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«USCIRE DALL’UNIONE PER USCIRE DAL CAPITALISMO»

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Alessandro Mustillo

«Superare le divisioni, restare comunisti»


Anna Lami intervista Alessandro Mustillo
Pubblichiamo questa intervista ad Alessandro Mustillo, segretario del Fronte della Gioventù Comunista, comparsa negli scorsi giorni sul sito Megachip.info, interessante per diversi aspetti. Il Fronte della Gioventù Comunista era una delle realtà presenti nel No Monti Day il cui spezzone si distingueva per partecipazione giovanile e compattezza militante. Nato da un appello di Senza tregua, collettivo studentesco romano, il Fronte della Gioventù Comunista “ha marcato come propria caratteristica fondamentale l’autonomia dai partiti esistenti” come si può leggere nel documento fondante dell’organizzazione. Si tratta inoltre dell’unica organizzazione giovanile attualmente presente nel panorama italiano che pone esplicitamente la questione dell’uscita dall’Unione europea. Alessandro Mustillo fa parte della Direzione nazionale di Comunisti Sinistra Popolare, l’organizzazione italiana più vicina al Kke di Grecia.

D. Puoi spiegare ai nostri lettori che cos’è il Fronte della Gioventù Comunista, da quali esigenze ha preso forma, e per quale ragione una tra le organizzazioni giovanili, tra le più rappresentative a livello di studenti medi, sceglie ancora oggi di definirsi comunista?

R. Il Fronte della Gioventù Comunista è nato lo scorso giugno da un appello di Senza Tregua, il collettivo studentesco romano, e si propone di organizzare i giovani lavoratori, gli studenti e gli universitari per lottare contro il capitalismo. L’idea è stata quella di superare la frammentazione nell’area comunista e a partire dai giovani dare il via ad un progetto che unisse indipendentemente dalla provenienza politica, tanto da collettivi ed organizzazioni indipendenti, quanto dai partiti esistenti. Il Fronte è il primo progetto di ricomposizione da vent’anni a questa parte e ci è sembrato importante che i giovani fossero i primi a realizzare qualcosa di effettivo in questa direzione. Di fronte alle sfide che la crisi ci impone, non possiamo continuare a presentarci divisi in miriadi di collettivi, gruppetti, organizzazioni più o meno grandi. L’attacco del capitalismo è impressionante e solo se organizzati possiamo vincere.

Credo sia per questo che molti giovani oggi tornano a definirsi comunisti, nonostante la campagna ideologica che per venti anni è stata condotta contro le nostre idee. Quando con la fine dell’URSS e del socialismo reale abbiamo subito un vero e proprio bombardamento mediatico, culturale e politico contro il comunismo, in realtà l’obiettivo non era analizzare criticamente quanto accaduto, ma inculcare l’idea che non era possibile alcuna alternativa al capitalismo. Un processo al futuro, ad un’idea stessa di cambiamento, che è oggi attualissima di fronte al fallimento evidente del capitalismo. I giovani si avvicinano alle nostre idee perché sanno che col capitalismo non c’è futuro. C’è solo distruzione, guerra e sfruttamento.

D. Nel 2008 e nel 2009 gli studenti italiani furono protagonisti di significative mobilitazioni innescate dalla “controriforma Gelmini”, tanto che alcuni parlarono addirittura di “nuovo ‘68”, di rinnovata centralità della conflittualità studentesca nel paese, e le aspettative furono comunque significative. Cosa ritieni abbia determinato il riflusso delle mobilitazioni studentesche e la loro sconfitta sostanziale?

