COMPAGNO FERRERO: PRC O PRK?
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Il keynesismo zoppo del Partito della rifondazione comunista
di Piemme
Paolo Ferrero, segretario del Prc, ha diffuso il 7 aprile scorso questo comunicato:
«Mercoledì il Senato voterà in seconda lettura il definitivo stravolgimento dell’articolo 81 della Costituzione, inserendo nella stessa il pareggio di bilancio.
Si tratta di un rovesciamento della Costituzione perché le politiche neoliberiste verranno poste alla base dell’azione dei governi per l’oggi e per il domani. Con una norma di questo tipo – tanto cara ai nazisti fino all’ingresso in guerra – Roosevelt non avrebbe mai potuto fare il New Deal e le politiche keynesiane – che hanno permesso il miracolo economico – sono messe fuori legge. Si tratta di una aberrazione culturale e politica; si tratta soprattutto di un vero e proprio golpe finanziario. Questo governo e questo parlamento sono dei ladri di democrazia che stravolgono le regole democratiche senza che il popolo possa dire nulla. Per questo rivolgiamo un appello ai Senatori affinché non approvino questo provvedimento con una maggioranza di due terzi. Almeno il popolo potrà esprimersi in merito con un referendum».
Giusta la denuncia sulla modifica dell’Art. 81 della Costituzione e l’attacco al “golpe finanziario”. Magari Ferrero potrebbe dirla tutta, ovvero che il “pareggio di bilancio” in Costituzione chiesto dai tedeschi, è la conseguenza di Tratti come quelli di Maastricht, Lisbona e, peggio, del recente Fiscal compact, per il cui rispetto è stato appunto intronizzato Monti. E’ insomma, per usare un eufemismo, un po’ limitativo, fare caciara solo sull’Art.81, quando è l’adesione stessa alla Ue che ha di fatto messo kappao la Costituzione e la sovranità, popolare e nazionale.
Sappiamo perché Ferrero non giunge a questo punto, perché non riesce e non vuole mettere in discussione il tabù dell’adesione all’Unione e all’euro, e non lo fa perché violare quel tabù sarebbe come se un prete si dichiarasse ateo, verrebbe cacciato dalla Chiesa —cioè il Prc subirebbe dalla casta l’anatema e verrebbe ad esso interdetta la possibilità di rientrare nel teatrino politico.
Ci ha colpito la chiosa di Ferrero, questa:
«Con una norma di questo tipo – tanto cara ai nazisti fino all’ingresso in guerra – Roosevelt non avrebbe mai potuto fare il New Deal e le politiche keynesiane – che hanno permesso il miracolo economico – sono messe fuori legge».
Ci sono tre chicche teoriche (si fa per dire) in tre righe.
La prima è che la Germania nazista avrebbe rispettato la norma del pareggio di bilancio. Minchia!!? Ma accadde esattamente il contrario! La politica economica nazista consentì alla Germania non solo di uscire dalla Grande depressione —tra il 1933 e il 1936 il Pil tedesco conobbe un tasso medio del 9,5%, solo la produzione industriale crebbe del 17,2%— ma assicurò, unico caso nel mondo capitalistico, la piena occupazione. Questo fu possibile nient’affatto a causa di politiche liberiste ma, ben al contrario, squisitamente keynesiane, con un uso formidabile della spesa pubblica statale —se il tasso dei consumi privati crebbe poco, del del 3,6%, furono proprio i consumi pubblici a fare da motore della crescita: +18,7%. Inutile dire che la spinta propulsiva la diede la politica statalista (e nient’affatto liberista!) di riarmo. Sta di fatto che quella hitleriana fu nella sua essenza, una variante “forte” e statalistica della politica keynesiana di deficit spending centrata sugli investimenti pubblici.
Tabella n.1 |
La seconda è il giudizio che si da del New deal e del periodo roosveltiano. E’ fatto ben noto a chiunque mastichi la storia economica che gli Usa non uscirono affatto dalla Grande depressione con il New deal. Gli Usa ci restarono infatti fino alla fine degli anni ’30 — fino al 1939 il Pil reale restò sotto la soglia del 1929. (Vedi tabella n.1). La svolta avvenne solo quando, gettatisi con tutto il loro enorme peso nel macello della seconda guerra mondiale, gli Usa, appunto imitando il Giappone e la Germania nazista, in deficit spending, avviarono un ciclopico piano di riarmo imperialistico—che porteranno all’incasso solo dopo la vittoria militare del 1945.
Tabella n. 2 |
La terza chicca non è meno notevole. Ferrero, evidentemente anche qui all’oscuro delle cause della crescita economica italiana dopo la seconda guerra, fa credere che ciò sia stata dovuta anzitutto alle politiche keynesiane dei democristiani. Niente di più sbagliato. In verità, come mostrano le Tabella n.2 e n.3, le politiche di bilancio democristiane, fino agli inizi dei settanta, furono improntate al rigore nelle politiche di bilancio. Solo dopo l’autunno caldo e la grande avanzata del conflitto sociale la spesa pubblica è lievitata, proprio allo scopo di contenere le lotte sociali e senza che ciò invertisse il trend declinante del Pil.
