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SICILIA: FORCONI IN RIFLUSSO di Daniela Di Marco

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Casello di S. Gregorio (Catania), 20 marzo 2013

29 marzo. In Sicilia non è andato a buon fine l’ultimo tentativo dei Forconi di sollevare il loro popolo. Daniela Di Marco fa il punto della situazione e svolge alcune riflessioni politiche sui limiti dimostrati dal movimento.
 

More et lege gattopardorum!

di Daniela Di Marco

Avevamo informato i nostri lettori dell’iniziativa dei Forconi di Mariano Ferro, che l’undici di marzo sono tornati sulle strade siciliane con dei presidi informativi, sit-in e volantinaggio, per sensibilizzare, informare e riaccendere la protesta, non da soli, ma assieme agli autotrasportatori di Giuseppe Richichi, riuniti nel movimento Forza d’urto — i due movimenti che diedero vita nel gennaio 2012 alla rivolta popolare siciliana.

Dopo i tentativi falliti di riaccendere la protesta di massa (ricordiamo il tentativo di blocco totale dello Stretto nel luglio 2012), questa volta è stata scelta una pratica flessibile: partire da presidi chiamando i siciliani alla partecipazione e verificare sul campo se ci fossero le forze per passare a veri e propri blocchi. La risposta di massa non è stata positiva. Del resto anche l’adesione dei camionisti (com’era del resto prevedibile) è stata più che blanda. 

Sta di fatto che a mezzanotte precisa dell’11 marzo decine di militanti dei Forconi hanno preso posizione presso il casello autostradale di San Gregorio sulla A 18 Catania-Messina, che fu il cuore della rivolta nel gennaio del 2012. I manifestanti hanno inaugurato il presidio ad oltranza all’imbocco dell’autostrada con un gesto tanto plateale quanto significativo: hanno sistemato 90 sedie (90 sono gli scranni nell’Assemblea regionale siciliana), per chiedere simbolicamente ai deputati siciliani di recarsi lì e ascoltare le loro richieste.

Era insomma l’ennesimo appello al potere regionale, in particolare ai parlamentari, con l’avvertimento perentorio e chiaro che in caso di indifferenza alla istanze dei manifestanti, si sarebbe passati ai blocchi stradali veri e propri.
 

Ferro dichiarava:

«Le sedie sono rimaste vacanti. Questo è ultimo appello che facciamo, se non ci saranno risposte i toni della protesta potrebbero alzarsi. La Sicilia e la sua economia sono in ginocchio, bisogna affrontare la questione».

E rivolgendosi ai deputati del Movimento 5 Stelle, primo partito dell’isola: 

«I grillini hanno condiviso in passato la nostra protesta e sono stati al nostro fianco nelle piazze. Adesso sono in Parlamento e ci aspettiamo ascolto e condivisione».

Questa azione, sfortunatamente, non ha incendiato la prateria, poca la gente che ha solidarizzato con i manifestanti, malgrado una certa eco da parte della stampa locale, che ha tuttavia usato toni terroristici, mettendo in guardia i cittadini da possibili blocchi selvaggi e conseguenti danni alla precaria economia isolana. 


Quali erano le richieste dei Forconi? «Uno stop dei pignoramenti di massa che sta mettendo in atto la Serit (l’equivalente siciliano di equitalia), che con i suoi tassi da usura, sta strozzando migliaia di famiglie, gettandole nel lastrico; accesso al credito dato che sempre più imprese chiudono e nessuna nuova nasce, perché non esiste quasi più la possibilità di ottenere un finanziamento; riduzione del prezzo del carburante; legge anti taroccamento per tutelare le produzioni agricole isolane e l’applicazione degli articoli 36 e 37 dello Statuto siciliano, che permetterebbero alla Regione Sicilia la piena attribuzione di tutte le entrate fiscali delle imprese che operano nell’isola, per poterle impiegare sul territorio».

Richieste legittime, quelle dei Forconi, per nulla massimaliste o velleitarie, ma che non sono bastate a mobilitare i siciliani. Il disastro sociale sta rendendo il popolo siciliano apatico, la consapevolezza che tanto manifestare non ti aiuterà a trovare i soldi per un chilo di pane, che comunque la Serit ti porterà via casa e terre, che i tuoi figli non troveranno lavoro perché semplicemente non c’è, questa situazione aumenta la desolazione.