R. È una domanda interessante, su cui abbiamo riflettuto spesso, per evitare di commettere gli stessi errori di allora. Credo innanzitutto che non ci fosse un’adeguata lettura della fase da parte delle organizzazioni che all’epoca guidavano la protesta. Si pensava fosse possibile ottenere un cambiamento all’interno di questo sistema, si facevano grandi assemblee per proporre progetti di riforma totale, anche molto interessanti, che tuttavia ignoravano un aspetto fondamentale: la mancanza di un interlocutore politico in grado di realizzarli. Per anni gli studenti sono scesi in piazza sulla base di queste parole d’ordine, ma con un movimento che nel complesso non era pronto a mettere in discussione il sistema stesso. A questo va aggiunta una forte dose di indirizzamento esterno che specie il movimento dell’Onda subì, con una parte rilevante dei media italiani in accordo con il centrosinistra, che fecero di quel movimento una specie di grande campagna elettorale contro Berlusconi. il risultato è stata una sconfitta che tutti in realtà aspettavano e questo ha generato un riflusso incredibile, perché non c’è nulla di più frustante che lottare senza vedere i risultati, quando chi dirige un movimento fa credere che questi risultati si possano ottenere. Noi lo diciamo sempre, in ogni nostro volantino. Lottiamo per una scuola pubblica, per l’istruzione gratuita, per un futuro di lavoro sicuro, senza sfruttamento, ma aggiungiamo sempre che sappiamo bene che questi obiettivi sono incompatibili con il capitalismo. Non è una considerazione fine a se stessa: noi non dobbiamo illudere. Chi vuole lottare con noi deve sapere fin da subito che per ottenere gli obiettivi della nostra lotta è necessario mettere in discussione il sistema nel suo complesso, che non ci possono essere risultati immediati date le condizioni esistenti.


D. Con la fine del Governo Berlusconi e la conclusione del ministero Gelmini, molti hanno guardato con speranza ai tecnici, tra cui il Ministro dell’Istruzione Profumo. Quale bilancio ritieni di fare dopo un anno di politiche “tecniche” nel settore della pubblica istruzione?

R. Anni di Berlusconi e soprattutto di anti berlusconismo, divenuto il vero collante di una sinistra che ha abbandonato ogni riferimento ideologico, hanno prodotto un effetto paradossale in cui per molti chiunque sarebbe stato meglio di Berlusconi. Le politiche sull’istruzione e l’università del governo Monti sono in totale continuità con quanto fatto dal precedente governo, e si potrebbe andare oltre, analizzando quanto fatto in precedenza dal centrosinistra. Il bilancio non lo definirei fallimentare perché esprimere un giudizio di questo tipo farebbe pensare ad aspettative di altro. Direi piuttosto che il bilancio è quello pienamente atteso da un governo imposto dall’Unione Europea e dalla BCE, che aveva un preciso mandato da compiere. L’istruzione e l’università non sono estranei a questo disegno. La linea è chiara: l’istruzione di massa non è più funzionale a questo sistema, anche l’istruzione deve diventare uno strumento di accumulazione del profitto, in mano ai privati, l’università deve tornare ad essere un lusso per pochi, attraverso l’aumento delle tasse da una parte e la dequalificazione del livello delle lauree dall’altra. Si tratta di un processo abbastanza lento in Italia, e per questo più pericoloso. Mentre in molti paesi è avvenuto in poco tempo, scatenando grandi proteste, da noi la lentezza del processo produce molta sottovalutazione ed assuefazione. In dieci anni i contributi studenteschi, arrivati alla media di 130 euro a studente, sono aumentati del 200%, ma poco alla volta. Il giorno in cui qualcuno per legge deciderà che la scuola pubblica è a pagamento non farà che istituzionalizzare una situazione già presente di fatto.

D. Il 5 ottobre ed il 12 ottobre ci sono state manifestazioni studentesche in tutta Italia a cui ha partecipato anche il Fgc. Qual è la tua valutazione delle due giornate?

R. Premetto che a nostro parere le piattaforme politiche di lancio di entrambe le giornate non erano soddisfacenti, da una parte e dell’altra per mancanza di lettura politica di quanto sta accadendo, nel primo caso per inconsistenza delle rivendicazioni, legate ancora ad una logica movimentista sconfitta dagli ultimi anni, nel secondo perché si riproponevano sempre le solite parole d’ordine destinate alla sconfitta, seguendo lo stesso ragionamento dell’Onda, con l’aggiunta di una sottovalutazione del ruolo dell’Europa. Noi abbiamo deciso di scendere in piazza in entrambe le occasioni per superare una contrapposizione di date inutile in questo momento e per portare la nostra analisi politica nelle due giornate. Credo che questo obiettivo sia riuscito in entrambe e la grande partecipazione studentesca ha segnato una misura importante del dissenso presente oggi nei confronti del governo. Non era un risultato scontato perché tutte e due le manifestazioni hanno subito un forte oscuramento mediatico nei giorni precedenti, molto diversamente da quanto avveniva quando al governo c’era Berlusconi. È un buon segnale per le prossime settimane.

