SIRIA: LA MATASSA INGARBUGLIATA
«Il 12% non può dominare il 75. No all’intervento straniero»
di Bernardo Cervellera*
D. Eccellenza come è trovarsi qui in Siria in questo momento?
R. Ho l’animo triste. E’ la quarta primavera che vivo a Damasco e quest’anno non vedo ancora alcuna primavera arrivare. Si aspettano i frutti della missione di Kofi Annan, ma c’è il timore che le parti dicano “Sì, ma…”, dove però alle volte il “ma” è più importante del “sì”. Invece è urgente che tutte e due le parti facciano dei salti mortali. Le distanze fra loro sono divenute enormi e ogni giorno si allargano. Per questo è necessario che entrambi facciano dei salti mortali per ricostruire il dialogo. Occorre un capovolgimento, una conversione…. Il clima si è talmente deteriorato, che è necessaria una buona dose di eroismo, forse un po’ più da una parte. Speriamo che l’aiuto della comunità internazionale dia frutto, che faccia fare dei gesti eccezionali, ma è un po’ difficile.
D. Prima la comunità internazionale accusava solo l’esercito regolare. Adesso Annan ha chiesto la fine delle violenze da entrambe le parti; la Gran Bretagna spera in una soluzione pacifica; la Francia è dubbiosa sull’inviare armi ai ribelli…
R. Sì questo è vero. La richiesta deve essere a 360 grandi, da tutte le parti. Forse all’inizio i media hanno calcato la mano solo su una di esse. Ma tutte e due le parti sono chiamate a fare dei gesti di buona volontà e finirla con la violenza. All’inizio, forse trascinati dall’entusiasmo per la primavera araba in altre regioni, le rivolte erano viste in maniera molto idealistica; poi andando avanti, si sono visiti entrare negli eventi molti altri aspetti. A tutt’oggi la Siria è una matassa ingarbugliata e vi sono tanti componenti a cui fare attenzione.
D. Potrebbe elencare questi componenti?
R. All’inizio vi erano le dimostrazioni per avere più democrazia, più rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali, con manifestazioni pacifiche che sono state represse. Ma poi si sono aggiunti tanti fattori: anzitutto il fatto che qui la società è composta per il 75% di sunniti; poi, che è governata dal 12% della popolazione che sono gli alawiti. Questa tensione fra sunniti e alawiti è oggi determinante, senza dimenticare gli altri aspetti. La storia potrà valutare come è stato nel tempo il rapporto fra sunniti e sciiti (gli alawiti sono in qualche modo collegati al mondo sciita).
D. Vi è anche il tentativo di internazionalizzare questo conflitto..
Noi siamo confinanti con l’Iraq, con Israele, con il Libano; siamo poco distanti dall’Iran.. e quindi in Siria entrano ingredienti da tutte le parti e complicano la matassa.
D. C’è il rischio che la comunità internazionale usi la Siria come scacchiere per i suoi interessi: occidente, Arabia saudita e Qatar contro l’Iran; Israele contro gli Hezbollah; Turchia contro Siria… Ma i bisogni del popolo siriano vengono dimenticati.
R. Ci sono varie letture. Vi è quella semplicista del regime che accusa la presenza di un complotto esterno. Quanto è vero, quanto è propaganda, non è possibile valutarlo in pienezza.
D. I cristiani siriani, il 10% della popolazione, sembrano presi fra due fuochi..
R. Per me vi è uno spazio per i cristiani e non possono permettersi di perdere l’appuntamento con questo nuovo processo storico. È indubitabile che la Siria sta cambiando: è iniziato un nuovo processo e non si torna più indietro. I cristiani dove devono porsi? Io risponderei basandomi sui Salmi, una sapienza che ha almeno 2500 anni. E un Salmo dice: Non appoggiarti a un muro cadente [Ps 61 (62),4]. E l’uomo non deve nemmeno stare a guardare alla finestra. I cristiani stanno nella società e devono rimboccarsi le maniche. In passato hanno avuto fedeli che hanno dato un contributo glorioso nel campo della cultura, dell’arte, della politica: uno dei fondatori del partito Baath era cristiano. Guai, perciò, se mancano quest’appuntamento. In più, i cristiani partono con un piede in vantaggio. Il papa, alcuni mesi fa, alla presentazione delle credenziali dell’ambasciatore siriano [9 giugno 2011], ha sottolineato che qui vi sono rapporti esemplari fra cristiani e musulmani. I cristiani in Siria hanno anche una buona élite: personalità culturali, professori universitari, avvocati, presidenti di ospedali,…È tempo di vivere il nostro compito e dare il nostro contributo, riappropriandoci della nostra dignità e della nostra identità, basandoci sul Vangelo e sulla dottrina sociale della Chiesa: dignità umana, rifiuto della violenza, uguaglianza fra uomo e donna, le libertà fondamentali, libertà di coscienza e di religione, la separazione fra religione e Stato, ecc… È urgente uscire all’aperto, all’attacco e non stare a guardare.
Tre anni fa ho presentato le mie credenziali al presidente Assad. E sono rimasto impressionato che nei 15 minuti seguenti di colloquio personale, il presidente abbia continuato a parlarmi dell’importanza che hanno i cristiani per la società siriana. Era tutto ammirato delle componenti cristiane nel Paese. In questa fase di trasformazione, non si può guardare indietro e pensare a qualche protezione dall’esterno: occorre lavorare per uno Stato di diritto, in cui tutti i cittadini sono uguali, hanno gli stessi diritti e doveri.