Quale sia l’errore madornale di Ferrero è palese: egli è prigioniero del mito del keynesismo la qual cosa significa gettare a mare le analisi di Marx sulle cause delle crisi capitalistiche. Non Prc quindi, ma Prk: Partito della rifondazione keynesiana.
Tabella n.3 |
Ma e pensarci bene questo secondo battezzo è discutibile. Ferrero è infatti un keynesiano zoppo.
Ammesso e non concesso che il capitalismo possa uscire dal suo marasma con gli impacchi caldi keynesiani, egli, almeno, dovrebbe essere coerente e tirare le debite conclusioni: che occorrerebbe, per applicare quegli impacchi, uscire dall’Unione e dall’euro, visto che non c’è keynesismo senza sovranità monetaria.
Ma queste conclusioni, Ferrero si rifiuta di tirarle, appunto per non essere espulso dallo spazio politico sistemico.
Scusate ma ho sbagliato post. Ferrero farebbe bene a leggersi il libro di Arrighi, Adam Smith a Pechino, in cui è ben evidenziato il legame tra l'efficacia delle politiche keynesiane e il militarismo americano. Del resto un keynesiano oltranzista come Krugman si è lasciato candidamente sfuggire che per risolvere la crisi economica americana ci vorrebbe una guerra. Ma Krugman come Ferrero ignora che l'attuale crisi non è semplicemente una classica crisi di sovraccumulazione con conseguente caduta del saggio di profitto e finanziarizzazione esasperata dell'economia ma una crisi ancora più profonda in cui la caduta del saggio di profitto nell'economia reale è legata agli inesorabili rendimenti decrescenti dell'energia fossile e quindi ai suoi costi crescenti. Infatti è l'abbondante disponibilità di energia fossile a basso prezzo che a permessso l'espansione dell'attività economica nell'ambito del sistema capitalista globalizzato. Ma chi ha una conoscenza delle strutture concettuali della fisica delle fonti di energia sa benissimo che non ci sno alternative ai combustibili fossili e che quindi la caduta del saggio di profitto è questa volta inarrestabile. Ne riparleremo quando fra qualche anno il petrolio sarà a 200 dollari al barile e diventerà improcastinabile costruire un'alternativa al capitalismo.
Scrivete:"come mostrano le Tabella n.2 e n.3, le politiche di bilancio democristiane, fino agli inizi dei settanta, furono improntate al rigore nelle politiche di bilancio."Sbagliate i parametri da usare per l'analisi. Le tabelle citate misurano il rapporto debito/Pil, quelli da guardare invece sono i deficit pubblici (differenza tra spese ed entrate dello Stato). Infatti lo Stato può benissimo spendere a deficit senza con questo aumentare il rapporto debito/Pil, perchè il deficit sebbene aumenti in valore assoluto il debito pubblico, stimola contemporaneamente l'economia e provoca la crescita del Pil, e quindi il rapporto debito/Pil può ridursi, come cerca di spiegare Bagnai (evidentemente inascoltato) nel suo ultimo post.Infatti è accaduto proprio questo: negli anni del dopoguerra lo Stato spendeva a deficit, ma i redditi crescevano. Cito dal primo testo reperibile su internet:"Per tutti gli esercizi finanziari dal 1946-47 al 1960-61, il bilancio sia di competenza e sia di cassa si chiuse sempre in disavanzo. I disavanzi più forti si ebberonei primi anni del dopoguerra, a causa dello squilibrio economico finanziario, della contrazione dei consumi, dell'arresto del commercio e del disordine dell'amministrazione fiscale." (pag. 101)"L'opera di ricostruzione si compì nei primi anni 1950, con l'avvio degli anni di rapido sviluppo dell'economia italiana; ma il bilancio dello Stato continuò ad essere in disavanzo, con entrate e spese che si dilatavano di anno in anno, anche per i nuovi compiti assunti dallo Stato nella vita economica." (pag. 102)"Nel 1961 il debito pubblico non destava preoccupazioni, considerato anche il suo rapporto rispetto al PIL, pari ad appena il 29%. Tra il 1947 e il 1950, l'espansione del deficit aveva fornito un contributo sempre minore alla crescita del rapporto, dato lo sviluppo del reddito. Questo sviluppo, poi, contribuì a mantenere più o meno stabile il rapporto." (pag. 108)www.delpt.unina.it/stof/15_pdf/15_6.pdfMarco B.ps: comunque a me cominciano a cascare le braccia a leggere le vostre analisi economiche.
