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CON CHI LA FACCIAMO LA RIVOLUZIONE?

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Sulla questione del fronte e delle alleanze per salvare questo paese

In risposta a Quadrelli e Bausano

di Moreno Pasquinelli
Noi pensiamo —parlano la storia e l’esperienza empirica— che i rivoluzionari debbano congedarsi una volta per sempre dall’idea per cui più alto sarebbe stato lo sviluppo capitalistico più compiutamente esso avrebbe dato forma alla soggettività di classe rivoluzionaria.

L’astratto pensiero non sempre si sposa col concreto, tantomeno esso produce i suoi concetti come puro rispecchiamento del secondo, di qui la sua vana pretesa d’intrinseca e oggettiva validità. Quando il pensiero non riesce a cogliere il dinamismo del reale, esso finisce per restare prigioniero delle proprie astrazioni. Questo è quanto accaduto al marxismo il quale, sulla scia della teleologica filosofia della storia hegeliana, ha immaginato che il proletariato fosse, per sua essenza, una classe destinata, anche a dispetto della sua coscienza, a compiere la missione di condurre l’umanità verso il comunismo.

Non lo sviluppo del capitalismo ma il suo declino catastrofico, semmai, produce le condizioni obiettive del trapasso ad un alternativo e superiore modello sociale, poiché spinge i contrasti sociali al loro limite estremo, al punto in cui si decide chi debba avere il potere totale. Col che, beninteso, non stiamo compiendo l’errore opposto, quello di pensare che la crisi sistemica, motu proprio, sforni una classe rivoluzionaria bell’e pronta. No, noi stiamo solo dicendo che la crisi sistemica crea le condizioni oggettive che rendono pensabile la sfida rivoluzionaria. Questa può essere vinta solo a patto che in seno alla classe oppressa una maggioranza comprenda e accetti questa sfida, e non esiti ad abbattere gli ostacoli che ostruiscono la trasformazione. Ogni maggioranza è a sua volta plasmata dall’azione combinata dalla pressione esterna delle convulsioni sociali e dalla pressione interna educatrice della minoranza rivoluzionaria.
L’operaismo italiano, che condusse alle sue estreme conseguenze l’idea che il proletario fosse una classe rivoluzionaria per sua essenza, ci ha almeno insegnato a tenere nella debita considerazione l’analisi della cosiddetta “composizione sociale e di classe”. Chiediamoci: esistono oggi le condizioni per una rivoluzione sociale? O, nei termini dell’operaismo, la “composizione sociale e di classe” oggi esistente in Italia tiene in grembo la rivoluzione socialista? La nostra risposta è no. Ne abbiamo dato conto, di passata, nell’articolo Perché questo mortorio sociale, e quindi non ci torniamo.
Vogliamo invece commentare un articolo di Emilio Quadrelli e Giuliana Bausano, Un passo avanti, molti indietro, apparso su Contropiano.org l’11 novembre scorso. Il titolo, forse un po’ logoro, nasconde ragionamenti che meritano invece la massima attenzione.
I due autori ci perdoneranno se, per aiutare i nostri lettori a capire con chi abbiamo a che fare, estrapoliamo da un loro recente intervento, una frase che non lascia dubbio alcuno su quale sia il loro posizionamento ideologico:

 «Ciò che va immediatamente posto all’ordine del giorno è un programma politico in grado di offrire uno sbocco storico alla condizione proletaria contemporanea. Sotto tale aspetto, con ogni probabilità, la “vecchia” parola d’ordine della dittatura proletaria si mostra ben più fresca delle tante alchimie innovatrice elaborate dal ‘89 in poi dalla cosiddetta sinistra post-comunista. Al nuovo proletariato occorre dare una prospettiva politica non effimera, una prospettiva politica al centro della quale si pone, senza malintesi di sorta, la questione del potere politico e dell’esercizio della dittatura rivoluzionaria». [Al voto! Al voto! Ieri in Sicilia domani…]