D. Il 27 ottobre avrà luogo il NoMontyday, un appuntamento nato dalla volontà del Comitato No Debito in collaborazione con altre realtà organizzate nel tentativo di iniziare a costruire un’opposizione di massa alle politiche dell’attuale esecutivo. Parteciperete a questa giornata? Non pensi che la battaglia contro Monti andrebbe maggiormente legata all’aperta rivendicazione di uscita dall’Unione europea?

R. Parteciperemo e come Fronte della Gioventù Comunista daremo il nostro contributo, con la nostra presenza in piazza e con un lavoro di propaganda nelle scuole e nelle università nei giorni precedenti, rivendicando la nostra linea politica. Sappiamo che all’interno del No Debito ci sono pareri discordanti sul ruolo dell’Unione Europea, che d’altronde rispecchiano una confusione abbastanza presente a sinistra. Noi abbiamo come parola d’ordine l’uscita dalla Unione Europea, ma ci teniamo a sottolineare che questo obiettivo non va confuso con una mera rivendicazione nazionalista o un ritorno ad una sovranità nazionale di stampo borghese che è antistorico. L’Unione Europea è politicamente ed economicamente una gabbia, per cui chiunque si trova a governare in un paese della UE è costretto a muoversi su un binario prestabilito. Ecco perché l’uscita dalla UE è una tappa ineludibile, con tutti i risvolti negativi che questo avrà in un primo momento e di cui siamo coscienti, per la conquista della sovranità popolare. Come si fa a chiedere la nazionalizzazione delle banche e delle grandi imprese rimanendo ancorati all’Unione Europea, con una legislazione che protegge al di sopra di tutto, la libera concorrenza e la proprietà privata? È impossibile. Nel No Debito alcuni indicano la via in un’Unione Europea democratica con più poteri al Parlamento, con maggiore solidarietà tra stati, ma si tratta di qualcosa di impossibile. I popoli europei hanno davanti a loro un bivio, certamente drammatico, perché drammatica è la condizione, ma ineludibile: accettare le imposizioni della UE rinunciando a qualsiasi forma di sovranità, oppure conquistare il proprio avvenire, e questo implica, volenti o nolenti, la rottura del quadro politico economico della UE. Non c’è altra soluzione.

D. Nella fase organizzativa del 15 ottobre 2011 ci fu un aspro dibattito che riguardava i contenuti e le modalità di svolgimento di quella iniziativa. In particolare, venne elusa da buona parte del comitato organizzatore la richiesta proveniente da diversi settori di provare a costruire una mobilitazione incisiva che arrivasse a scuotere i palazzi del potere evitando che fosse solo una “innocua sfilata autunnale”. Sappiamo tutti purtroppo come è andata a finire. Quest’anno in occasione del 27 ottobre pare non siano emerse significative divergenze sul da farsi, eppure resta irrisolta la questione di come rendere veramente incisive le giornate di lotta. Secondo te come mai in Italia è così difficile seguire l’esempio della Grecia e della Spagna?