Quest'articolo di Piemme, mi ha pienamente soddisfatto. Tutto ciò che interessa al "compagno" Ferrero, ma anche a quell'altro intellettualoide di Diliberto, è rimanere nei ranghi del parlamentarismo italiano innanzitutto(rimborsi elettorali docet), e poi, far convergere su di se, le residue forze elettorali dei compagni più …deboli, che si fanno irretire facilmente da questi ipnotisti di professione come Ferrero.Abbiamo il dovere di screditarli, in pubblico, come in privato. Saluti.The Redhttp://diciottobrumaio.blogspot.it/2012/04/la-prima-azione-politica.html
ottimo articolo, ci dovrebbe spiegare Ferrero come intenderebbe finanziare le politiche keynesiane prendendo a prestito una moneta non sovrana sulla quale si va a pagare gli interessi
Ti arrampichi sugli specchi caro Marco B. L'articolo è buono e finalmente fa giustizia della deriva di Rifondazione Comunista e soci.Mi sembra proprio che Il Movimento Popolare abbia imboccato la strada giusta e cioè quella di costruire un FRONTE POPOLARE DI ALTERNATIVA DI SISTEMA.Bravi!!
@ Marco B.Anzitutto grazie per l'attenzione con cui ci osservi. Non ce la prendiamo per la durezza delle critiche, che sono il sale di ogni crescita nella conoscenza.Intanto una precisazione: gli articoli firmati non necessariamente esprimono la posizione della readazione e del MPL.Non fraintederci però, non è una maniera per scaricare Piemme.Lasciamo Ferrero ai suoi argomenti fallaci (che ci pare tu avalli).E' evidente che abbiamo una diversa valutazione sul keynesismo. Ci torneremo. Tu affermi:«…perchè il deficit sebbene aumenti in valore assoluto il debito pubblico, stimola contemporaneamente l'economia e provoca la crescita del Pil, e quindi il rapporto debito/Pil può ridursi, come cerca di spiegare Bagnai (evidentemente inascoltato) nel suo ultimo post». Scusaci, ma questo è un classico abbaglio del keynesismo (e della MMT).Dici che l'Italia era in disavanzo (lo Stato nel dopoguerra spendeva più di quanto incassava), vero! ma lo fai contestando l'affermazione del Piemme che i governi democristiani si attennero ad una politica di rigore nei conti pubblici (ma anche questo è vero). Ti consiglio di leggere l'importante documento della banca d'Italia «Il debito pubblico dall'Unità ad oggi».http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/quest_ecofin_2/qef_31/QEF_31.pdfLascia stare l'amico Bagnai. Alberto giustamente insiste sull'aspetto centrale della bilancia dei pagamenti, per cui, se è in attivo, se l'economia e la produzione reale di merci tirano, lo Stato può ben permettersi una politica di deficit spending, senza affatto venir meno al "rigore" nella politica dei conti pubblici. Dove vedi una contraddizione c'è una relazione di compolementarietà.Il fatto è che tu, surrettiziamente, vuoi farci credere che il "miracolo economico" fu dovuto principalmente alla spesa pubblica in deficit, Che scioccehezza… keynesiana!Quello della spesa pubblica fu uno dei fattori del "miracolo", ma del tutto secondario!!Nel contesto di una crescita generale del capitalismo mondiale, di un ciclo di accumulazione capitalistica globale senza precedenti, l'Italia fece leva (Bagnai docet) su un'economia orientata ai mercati esteri, fondata su bassissimi salari, alti tassi di sfruttamento e bassi consumi. E' evidente che a crescita costante del Pil lo Stato può permettersi una spesa pubblica in deficit, visto che la crescita della ricchezza raele attesa compensa il disavanzo.Oggi il discorso è diverso. Come non capirlo? Siamo dentro una crisi sistemica di sovrapproduzione (Marx docet!), la produzione scende e non cresce, il declino prende il posto della crescita. Pensare che con una politica di deficit spending il capitalismo risolva i suoi mali congeniti è una pia illusione… keynesiana.Se uno è debole perché ha un tumore non lo curi con qualche vitamina.E quindi l'attacco al Ferrero di Piemme è sacrosanto.Moreno Pasquinelli
Secondo me ha ragione Marco, non ha senso mettere il grafico che misura il rapporto debito/pil nel tempo. Bisognerebbe indicare invece la serie storica del rapporto tra spesa primaria e pressione fiscale, solo così si può fare un paragone tra le politiche attuali con quelle seguite nel dopoguerra. Non si possono chiamare entrambe politiche di rigore, è evidente. Poi per quanto riguarda Keynes non si può banalizzarlo con il defict spending, dato che secondo il suo pensiero la spesa in defict dovrebbe essere praticata solo come misura anticiclica e non durante una fase espansiva. Detto questo, cioè ribadendo le sostanziali differenze tra le politiche del dopoguerra e quelle attuali, concordo anche con il commento della redazione nel momento in cui ci ricorda il contesto economico internazionale in cui è avvenuto il boom italiano nel dopoguerra.Alessio