Siamo quindi all’incipit. La visione di Quadrelli e Bausano è plausibile solo a patto di considerare valido il dogma che il proletariato sia una classe rivoluzionaria in sé, dotata quindi non solo della forza auto-sufficiente a cambiare il mondo, ma di una natura per cui esso non può sfuggire al compimento della sua missione. Che è cosa ben diversa dal sostenere, come noi in effetti sosteniamo, che sono principalmente le condizioni materiali d’esistenza a determinare la coscienza e l’azione (o l’inazione) delle larghe masse popolari.
Se questo è vero a queste condizioni materiali d’esistenza va prestata la massima attenzione. Per dire che occorre mettere bene a fuoco cosa s’intenda per proletariato. Per Marx è quella classe la cui sola fonte di reddito viene dalla vendita della sua forza-lavoro. Nelle metropoli imperialistiche è così solo per esigui strati del proletariato — che certo la crisi tende nuovamente a dilatare. Per la maggioranza “proletaria” il reddito è un combinato composto, ovvero concorrono alla sua formazione (soprattutto nelle famiglie plurireddito) varie forme: pensioni o cosiddetto “salario differito” (che è una rendita creata sì col lavoro ma che è una sottrazione al plusvalore), salario cosiddetto “sociale” e welfare (idem), risparmio, redditi da commercio, e quant’altro. Questo reddito composto, o eterogenesi del reddito, va preso nella dovuta considerazione, non fosse perché spiega l’affievolimento della lotta di classe, l’imbastardimento della coscienza, la promiscuità sociale e ideologica (non esistono paratie rigide tra le classi sociali), quindi il decesso del vecchio movimento operaio.

Con questo sarà più agevole comprendere il senso di quanto i nostri sostengono nell’articolo Un passo avanti e molti indietro. Essi, svolgono le loro considerazioni a partire dal bilancio della manifestazione nazionale del 27 ottobre scorso. Se la prendono con le due posizioni che essi ritengono, forse non ha torto, le due principali in seno all’opposizione anticapitalista. Quella espressa da Giorgio Cremaschi nel suo intervento E’ l’ora delle scelte, e quella del Collettivo Militant nell’articolo Gli stanchi rituali di una certa sinistra.
I nostri contestano a Cremaschi di pensare percorribile, qui in Italia, una “via latinoamericana” alla fuoriuscita dal capitalismo, ovvero: «… il parlamentarismo, come modello principe della politica; la difesa delle condizioni lavorative del “vecchio proletariato” (la centralità dell’art. 18 è quanto mai esemplificativo); la prospettiva di un nuovo “fronte popolare” nel quale dovrebbero convergere tutte le forze democratiche, progressiste, socialiste e antimperialiste del Paese. Questa, in sintesi, la proposta politica posta nero su bianco da Cremaschi. La prossima tornata elettorale ne dovrebbe rappresentare il primo banco di prova».
D’altra parte, i nostri, criticano la posizione che va per la maggiore in alcuni settori post-Autonomia operaia, quella del culto del riot e della spettacolarizzazione dell’evento sovversivo, quella per cui le rituali e tranquille manifestazioni come quella del 27 ottobre (che mettono in campo la vecchia e residuale composizione di classe novecentesca) non hanno più alcun senso, che occorre invece che esse servano da punto d’appoggio all’insorgenza sociale dei nuovi settori del nuovo proletariato precario giovanile.
Una critica al profilo e alla modalità con cui è stata promossa la manifestazione del 27 ottobre, in effetti, le abbiamo compiute anche noi, denunciando sia il minimalismo della piattaforma che la deliberata esclusione dei settori più combattivi della sinistra anticapitalista. [27 ottobre: non sia una passeggiata]
Il bilancio del 27 serve tuttavia ai nostri a mettere in luce la questione delle alleanze e del percorso che in questo paese un soggetto rivoluzionario può e deve immaginare come necessari per la fuoriuscita dal capitalismo. Così prendono di petto Cremaschi affermando:

«Partiamo con l’ipotesi Cremaschi iniziando ad affrontare l’orizzonte strategico in cui questa si colloca: la reiterazione di un Fronte popolare di tutte le forze oppositive ai diktat del liberismo. (…) Dobbiamo chiederci su quali alleanze di classe si danno le esperienze sudamericane e se, nei nostri mondi, il prospetto socio-economico racconta qualcosa di simile. Evidentemente no. (…) Nei nostri mondi non esiste una borghesia nazionale che si contrappone alla borghesia imperialista poiché, l’Italia e l’Europa, non sono Paesi sottoposti a dominazione imperialiste, non sono ex colonie dell’impero statunitense bensì, e almeno dai primi anni del ‘900, Paesi imperialisti i quali, nel contesto attuale, stanno realizzando la costituzione di un polo imperialista su scala Continentale. In tale scenario non vi è alcun settore di borghesia progressista poiché tutte le consorterie borghesi, pur con tenui differenze al loro interno, sono unite nel medesimo progetto strategico. Il “sostegno” parlamentare e istituzionale al Governo Monti, fornito da tutte le forze borghesi, non sembra aver bisogno di grandi commenti. Del resto, se come lo stesso Cremaschi riconosce, il PD è una forza a tutti gli effetti nemica non si capisce bene quale blocco sociale borghese dovrebbe incarnare lo spirito democratico, progressista, nazionale e antimperialista. (…) Nessuna frazione di borghesia locale, per dirla chiaramente, coltiva minimamente l’idea di chiamarsi fuori dalla BCE, dal FMI e tanto meno dalla NATO. Nessuna frazione di borghesia locale è estranea alle guerre di conquista e sottomissione varate dall’imperialismo ma, semmai, è fortemente interessata a spartirsi il bottino». [Un passo avanti, molti indietro]