R. In Grecia e Spagna gran parte delle politiche di attacco ai diritti dei lavoratori e degli studenti si sono concentrate in pochissimo tempo e questo ha comportato quella reazione così forte che da noi al contrario si è spenta in anni di riforme peggiorative. C’è un motivo materiale alla base della diversità delle proteste in Italia rispetto a Grecia e Spagna, che si somma con l’assenza di un sindacato di classe e di un partito comunista forte e radicato, come in Grecia. Detto questo bisogna valutare cosa intendiamo per incisività. Noi non abbiamo mai condannato, e mai lo faremo, quanto accaduto il 14 dicembre in piazza e quanto avvenuto a piazza San Giovanni il 15 ottobre, salvo alcuni gesti precedenti del tutto inopportuni, come incendiare delle utilitarie che non fanno altro che alienare simpatie alla protesta. Ma dobbiamo anche interrogarci su cosa producono poi effettivamente giornate del genere, tanto in Italia quanto in altri paesi. Dopo il 15 ottobre in Italia c’è un governo che fa le stesse cose di Berlusconi, così in Grecia dopo manifestazioni con scontri continui e in Spagna la situazione è la stessa, ogni giornata di questo tipo innesca una spirale repressiva fortissima, con provvedimenti che vanno a colpire duramente le lotte. Il problema non è come rendere incisive le giornate di lotta, ma come uscire da una visione prettamente estetica del conflitto, convogliando una rabbia giusta in un processo di medio termine, che non è fatto di giornate epocali nella cronaca giornalistica, ma di lavoro quotidiano per la creazione delle condizioni di un cambiamento effettivo. La vera lotta si fa ogni giorno conquistando consensi nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle università, nei quartieri, spostando i rapporti di forza, accumulando forze sotto un profilo quantitativo, perché solo questo processo può portare ad un cambiamento qualitativo, e quindi di sistema. 

Può sembrare un paradosso ma questo tipo di lavoro, da molto più fastidio di una giornata di esplosione della rabbia. Certo deve essere orientato in senso realmente rivoluzionario, e non per cercare facili quanto inutili scappatoie elettorali, e lo dico anche in relazione ad una tendenza presente nel movimento No Debito a diventare cartello elettorale, processo che non ci avrà mai partecipi e ci vedrà strenui avversari. È prima di tutto un processo politico e culturale di superamento di questi trent’anni per ristabilire due principi fondamentali: è necessario lottare contro questo sistema, conquistando consenso su parole d’ordine apertamente critiche verso il capitalismo, e per farlo in modo incisivo serve organizzazione. Il primo è stato abbandonato dalla sinistra parlamentare, il secondo negato dalla sinistra movimentista ed extraparlamentare. Ristabilire questi due elementi è la condizione necessaria perché la nostra lotta diventi veramente incisiva.

4 pensieri su “«USCIRE DALL’UNIONE PER USCIRE DAL CAPITALISMO»”

  1. Anonimo dice:

    Niente a che spartire con gli stalinisti.

  2. Anonimo dice:

    Anonimo GeremiaFanno commozione i Giovani che, per amore della Libertà, dell'Uguaglianza e della Fratellanza planetarie continuano a credere nell'ideologica marxista. Tuttavia, a chi sa fare una valutazione a sangue freddo della storia di questi centocinquant'anni, la loro fede, che senz'altro è da stimare sinceramente altruista e generosa attestando che la Gioventù si lascia ancora conquistare il cuore da nobili ideali, mette malinconia a causa della spietata realtà che volge a ben altre mete. Il Comunismo, in quanto utopia affascinante per le Masse, è stato creato ed usato come un Golem per ottenere ben precisi obiettivi per essere poi abbandonato quando non serviva più da chi ha condotto la regia della Storia per i propri fini di dominio e, Dio non voglia ma quello che succede fa temere assai male, di sterminio.

  3. Anonimo dice:

    Finalmente un po' di sano chiacchiericcio da bar. Ci voleva proprio, anonimo, quest'accozzaglia di ragliate da bar condite con chili di sana ignoranza.

  4. Anonimo dice:

    Madonna santa, ma in che stato siamo ridotti. Quello che dice "mai con gli stalinsiti". Bene, vorrà dire che forse si trova meglio coi capita, ah no, stalisnismo e capitalismo sono la stessa cosa. SI, va beh, amen.Poi quell'altro che parla di Golem, dominio, ma di che parli? Basta con questi discorsi antistorici, o ancora crediamo alle favole dei savi di Sion? Suvvia siamo seri, finiamola. Onore a questi giovani. W IL CSP. Se viene abbandonato lui, abbandono il comunismo per sempre.BYIL VILE BRIGANTE

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