E’ la strada giusta per uscire da questo empasse, implorare che il governo siciliano applichi finalmante lo Statuto, una moratoria sui provvedimenti Serit, una legge contro il taroccamento, la riduzione del prezzo del carburante? A noi non pare. Non porta frutti l’aspettare che Crocetta voli a Bruxelles alla ricerca di finanziamenti che tanto non arriveranno. Inutile chiedere udienza, cercare il dialogo e l’appoggio delle istituzioni.

Sta di fatto che dopo alcuni giorni di presidi il presidente Crocetta ha convocato Forconi e Forza d’urto nel Palazzo d’Orleans. L’incontro era fissato per mercoledì 20 pomeriggio. Dopo aver fatto attendere per due ore i rappresentanti dei due movimenti Rosario Crocetta non si è nemmeno presentato, impegnato a discutere in Giunta sull’abolizione delle province.

All’incontro, spostato al giorno dopo, Mariano Ferro ha deciso di non presentarsi (subodorava forse la presa in giro), mentre Richichi ci è andato e come, strappando a Crocetta l’impegno ufficiale a soddisfare alcune delle richieste, fondamentalmente quelle dei camionisti di Forza d’urto. E’ stato così sottoscritto una specie di protocollo d’intesa in cinque punti —sottoscritto dal Presidente Crocetta, dall’Assessore alle Risorse agricole, dai delegati dell’Assessore dell’Economia e dell’Assessore alle Infrastrutture e Trasporti— di cui uno è appunto la «…moratoria del pagamento delle cartelle esattoriali per un anno dei contribuenti in difficoltà, privilegiando piccole e medie imprese».  Apparentememnte un piccolo successo, in realtà una bidonata. Non solo perché questa concessione è aleatoria, condizionata alle “compatibilità e alle risorse finanziarie disponibili”. I Forconi chiedevano qualcosa di più sostanzioso: se non il blocco, almeno una moratoria dei pignoramenti Serit.

In conclusione: la categoria (corporativa ma temibile) dei camionisti è tornata a casa con qualcosa in mano, mentre i Forconi con un pugno di mosche. E’ evidente la ragione: la debolezza dei Forconi medesimi i quali, dopo la straordinaria fiammata del gennaio 2012, hanno visto il loro movimento subire un inarrestabile riflusso.

Hanno fatto errori in quest’ultimo anno i Forconi? Certo che sì. A noi ne appaiono tre in particolare. 
Il primo è che non sono riusciti a diventare movimento di popolo, a rappresentare davvero gli interessi e i bisogni della grande maggioranza dei cittadini, che sono pur sempre lavoratori dipendenti —troppo legati, i Forconi, alla difesa degli interessi di artigiani, contadini e piccoli imprenditori gettati sul lastrico. 
Il secondo riguarda i limiti programmatici del movimento: col pretesto del sicilianismo i Forconi non hanno saputo o voluto stare all’altezza della crisi, che è crisi economica generale, dell’Italia e dell’Unione europea, crisi che richiede a chi lotta di avanzare proposte di alternativa di ampio respiro. 
Il terzo errore è nella coppia di ciò che chiamavamo un tempo spontaneismo e movimentismo, cioè l’illusione che basti il coraggio e la determinazione di pochi coraggiosi per trascinarsi dietro tutto il popolo. Che il popolo è già pronto alla lotta, che basti chiamarlo all’azione.


I Forconi hanno dunque di che riflettere. Di certo sono davanti ad un altro bivio. Noi   speriamo che vinceranno la delusione causata dalle ultime vicende, che il gruppo dirigente resti unito e che finalmente si colleghi ai movimenti sociali guardando oltre la Sicilia, ai movimenti e agli organismi popolari di lotta che resistono nel paese.

Ciò vale tanto più in Sicilia, ove vige la legge del “cambiare tutto perché nulla cambi”, more et lege gattopardorum! E dove gli stessi “grillini” siciliani sono sì diventati primo partito dell’isola ma, come dimostrato in occasione dell’elezione di Grasso a Presidente del Senato, più che una forza di lotta sembrano l’ultima, patetica propaggine, della “primavera palermitana” che fu, cioè un movimento d’opinione legalitario e molto borghese.

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