Ci sentiamo chiamati in causa, e non tanto perché con Cremaschi militiamo tra le file del Comitato No debito, quanto perché, come Mpl, peroriamo in maniera decisa l’idea del fronte popolare, di un’alleanza ampia che non sia conchiusa entro i confini (immaginari) del vecchio e nuovo proletariato. E vogliamo difendere questa idea di fronte ampio proprio tenendo ferma la premessa a cui i nostri invece vengono meno: «L’ipotesi del fronte popolare, di per sé, non è né giusta né sbagliata poiché, ogni orizzonte strategico va collocato nella sua dimensione “concreta” e non astratta. L’orizzonte strategico non è un dogma ma una guida per l’azione».
Poniamoci subito una prima domanda: è vero quanto dicono i nostri che tutta la borghesia italiana è unita nella difesa del medesimo progetto strategico eurista e globalista? No, non è vero. I nostri, in questo, non tengono fede al principio dell’analisi concreta della situazione concreta, ma svolgono il loro ragionamento in base all’assioma che l’Italia non è un paese che subisca il giogo imperialistico ma vi partecipa, e da questo assioma derivano il teorema che non esiste alcuna frazione “progressista” della borghesia.
Ma qui il progressismo non c’entra un fico secco. Qui c’entra la questione concreta se il sistema di capitalismo-casinò (del quale l’Unione europea ad egemonia tedesca è asse portante) è  funzionale a tutta la borghesia o solo ai suoi strati rentier dominanti. La nostra analisi del capitalismo-casinòfondato sullo strozzinaggio finanziario ci conduce ad affermare che quest’ultimo colpisce duro non solo il popolo lavoratore ma interi settori della borghesia capitalistica. Li colpisce anzitutto in Italia, dove il sistema produttivo è imperniato sulla piccola e media impresa. Solo i ciechi non vedono che, finita l’epoca delle vacche grasse, ovvero con il sopraggiungere della crisi sistemica, la comunione intra-borghese traballa. Aggiungiamo che il venir meno della “minaccia comunista” ha contribuito a porre fine alla vecchia comunanza d’interessi. Esistono e come settori della borghesia che iniziano a considerare necessarie l’uscita dall’Unione o quantomeno dall’eurozona e i cui interessi vitali configgono con i settori globalisti dominanti.
Questi settori non mancano di cercare una loro rappresentanza politica. La trovano in pezzi del morente berlusconismo, nella Lega e, anzitutto nel grillismo —che infatti non sostengono il governo Monti. Il sopraggiungere di quest’ultimo, lungi dall’aver attenuato il conflitto in seno alla borghesia, lo sta anzi approfondendo. Se n’è accorto l’establishment, che infatti si blinda e sbandiera lo spauracchio del populismo.
A noi pare che l’errore principale dei nostri è che essi non tirano tutte le conseguenze dal fatto che quella che il capitalismo vive è una crisi storico-sistemica, che questa crisi profondissima non solo scomporrà e riconfigurerà il mondo del lavoro dipendente, ma è destinata a frantumare il vecchio blocco sociale dominante, spaccandolo anzi in modo devastante. Una crisi, quella attuale, imperniata sul debito, che taglia trasversalmente in due la società intera, ad esempio tra classi e strati debitori e classi e strati creditori. Ove i debitori, prime vittime del capitalismo-casinò, tendono a ribellarsi all’ordine di cose esistente e al Moloch euro, mentre i creditorisono la reale base sociale del sistema, spinti a difendere l’esistente, euro compreso. Occorre fare tesoro dell’esperienza storica, e di come crisi sistemiche, ad esempio quella tra le due guerre, non solo dividono la borghesia, ma spingono le sue diverse frazioni alla lotta frontale.
Poniamoci adesso una seconda domanda. Quale rango ha l’Italia nell’ambito del consorzio imperialista? Davvero il nostro paese non soffre di alcuna sostanziale subalternità? No, non è vero. L’Italia partecipa sì alla “spartizione del bottino”, ma vi partecipa come paese sub-imperialista a sovranità limitata, incapsulato in un’alleanza a ferrea dominanza americana. A questa sudditanza geo-politica se n’è aggiunta, con l’euro e la sua crisi, una seconda, quella alla Germania, simboleggiata dalla rapina colossale che fa leva sul debito sovrano. Nei piani strategici della borghesia globalista e rentier —in cui vi sono certamente pezzi tricolori che svolgono sostanzialmente una funzione predatoria da borghesia compradora—, la stessa che ha imposto Monti come curatore fallimentare, il nostro paese trova posto come paese marginale e semi-dipendente, produttore di semi-lavorati a basso costo per la locomotiva tedesca.
E’ una stupidaggine pensare che questo destino funereo del paese spinga le masse popolari alla sollevazione, ma lasci compatto lo schieramento dominante. Esso, ripetiamolo, andrà in frantumi e sarebbe sciocco se, chi pretende di strappare il paese a questo destino, facesse spallucce e, come un disco rotto, ripetesse a pappagallo lo slogan infantile “nessun compromesso con la borghesia ovunque essa sia”.
Il paese vive un crollo sistemico, esso è posto di fronte ad un bivio: o la catastrofe storica o la rinascita. E’ quindi in un larvato Stato d’eccezione. E da cosa è rappresenta la minaccia? Dalle frazioni globaliste del capitale finanziario le quali, poste davanti al collasso del loro sistema di rapina, vogliono uscire dal marasma esercitando la loro dittatura dispiegata spazzando via gli ultimi brandelli di sovranità nazionale e di democrazia. E’ entro la cornice di questo Stato d’eccezione che deciderà le sorti del nostro paese, che va pensata la questione della funzione di un soggetto rivoluzionario e ripensata quella delle alleanze.
Il difetto dell’argomentare dei nostri, come detto, pecca di astrattezza. E’ fuorviante incardinare la possibilità di un fronte ampio al feticcio della “borghesia progressista”. La questione delle alleanze è anzitutto politica e programmatica. Qui casca l’asino dei nostri, che sulla questione dell’euro e dell’Unione europea sono reticenti ed anzi sembrano condannare da un punto di vista di ultra-sinistra l’idea che la sovranità nazionale vada difesa. Di sicuro non ci si può alleare con le frazioni sovraniste ma reazionarie, xenofobe e imperialiste. Ci si può invece alleare con quelle sovraniste democratiche non in una prospettiva meramente difensiva ma offensiva, che punti dichiaratamente alla guida del paese. Alla guida per fare cosa? Questo è il problema per nulla astratto.

