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la sinistra e l’euro (12) IDEE POCHE MA CONFUSE. Una critica alla tesi dell’euro del Sud. di Leonardo Mazzei

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18 novembre. A PROPOSITO DI UN DOCUMENTO DELLA RETE DEI COMUNISTI

Il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli. E che dettagli! Al titolo altisonante, «Fuori dall’Unione Europea», corrisponde infatti un documento fiacco, le cui parti condivisibili diventano lettera morta dentro la cornice in cui vengono inquadrate.

Un documento, quello della Rete dei comunisti (Rdc), privo di concrete proposte politiche, che considerando un tabù la questione della sovranità nazionale, ipotizza un’uscita dall’euro di serie A (quello attuale) solo dopo averne costruito preventivamente uno di serie B, come nuova moneta unica di una non meglio precisata “area mediterranea”.

Questa posizione non è certo nuova. Ma se, fino a qualche tempo fa, essa aveva il merito di collocare la Rete dei Comunisti nel campo delle forze anti-euriste, in opposizione alla maggioranza delle forze di sinistra schierate sul versante opposto; oggi, nel momento in cui un dibattito serio si sta aprendo in ambiti della sinistra prima refrattari, la sua mera riproposizione appare un passo indietro piuttosto che un passo avanti.

Oggi, e lo diciamo con la soddisfazione di chi ha cercato di dare il proprio modesto contributo in questa direzione, la discussione sull’uscita dall’euro e dall’Unione non è più materia da piccoli gruppi isolati. Ed è una materia che impone proposte realistiche, praticabili, immediatamente comprensibili dalle classi popolari, ed in particolare dai soggetti sociali maggiormente colpiti da una crisi che ha avuto ed ha nell’euro un determinante fattore di aggravamento.

E’ qui la divergenza con la proposta della Rdc. Perché, se siamo ovviamente d’accordo con l’uscita dall’Unione (e non è poco), se siamo d’accordo sul pacchetto di misure che dovranno accompagnare quella dall’euro (e non è poco), troviamo invece confusa e paralizzante la precondizione che viene posta affinché questa uscita possa aver luogo.

Si tratta dunque di un nodo da affrontare. Ed iniziare a farlo può aiutare lo sviluppo del dibattito tra tutte le forze anti-euriste, anche in vista dell’importantissimo convegno che terremo a Chianciano l’11 e il 12 gennaio 2014. Entriamo dunque nel merito.

Uscita dall’UE ed “area mediterranea”: una gran confusione

Che, nella prospettiva dell’uscita dall’UE, si debba guardare al Mediterraneo, lo abbiamo scritto tante volte. Che si debba lavorare all’unità dei popoli in lotta dei paesi mediterranei maggiormente colpiti dall’euro-austerity è perfino un’ovvietà. Che si debba ricercare un rapporto con i movimenti popolari, e con quelli della resistenza antimperialista della sponda sud è quel che facciamo da molti anni.

Fin qui nessun problema, anzi. Per noi è l’ABC dell’internazionalismo. Ma se dall’internazionalismo si passa ad un astratto progetto di “quasi-unificazione” a tavolino (mi scuso per l’approssimazione, ma il documento su questo punto non consente di essere più precisi), con tanto di moneta unica, il risultato cambia drasticamente.

Ma vediamo la formulazione contenuta nel documento di cui ci stiamo occupando. Leggiamo al punto c:

«Oggi questa “organicità” nel capitalismo mondializzato si è rotta ed è nelle cose la necessità di individuare il superamento dello stato presente delle cose. Per noi questo significa concretamente proporre, propagandare e battersi per la costruzione di un’area omogenea, sia sul piano istituzionale che su quello economico e monetario, che veda assieme tutti i paesi del Mediterraneo nel chiamarsi fuori dal condizionamento e ricatto dei poteri forti finanziari, economici e della Eurocrazia ma che vede complice e partecipe anche la parte “vincente” e non berlusconiana della nostra Borghesia nazionale».