Un’altra cosa che ho constatato, è che a tutti i livelli i cristiani fanno da ponte. In molti villaggi misti, alawiti e cristiani vivono in pace; sunniti e cristiani idem; drusi e cristiani vivono in armonia.. In questi tempi, con il conflitto, qualche volta vi è stata frizione e scontro, ma fino ad ora, nessuna chiesa ha mai subito nemmeno un graffio. In ogni caso, noi cristiani possiamo avere una funzione riconciliatrice fra tutti i gruppi che vivono nel Paese. C’è in giro l’idea che il destino dei cristiani in Siria rischia di essere simile a quello accaduto in Iraq. Ma la Siria non è l’Iraq, e non è nemmeno l’Egitto: ha caratteristiche proprie, con questa tradizione di buona tolleranza.
Il Vangelo ci dice: Io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi. E i lupi non ci sono solo a Damasco, ma anche a Francoforte, New York, Londra, Parigi…. solo in modo un po’ più subdolo e raffinato. Essere in mezzo ai lupi è parte della nostra missione e non dobbiamo temere. É ancora il Vangelo che dice: “Non temete!”.
Ho davanti agli occhi continui esempi eccezionali di questa missione. In questi giorni Homs è un inferno. Ogni giorno telefono a tre sacerdoti che sono rimasti là. Mentre parliamo, si sentono sparatorie perché il quartiere cristiano è fra due fuochi. Uno di loro è straordinario per quello che riesce a fare: parla con i ribelli per frenare le violenze, chiede loro il permesso per far passare i camion con gli aiuti alimentari per i poveri. Dall’altra parte, sull’altro fronte, chiede all’esercito di non tirare per non colpire i quartieri dove vi sono ancora abitanti, o gli edifici sacri. E fa da ponte, come agnello in mezzo ai lupi. Giorni fa vi erano i cadaveri di tre soldati dell’esercito davanti alla cattedrale. Erano lì ormai da 10 giorni. Nessuno si azzardava a recuperarli perché c’era il rischio di essere uccisi. Allora lui è andato dai ribelli e ha chiesto clemenza per queste salme. I ribelli si sono prima arrabbiati, gridando: “Cosa vuoi che ci importi di questi maiali?”. Ma lui ha detto: “No, dopo che siamo morti non siamo maiali, siamo tutti uguali”. Ed è riuscito a farsi obbedire: hanno caricato i corpi su un camion e li hanno scaricati su un pezzo di strada dove era più facile recuperarli da parte dei loro commilitoni.
La Chiesa può fare molto, a livello pratico, caritativo e con le nostre scelte, puntando sulla difesa della persona umana, al di sopra delle parti. Occorre testimoniare attenzione agli affamati, ai feriti, ai morti,… Tanta gente è stata uccisa e non si sa da chi. Dobbiamo uscire, denunciare, offrire la nostra testimonianza a favore della persona umana.
In questi giorni tutto il mondo è rimasto impressionato dalla tragedia di quel pullman che si è schiantato in una galleria in Svizzera. Sono morti 22 bambini belgi ed è comprensibile la commozione suscitata. Qui in Siria, fino 2 settimane fa, secondo l’Onu i morti erano 7500, ma ormai siamo a 9500. Di questi, almeno 500 sono bambini! Ciò significa che su 15 morti, uno era un bambino. Alcuni di loro sono morti schiacciati dalle macerie provocate dai bombardamenti, ma la maggioranza è morta per strada e non perché è inciampata, o caduta, no: li hanno colpiti al cuore o alla testa con pallottole. Io spero che la comunità internazionale possa fare qualcosa per garantire giustizia a questi piccoli. È bello e giusto commuoversi per 22 bambini, ma qui ve ne sono 800-900 che sono morti. È urgente denunciare questi crimini. La vita umana è sacra, quella di chi porta la divisa militare, come quella dei ribelli, ma ancora di più quella dei bambini. La loro uccisione è un’atrocità.
Il cammino in cui si trova la Siria è lungo, difficile e doloroso, come quello di un fiume: può deviare, andare a destra o a sinistra, ma arriva al mare. Il Sinodo per il Medio oriente ha suggerito a vescovi e fedeli di testimoniare la fede e collaborare a costruire la città dell’uomo insieme agli altri. La Chiesa deve pronunciarsi, incontrare, consolare, ripulire questi visi sfigurati. Essere in questo Paese è una missione.
D. Cosa possiamo fare noi cattolici nel resto del mondo? La Custodia di Terra Santa per esempio, ha lanciato una campagna per aiutare i cristiani della Siria…
R. Bisogna anzitutto ringraziarvi della vostra generosità e solidarietà, di cui c’è molto bisogno. Spero che con la Caritas e altre istituzioni si possa lenire tutte le sofferenze presenti nel Paese. Occorre anche cercare di capire la situazione dei cristiani. Una cosa è ragionare a tavolino, un’altra è farsi trasportare dal sentimento. Occorre capire anche i sentimenti e ascoltarsi.
Quello che più mi preoccupa è l’odio crescente nella società. Per ora non si manifesta, ma è acceso. Le pallottole che i due gruppi si scambiano sono solo la punta dell’iceberg. Camminiamo su delle braci che possono infiammarsi in ogni momento. Da parte nostra, noi cristiani testimoniamo la carità. È il momento dei cristiani, occorre agire e andare all’attacco in difesa della persona umana: è importante non mancare questo momento storico.
La maggior parte dei sunniti siriani é fedele al Governo; il tentativo di far passare l'idea che siccome Assad é alawita egli rappresenterebbe una sorta di 'Governo degli Alawiti' che opprimerebbero gli altri gruppi, é una totale balla imperialista.Senza il sostegno della STRAGRANDE MAGGIORANZA dei sunniti Assad non sarebbe durato cinque minuti.