«Abbiamo indicato quale dovrebbe essere, grosso modo, il programma del Fronte popolare, ovvero il suo programma di governo:
(1) Uscita dall’euro e dall’Unione europea;(2) Ricollocazione geopolitica dell’Italia accanto ai paesi emergenti e nel solco della civiltà mediterranea;
(2) Default programmato e ripudio del debito verso la grande finanza speculativa globale;(3) Svalutazione unilaterale della lira e introduzione di dazi su tutti i prodotti di importazione;
(4) Riportare la Banca d’Italia sotto controllo pubblico riconsegnandole la facoltà di stampare carta moneta;(5) Nazionalizzare il sistema bancario e assicurativo abolendo le banche d’affari, affinché l’erogazione del credito sia sottratto alla speculazione borsistica;(6) Lanciare un piano nazionale del lavoro per debellare la disoccupazione e riconvertire in modo ecocompatibile industria e agricoltura;(7) Un sistema fiscale che premi la creazione di ricchezza e aggredisca i grandi patrimoni parassitari, mobiliari e immobiliari(8) Difesa della Costituzione repubblicana con la promozione di un’Assemblea Nazionale Costituente al fine di consegnare al popolo una fattuale sovranità politica». [Il fronte popolare secondo noi]

           
Aggiungevamo:

