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FRANCIA: LA RIVOLTA DEI “BERRETTI ROSSI” di Francesca Dessi*

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11 novembre. In Francia li chiamano les Bonnets rouge, i “Berretti Rossi” —nella foto uno dei loro blocchi stradali. Da una settimana stanno mettando a ferro e fuoco la Bretagna, una delle regioni francesi più colpite dalla crisi. Qui agricoltori, camionisti, piccoli imprenditori, hanno dato vita ad un movimento di protesta che ha molte similitudini con quello che scoppiò in Sicilia nel gennaio 2012, di cui i Forconi furono protagonisti. 
Qualcosa di simile a quanto avviene in Bretagna potrebbe accadere in Italia il 9 dicembre. Un Coordinamento di cui fanno parte, oltre ai Forconi, diverse associazioni di agricoltori e camionisti di diverse regioni, ha deciso di scendere sul sentiero di guerra. L’Appello con cui indicono la protesta è ampiamente condivisibile.

«C’è aria di crisi in Francia, che fino a ieri ha mascherato molto bene le difficoltà economiche. Nonostante i giri di parole e l’atteggiamento altezzoso di Hollande, che ha fatto fessi pure i francesi, i nodi stanno venendo al pettine. Le piccole e medie imprese stanno soffrendo e molte di loro stanno chiudendo. Il ceto medio è in difficoltà. E, come in Italia, le tasse hanno raggiunto il massimo storico.

C’è una zona della Francia, in particolare, che è in uno stato agonizzante. Si tratta della Bretagna, la celebre regione del nord-ovest, dove è in corso una rivolta dei commercianti, agricoltori e artigiani contro il governo francese. Martedì scorso, circa 30.000 persone sono scese in strada a Quimper per protestare contro le politiche economiche del governo di centrosinistra, tra cui la “ecotassa”, il sistema di tassazione per la circolazione dei mezzi pesanti, l’abbassamento dei salari, la “svendita” dei beni pubblici e la disoccupazione.

Scontri, portici incendiati… la rabbia sociale cresce. Non si tratta più di una protesta dei singoli, bensì dell’intera popolazione che si è unita alla causa dei cosiddetti “berretti rossi”. I manifestanti indossano infatti il copricapo rosso, simbolo di un movimento che per le caratteristiche e la composizione sociale richiama quello italiano dei “forconi”.

Un momento degli scontri in Bretagna

A nulla sono valsi i tentativi del governo di Hollande di sedare la protesta. E ora il rischio di un contagio fa tremare le fondamenta dell’Esagono. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’aumento delle tasse sui prodotti agricoli e in particolare l’ecotassa, l’impôt des poids lourds. Una tassa che è stata introdotta nel 2008 dalla Loi Grenelle de l’environnement e che, dopo diversi intoppi, entrerà in vigore il primo gennaio del 2014.

Questo sistema di “tassazione ecologica” consiste in una tassa chilometrica mirata a far pagare ai camion l’utilizzo dei rami stradali nazionali precedentemente gratuiti. Questa misura riguarda tutti i veicoli di trasporto merci superiori a 3.5 tonnellate (anche quelli stranieri) ed è applicata su 15. 000 km di rete stradale. La tassa può variare da un minimo di 8,8 centesimi a un massimo di 15 centesimi per chilometro. Dipende dunque da quanti sono i chilometri percorsi e da quanto il mezzo di trasporto sia pesante e inquinante. L’ecotassa intende inoltre sollecitare le persone a ricorrere a forme di spostamento alternative come il trasporto marittimo, fluviale o ferroviario.

Secondo i bretoni, l’introduzione del sistema di tassazione ecologica non farà altro che mettere in difficoltà le aziende già in crisi. L’impôt des poids lourds non piace anche per altri motivi. Prima di tutto per via della spesa esorbitante sostenuta dal governo francese per la costruzione dei pontili con decine di telecamere: circa un milione di euro per ciascun dispositivo. Secondo, perché i pontili con le telecamere di ultima generazione registrano tutto quello che vedono e permettono di sapere chi e quando è passato. Una sorta di “occhio del grande fratello” che studia le abitudini e le altre azioni della gente. Si ha la sgradevole sensazione di vivere in uno Stato di polizia, che sorveglia a vista le persone e che ne limita la libertà.

