propria condizione sociale) abbia un tasso di voto a sinistra molto più alto che tra i disoccupati dove invece in maggioranza c’è un voto di destra. E che i pensionati sono la vera base del centrosinistra come è facile verificare frequentandone sedi e manifestazioni.
Questa ricerca ci conferma indirettamente anche la lettura dei flussi elettorali su dove sono andati a finire i voti della sinistra. A dispetto di quanti attribuiscono il crollo di voti della sinistra alla partecipazione ai Governi Prodi, infatti i voti del Prc, del Pdci e dei Verdi sono finiti in larga parte proprio ai partiti di governo Pd e Idv.
Io di dubbi non ne ho mai avuti in merito e l’ho detto, inascoltato, da qualche anno mentre tanti parlavano a vanvera della necessità di scegliere l’opposizione testimoniale contro tutto e tutti per risalire la china della nostra scomparsa istituzionale ed elettorale. Ma l’analisi della stratificazione sociale e di classe del voto a sinistra dovrebbe farci fare un passo in più nella nostra riflessione.
Innanzitutto dovremmo studiare questi numeri per capire nell’immediato quali potranno essere le conseguenze sociali della cura Monti ai conti pubblici in generale e nei confronti dell’elettorato di sinistra in particolare.
La vertenza generazionale su welfare e lavoro sarà uno dei campi di battaglia della uscita dalla crisi come anche l’insidiosa proposta di Ichino sul tema dei diritti del lavoro. E se pensiamo di cavarcela con qualche slogan in merito faremo una brutta fine.
Dovremmo mandare a memoria la fotografia del nostro Paese che emerge da queste ricerche anche per rimettere in discussione le fondamenta del nostro lavoro politico. Se non veniamo percepiti come utili da operai e precari, dai soggetti più deboli e sfruttati della società, dai meno garantiti la colpa non può essere che nostra.
>>> “…Ed è su questo hanno percepito la sinistra, in quanto antirazzista e genericamente più mondialista come una forza politica non in grado di tutelarli su questo piano…”Non è che l’hanno percepita come tale: lo è davvero. La sinistra parlamentare è diventata il cane da guardia della grande finanza: l’unione europea ha cacciato Berlusconi, ma non avrebbe avuto niente da dire su Prodi o Bersani.Il primo è “populista” (stando alla terminologia mediatica di regime), cioè deve salvaguardare qualche contatto colle esigenze del popolo lavoratore, mentre i secondi i legami col popolo li hanno tranciati da un pezzo.
Occorre ricomporre immdiatamente un blocco di resistenza popolare che dica parole chiare a tutti gli oppressi, altrimenti sarà la catastrofere reazionaria.
Perfettamente daccordo, come i nostri lettori sanno bene, con l'ultimo post.Per questo abbiamo lanciato nel novembre scorso l'SOS dell'Appello al popolo lavoratore avanzando l'idea della formazione urgente di un ampio fronte. Non è detto che questo sorgerà prima di finire tutti nel baratro. Allora che facciamo? Stiamo alla finestra? Chi ha sale in zucca e volontà deve agire. Noi facciamo la nostra parte e per farla abbiamo deciso di compiere il passo di dare vita al MPL.Molti hanno la puzza sotto il naso e ci deridono. Altri fanno spallucce dicendosi stufi di… un altro partito. Abbiamo atteso anni, discusso con tutti, cercato ogni maniera per unire più forze possibili.Noi abbiamo il dovere di piantare una bandiera per farla finita coi piagnistei. Il resto si vedrà.
aggiungo altre motivazioni:1) l'ideologia vera di sinistra è passata di moda; questa moda fu, negli anni 60-70, talmente intensa che poi la gente si è stancata. ricordo che nei 70 a scuola essere comunista era un DOVERE DIVINO… oggi alla maggior parte della gente, al solo sentire certe parole (padrone, classe…) viene il voltastomaco da indigestione.2) la gente percepisce le palesi incoerenze tra parole e fatti. tu, politicante di sx pro-immigrati, quanti albanesi e tunisini ospiti a casa tua? quanti soldi regali ai poveri dei tuoi 100.000 euri l'anno? a roma si dice "fare i froci cor culo dell'artri".3) circa la sinistra "estrema", come nei 70, continua ancora oggi con parole d'ordine assurde e AUTODISTRUTTIVE. si ricomincia a parlare di "salario di cittadinanza" come nei 70 "salario intero lavoro zero". sono cazzate che la gente, giustamente, non può accettare, perchè i soldi non crescono sugli alberi. se lo poteva permettere la libia grazie al petrolio, ma eri TU ogni volta che facevi il pieno che mantenevi la bella vita del libico. i miei genitori, figli di braccianti del sud, quando nei 70 sentivano quello slogan commentavano "ma questi vogliono RUBARE!"e anche il "non paghiamo il debito" è secondo me un programma deleterio.rifletteteci!antonio.