«Il Fronte popolare potrà avanzare solo se incontrerà il popolo insorgente, se saprà canalizzare il conflitto verso una generale sollevazione, fino ad una vittoriosa Rivoluzione democratica. Democratica poiché il suo primo stadio consisterà nel rovesciamento della dittatura mascherata delle oligarchie finanziarie, nella liquidazione delle loro cricche politiche, riconsegnando al paese la sovranità perduta, con la nascita di nuove istituzioni di potere popolare. In questo agone si deciderà quale delle forze componenti il Fronte popolare avrà l’egemonia, se quelle che puntano al socialismo o quelle che vogliono fermarsi ad un modello capitalista riformato. Sulla base del programma sopra abbozzato i rivoluzionari saranno una forza leale del Fronte, anche ove essi fossero una minoranza, ma terranno ferma la loro piena indipendenza politica.
 Per uscire dal marasma del capitalismo-casinò e dalla crisi in cui esso ha fatto sprofondare il paese, dovrà vincere la sollevazione popolare, e questa potrà vincere soltanto se la forza d’urto decisiva l’avranno le masse proletarie e plebee. La nostra indipendenza è insindacabile, necessaria per dare ai poveri la speranza di una compiuta liberazione, per spingere la Rivoluzione democratica in avanti, fino a quella socialista».

16 pensieri su “CON CHI LA FACCIAMO LA RIVOLUZIONE?”

  1. Anonimo dice:

    Salve a tutti, mi chiamo Max e complimenti per il post. E' bello vedere che nel marasma di internet ci sono siti come questo che propongono veramente la lotta per la libertà. Secondo me un'alleanza popolare si dovrebbe fare con tutti i popoli delle liste civiche senza distinzione ideologica (fuorchè ovviamente quei movimenti dichiaratamente reazionari). Si dovrebbe cercare anche di inglobare tutta quell'area di militanti del Movimento 5 Stelle scontenti della gestione Grillo-Casaleggio. E ve lo dico perchè io sono uno di questi, non sono propriamente un militante di Grillo ma un sostenitore del Movimento, tuttavia le ultime indiscrezioni mi fanno specie, soprattutto se vengo a pensare al paradigma diabolico che ha portato in crisi il paese: Craxi – Berlusconi – Monti. Ecco, non vorrei che diventasse Craxi- Berlusconi – Monti – Casaleggio.Io faccio parte di un piccolo comitato civico, il Sole d'Italia, magari insieme potremmo unirci e costruire una base comune per organizzare una vera e propria organizzazione rivoluzionaria. Abbiamo anche molte idee, se volete tenerci in considerazioni possiamo discuterne.Grazie.

  2. Anonimo dice:

    Dal post di M.Pasquinelli di VENERDÌ 9 NOVEMBRE 2012:IL DECLINO DELL'OCCIDENTE E LA QUESTIONE DELL'IMPERIALISMO (seconda parte) Pasquinelli sbaglia quando scrive che: "la classe operaia industriale si è dimostrata incapace di guidare il processo di distruzione del capitalismo; essa non incorpora nessuna essenza o provvidenziale missione socialista".A tal punto voglio ricordare questo brano di Marx: "Non basta che le condizioni di lavoro si presentino come capitale a un polo e che dall’altro polo si presentino uomini che non hanno altro da vendere che la propria forza-lavoro. E non basta neppure costringere questi uomini a vendersi volontariamente. Man mano che la produzione capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di quel modo di produzione (Il Capitale, libro primo)".Di cosa parla quì Marx? semplice, che il Capitale, possiede una sua forza ideologica, che ammanta e ammalia, sia coloro che si presentano come capitale a un polo (capitalisti) sia coloro che si presentano all'altro polo come venditori della propria forza-lavoro, alias i salariati tutti.E questo per tacere dei sistemi di persuasione occulta che sono i massmedia, rigorosamente gestiti dalla classe dominatrice.Quindi chi la deve fare la rivoluzione?Rispondo: gli sfruttati, coloro che non hanno altro da vendere che la loro forza-lavoro, e più in generale, i subalterni di questa società?, in generale sì, ma non basta.Come abbiamo visto, anche gli sfruttati sono degli ideologizzati, e allora come se ne esce?.Ci vuole un'avanguardia di Lavoratori emancipatisi dall'ideologia capitalistica corrente e costituitasi in partito, in grado di trainare al proprio seguito e grazie ad una educazione crescente le masse proletarie.Sollevazione, risponde a questo?Lavoratore…LuigiLavoratore…Luigi