Come accennato in precedenza, la rivolta dei berretti rossi non è legata esclusivamente alla “impôt des poids lourds”. Alla base c’è un forte malessere che si fa sentire soprattutto in Bretagna, ma anche nel resto del Paese. Le piccole e medie imprese agroalimentari non riescono a competere con i rivali asiatici. In particolare, è il settore degli allevamenti del pollo e del maiale a risentirne. Fino a qualche tempo fa, il pollo bretone, poco costoso, riempiva i supermercati nazionali ed europei. La Bretagna produceva un terzo del pollame francese. Oggi il mercato nazionale è invaso da quello brasiliano. E il più grande gruppo, Doux, un tempo leader nazionale del settore, è in crisi e ha licenziato centinaia di operai.

In concomitanza, è scoppiata la crisi del maiale. Sul piano della qualità la produzione francese è da sempre in difficoltà rispetto alla concorrenza italiana e spagnola. Oggi c’è un nuovo concorrente: la Germania. E la sua carta vincente è il prezzo. Le imprese tedesche usano infatti la manodopera a basso costo dell’est asiatico. Pagando salari minimi, parliamo di 300 euro al mese, Berlino può immettere nel mercato suini a poco prezzo. In un anno, è riuscito a spiazzare l’export francese di salumi e di carne di maiale. La Bretagna che un tempo vantava i “maiali più economici”, oggi è in profonda crisi.

“Berretti rossi”: agricoltori, camionisti e artigiani

Inoltre, come racconta una fonte sul posto, il consumo della carne di suino è boicottato dalla grande comunità musulmana presente nel Paese d’Oltralpe che ha una grande influenza sulla vita politica e sociale francese. Di fronte a questa tendenza, sono in molti che storcono il naso nella Francia multietnica. Allo stesso tempo, si acuisce il dissapore nei confronti del presidente Hollande, definito il peggior presidente della storia francese.

I Bretoni, ma non solo, lo accusano di non fare nulla per fronteggiare la crisi e di aver attuato le stesse politiche del suo predecessore Nicolas Sarkozy. Lui che aveva criticato l’innalzamento dell’Iva sociale, ora la sta attuando. La lista è lunga, ma c’è in particolare un episodio che ha fatto infuriare i francesi, profondamente nazionalisti, a differenza degli italiani. Si tratta del caso di Florange. In questo comune francese si trovava una delle sedi della azienda Arcelor-Mittal, leader mondiale nel settore dell’acciaio. Società per metà francese e per metà indiana. La fusione, avvenuta nel 2006, ha cambiato l’identità e le priorità dell’azienda, che ha deciso di trasferire alcune sedi nei Paesi dell’Est dove la manodopera è meno costosa. In pratica, la stessa filosofia che ha adottato la Fiat in Italia.

Ci sono state parecchie proteste contro la chiusura di Florange. E il presidente Hollande si era impegnato a salvare l’azienda. Ma ciò non è avvenuto, nonostante il ministro del Redressement Productif (risanamento produttivo) Arnaud Montebourg, avesse proposto la “nazionalizzazione temporale”, riscuotendo l’approvazione popolare. Ben 600 dei 2500 operai sono finiti in cassa integrazione. Pertanto, l’attuale capo dell’Eliseo, che non ha tutelato gli interessi nazionali della Francia, ha perso definitivamente il consenso che gli aveva fatto vincere le Presidenziali del 2012. A conferma, i francesi hanno costruito una lapide davanti alla sede di Florange per ricordare “il tradimento di Hollande”.

Come dice un motto bretone, Kentoc’h mervel eget bezañ saotret. Ossia, «Meglio morire che tradire».

* Fonte: Il Ribelle

Un pensiero su “FRANCIA: LA RIVOLTA DEI “BERRETTI ROSSI” di Francesca Dessi*”

  1. Anonimo dice:

    C'è da constatare amaramente che anche in Francia la sinistra tradisce la sua base, direi sfacciatamente come qui in Italia. E molti, purtroppo, aggrappati (cosa non si fa per disperazione?) a tramontati schemi ideloogico-politici continuano a intrupparsi sotto le vecchie bandiere che i vari leader hanno energicamente ipocloritizzate.La sinistra fa ancora comodo alla leadership suprema solo per aizzare zizzania e odio per approfondire vecchie crudeli ferite (il sangue effettivamente è assai difficile da lavare) fra quanti invece potrebbero unire le forze per tentare di scuotere il giogo dell'oppressione mondialista.

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