  3. Moreno Pasquinelli dice:

    Caro Luigi,quindi tu dici: la classe operaia avrebbe sì un'essenza rivoluzionaria, ma questa è neutralizzata dall'efficacia della trappola ideologica borghese per cui dati rapporti sarebbero naturali e non storici. Beh, ma allora che "essenza" sarebbe se essa non riesce ad imporsi sulla "falsa coscienza"? Un'essenza, o se preferisci una determinata natura di un ente, in ultima istanza deve prendere il sopravvento, altrimenti non corrisponde al suo concetto. Voglio ricordarti quanto scrisse K. Marx: «Ciò che conta non è che cosa questo o quel proletario, o anche tutto il proletariati si rappresenta temporaneamente come fine. Ciò che conta è che cosa esso è, e che cosa esso sarà costretto storicamente a fare in conformità a questo suo essere». [La Sacra famiglia- 1844]Si capisce che qui "essere" sta appunto per "essenza" e in quanto tale essa non può che spazzare via tutte le illusioni ideologiche.Il fatto è, mi ripeto, che quest'essenza, retaggio della metafisica idealistica, semplicemente non esiste.

  4. Anonimo dice:

    Anonimo DemetrioRiferendomi ad un pensiero espresso dal lettore M. Grandi, é indispensabile citare la successione " Craxi – Berlusconi – Monti. …. non vorrei che diventasse Craxi- Berlusconi – Monti – Casaleggio" inserendovi anche e purtroppo il nome di Prodi. Craxi lo lascierei per conto suo, anche solo per la sua contrarietà al maggioritario e per aver tenuta dritta la schiena (e la bandiera della spesso a torto vituperata "Sovranità Nazionale") in certe occasioni. Per tal motivo gli é stata fatta salatamente pagare dai "soliti". Mi chiedo se in questa situazione di sgomentevole sudditanza (ricordiamo l'ing. Mattei) sia possibile ancora rialzare la testa e applicare teorie che sembrerebbe proprio aver fatto il loro tempo svolgendo pure abbastanza bene per conto "terzi" (i "soliti") la loro funzione golemica. Ricordiamo che quando gli steccati vengono infranti, se i lupi si scatenano, aggrediscono non solo le pecore ma anche pastori e pastorelli. Per questo, una certa consapevolezza della dignità nazionale (collegata inevitabilmente ad una "sovranità nazionale", non sarebbe proprio da buttare. Quando nel Programma si citano la Banca di Stato, la Nazionalizzazione delle Banche e dei settori strategici della produzione e dei servizi ecc. non vedo come si possa prescindere da una sovrantà nazionale che non sia prona all'imperio degli "Amministratori elegati" subordinati a poteri stranieri.

  5. Anonimo dice:

    @ Pasquinelli/chiedo//Se dunque la classe operaia non ha una essenza o natura di per sé anticapitalista e rivoluzionaria, a cosa ancoriamo le nostre speranze? Chi ci porta verso il socialismo?

  6. Anonimo dice:

    Aonimo GeremiaLe questioni teoretiche sono importanti perchè si pongono a fondamento delle ideologie. E non é affatto vero che le ideologie siano ciarpame fuori moda e la prova ne é il fatto che anche il Sionismo si basa su di un'ideologia. Poi occorre vedere che ideologie sono e qui entra in gioco il fattore individuale.Per esempio il Programma del Fronte Popolare si basa su di un'ideologia che privilegia il ruolo delle esigenze esistenziali del maggior numero delle persone che costituiscono una "Nazione – Stato". C'é chi vede questo programma come una "Torah" sociale laica ideale, c'è chi comincia a storcere il naso di fronte al Punto n° 7 . E' ovvio che questi non si unirà mai ad una "rivoluzione" (non in senso Termidoriano, per carità) che abbia lo scopo di arrivare a realizzare tale programma. Se il Punto 7 qualifica detto programma come spiccatamente "di sinistra" non é detto che, per esempio, possa riuscire del tutto inaccettabile a movimenti definibili "di destra" ( più o meno spinta) o quanto meno non allineati con il desolante panorama politico dei nostri giorni (M5S in primis). Gli estremi si toccano. Voglio dire che ci sono frange dell'opinione pubblica italiana non propriamente classificabili "di sinistra" alle quali il programma MPL andrebbe bene, soprattutto anche perché prevederebbe una serie di correzioni di rotta che eviterebbero al nostro sfortunato Paese di sfasciarsi sugli scogli come pare proprio debba succedere con l'andazzo timoniere attuale che sembra faccia di tutto perché si arrivi al fallimento totale conformemente al destino riservato, per esempio, alla Grecia. Ecco: é in base a queste consonanze non ideologiche ma pratiche che occorrerebbe coagulare le forze lasciando perdere etichette e colori legati ad un passato che ha dato frutti avvelenati un po' per tutti.

  7. Luca dice:

    Caro Geremia,capisco quel che vuoi dire. Premesso che un largo fronte rivoluzionario si deve formare su una piattaforma programmatica e concreta, sono dell'avviso che dovrebbero essere indicate nette discriminanti etiche e perché no, ideologiche. E' lì che non penso sia possibile unire il diavolo con l'acqua santa. Quali dovrebbero essere ? semplice: le libertà individuali come insindacabili diritti sociali e umani, la difesa della democrazia e il ripudio di ogni tirannia, in questo senso la difesa della resistenza e della della Costituzione. Sei d'accordo?

  8. Anonimo dice:

    Capisco quello che vuoi dire Demetrio, però Craxi ha le sue responsabilità sulla crisi del paese. Poi certo, anche la melma è relativa, ma ci sarà stato un motivo che ha portato la gente a lanciarli contro le monetine.Riguardo Geremia, il M5S è un movimento destinato a fallire perchè vuole fare la rivoluzione senza creare una classe di rivoluzionari. Anche nel Partito bolscevica c'era una figura di spicco come Lenin ma perlomeno egli aveva creato forme di gestione democratica che permetteva lo sviluppo di figure di spicco sicuramente preparate per organizzare una rivoluzione. Con l'assetto che grillo ha dato al Movimento, molto simile a quello dei partiti berlusconiani è chiaro che non si potrà creare non solo una classe di rivoluzionari, ma neanche di bravi politici.

  9. Anonimo dice:

    Anonimo GeremiaMolte grazie per il gentile riscontro. Sono daccordissimo che fra i comuni denominatori é essenziale ci sia concordanza di idee per le libertà individuali come insindacabili diritti sociali ed umani, la difesa della democrazia, il ripudio di ogni tirannia e la difesa della nostra Costituzione che é un capolavoro di saggezza e di amore per la Pace e la Fratellanza dei popoli. In quanto alla Resistenza occorre massimo rispetto per coloro che hanno sacrificato vita e giovinezza per gli ideali di Libertà. Io ero un ragazzino a quel tempo, però é stato scioccante per me ascoltare i commenti confidenziali dei dirigenti del CLN locale (erano miei conoscenti) a proposito delle clausole segrete dell'armistizio imposte dai vincitori. Erano delusi e sconfortati, quasi rabbiosi perché li ho sentiti dire accoratamente che "non pensavano certo che saremmo stati schiavi per novant'anni" (era il 1945 e + 9O ci stiamo ancora dentro comodamente!) Abbiamo un bel dire, ma gli Alleati non é che abbiano tenuto in gran conto il contributo della Resistenza. La democrazia l'abbiamo avuta come l'ha avuta anche la Germania che non aveva mosso un dito in fatto di resistenza. Sapevano benissimo gli Alleati le raffinate e spregiudicate strategie per fare delle libertà democratiche un'illusione. Spesso sento pareri di persone consapevoli di ciò che dovrebbe essere la dignità e l'autonomia decisionale di una nazione sovrana e che deprecano ci siano ancora basi americane sul teritorio italiano. Ma dimenticano la Storia e le conseguenze inevitabili di una resa senza condizioni. Guardando gli ultimi sessant'anni, effettivamente, ho l'impressione che siamo sempre stati in "Libertà vigilata", cioé sotto severa anche se segreta tutela e non sono mancate le strattonate di briglie e le vere e proprie bastonate (strategia della tensione, per esempio; stragismo, omicidi mirati ecc.). Siamo a questo mondo; si sa. Però separare e sfruttare le rivalità fra le fazioni à sempre stato un ottimo espediente per chi vuole conseguire e mantenere il dominio . Chi si divide crea debolezza; chi si unisce forza. Chiedo umili scuse per la lungaggine !!

  10. Anonimo dice:

    Anonimo DemetrioI politici al timone di un paese hanno sempre delle responsabilità personali enormi su quello che succede. Tuttavia ricordo bene il feroce clima di linciaggio morale scatenato contro Craxi e i Socialiti anche grazie a Mediaset dove c'era un esperto comentatore che chiudeva ogni sua trasmissione gridando "Forza Di Pietro! Craxi era il pupillo di Nenni che aveva per massima : "La politique d'abord, mon ami!". Cioé voleva dire che l'azione politica deve avere preminenza su tutto, anche sull'etica comune, se necessario (alla Machiavelli, insomma). I Re, è risaputo che non debbano soggiacere alle leggi che vigono per i comuni mortali. "Quod licet Jovis, non licet bovis"!!! Io sono convinto che la Magistratura italiana, nell'agire contro alcuni protagonisti della Prima Repubblica, abbia ricevuto l'imbeccata dai servizi segreti internazionali per conto di chi non poteva certo vedere di buon'occhio un governo di Centro Sinistra. Era già caduto il Muro di Berlino, se non sbaglio; In quanto a Grillo e ai Cinque Stelle, se non altro, mettono il dito nella piaga abbastanza impietosamente e direi anche giustamente e a ragion veduta. Personalmente reputo il M5S più a sinistra che a destra il che, da molti, anzi tanti, puo essere considerato un merito. Qualche partito che é reputato di sinistra, nei fatti passati e soprattutto con le recenti prese di posizione in Parlamento, ha invece dimostrato di non esserlo affatto abbandonando al massacro sociale in atto i suoi fedeli.

  11. Anonimo dice:

    Il problema del M5S non è se è più di destra o più di sinistra, il problema se vogliamo metterla su questo punto è che il M5S è un movimento pieno di idee e persone che sicuramente sono definibili di sinsitra ma organizzati secondo una struttura di destra berlusconiana. E' una contraddizione non da poco

  12. Anonimo dice:

    E poi come dici tu, sì mettono giustamente il dito nella piaga. Esattamente come Mediaset e i giornalisti che gridavano "Forza Di Pietro"! facevano in quei tempi di linciaggio contro Craxi e la politica generale.

  13. cub portogruaro dice:

    sul mov 5 stelle concordo,struttura verticistica in cui i militanti sono allo sbando,senza una vera teoria critica del sistema(ovvero nessuna reale teoria o pratica anticapitalista)..,ma tra tanti insignificanti aspiranti burattini dipendenti dall'oracolo Beppe,si iniziano a muovere piccoli osggetti che iniziano ad usare il cervello ed andare oltre.Ho visto ieri ad Udine ad una presentazione di un libro di MOnia Benini organ da 5 stelle finalmente le prime avvisaglie di chi chiede ed esige teorie ,e non aspetta piu' l'imbeccata della chioccia.

  14. Anonimo dice:

    Anonimo GaspareAl punto i cui siamo, cioè con l'acqua che arriva alla gola e con la prospettiva di beccarci con le prossime elezioni un quinquennio di BIS grazie alle manovre di confezionamento ad hoc di una torta avvelenata per gli elettori in virtù di un vergognoso rimpasto della ricetta elettorale, Vi sembra che sia il caso di filosofeggiare molto? Quando uno si accorge che c'è chi si accorda per premergli le mani sulla testa per fargli bere un altro po' d'acqua a go go, si attacca anche alla coda del Diavolo. Scritto con la D maiuscola perchè qualsiasi Diavolo che non voglia premerci la sua mano sulla testa dossociandosi da questa canea di Belzebubbi subdoli e inferociti, merita rispetto.

  15. Anonimo dice:

    E se poi anche quel diavolo alla fine di affoga la testa sotto l'acqua, magari con metodi più subdoli che fai? Lo stesso clima si respirava nel '94 e arrivò Berlusconi che ci infilò la testa sotto l'acqua, insieme a tutti gli altri. Il Diavolo è il Diavolo, sia che si manifesti sotto forma di comico-politico sia sottoforma di politico-comico

  16. Anonimo dice:

    Anonimo GaspareIn tema di diavoli, sembra che un celeberrimo esorcista cattolico abbia asserito che il nostro abilissimo Timoniere del momento sarebbe un "diavolo". La qualifica, conferita da un esperto in materia, metterebbe la tentazione di crederci. Si resta comunque un po' sbasiti constatando che quasi totalmente lo schieramento politico italiano in vista delle prossime elezioni rivela la convinzione di non credere a tale "diagnosi". Ad eccezione di Grillo e qualche formazione da 3% o giù di lì. Questa propensione al bis, fa un po' da "cartina di tornasole" a proposito di mani sulla testa.Personalmente, nel 1994 ero ben lontano dal ritenere quel clima salutare e ciò perché, ascoltando certi bellissimi discorsi, avevo notato che contenevano troppe ambiguità e soprattutto non erano affatto coerenti con il vissuto di chi ce li ammanniva con insuperabili ed efficacissime, questo bisogna riconoscerlo, abilità di piazzista.

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