Nascono qui diversi problemi. Il primo di chiarezza: da chi è costituita esattamente l’area mediterranea? Nella citazione precedente si parla di «tutti i paesi del Mediterraneo», in altri passaggi di area «euromediterranea», in altri ancora si lascia intendere che quest’area dovrebbe essere composta in primo luogo dai PIIGS. Ipotesi alquanto diverse, ma tutte problematiche.

Pretendere di costruire «un’area omogenea, sia sul piano istituzionale che su quello economico e monetario» nell’intero bacino del Mediterraneo (che include fra l’altro paesi come Israele, la Turchia o la Libia) ci sembrerebbe davvero troppo. Viene da pensare allora che l’ipotesi vera sia quella «euromediterranea». Ipotesi certo meno irrealistica, ma composta esattamente da chi? Dai soli PIIGS (evidentemente con esclusione dell’Irlanda che tutto è fuorché mediterranea), od anche dalla Francia?

Nel primo caso avremmo una nuova entità politica ricavata in negativo dalla politica germano-centrica dell’UE, cui seguirebbe una sorta di euro di serie B come da tempo congetturato in ambienti dell’establishment tedesco; mentre il secondo – qualora fosse davvero quello ipotizzato – dovrebbe essere quantomeno meglio esplicitato, viste le conseguenze geopolitiche tutt’altro che irrilevanti.

Come si vede la confusione non è piccola, ma c’è un problema di sostanza ancora più grave. Mi riferisco alla forma della nuova entità politica ipotizzata. Qui ci troviamo di fronte ad una vera e propria fuga in avanti. Che, come tutte le fughe in avanti, porta poi nel concreto alla classica marcia sul posto. Un’area come quella ipotizzata, per giunta dotata di una nuova moneta unica, come esplicitato al punto d del documento, sarebbe una specie di “piccola UE”. Non un vero stato, ma con vincoli economici assai forti, che alla fine potrebbero rivelarsi non troppo diversi da quelli della vera UE, magari con l’Italia nel ruolo che oggi è della Germania.

Certo, non è questa l’intenzione della Rdc, ma allora perché avventurarsi con queste ipotesi a tavolino? Oltretutto, tra gli economisti c’è accordo almeno su un punto: non può esserci moneta senza stato. E dunque non può esserci moneta unica (chiamarla “comune” è solo un fatto linguistico che non cambia il problema) se non all’interno di un processo di formazione di un super-Stato sovra-nazionale. Era questo il progetto europeo. Un progetto che sta scricchiolando da ogni lato proprio perché il super-Stato federale degli ultras euristi allucinati è (fortunatamente) ben lungi dal realizzarsi. E di questo ambizioso progetto resta solo quella che chiamiamo euro-dittatura, cioè l’insieme dei dispostivi messi in piedi dall’oligarchia eurista a difesa degli interessi del blocco dominante, nell’intento di rimandare il più possibile un’implosione che sembra comunque avvicinarsi.

Piccola digressione. Anche chi scrive pensa che il tracollo dell’UE non sarà semplicemente il frutto predeterminato ed automatico delle contraddizioni interne. Ma queste sono davvero potenti, e comunque (anche ma non solo per questo) continuare a pensare – come fa la Rdc – che l’iniziale progetto europeista stia proseguendo sostanzialmente nella sua marcia come prima, ci pare davvero un errore d’analisi assai grave.

Ma torniamo a bomba. Ipotizzare una nuova moneta unica significa nei fatti ipotizzare un nuovo stato, o quantomeno un processo che lì conduce in tempi utili. Il fatto che non venga esplicitamente scritto mostra forse una consapevolezza inconscia della assoluta astrattezza del progetto che pure viene avanzato.

Per una diversa proposta ai popoli del Mediterraneo

Quel che apparentemente è incomprensibile, ma che in realtà – come vedremo più avanti – si capisce benissimo, è questo voler progettare a tavolino uno schema che andrebbe invece costruito con una metodologia ben diversa. La confusione su chi e come dovrebbe comporre la nuova area mediterranea non è infatti frutto del caso.

In proposito, la nostra opinione è molto semplice. Lo sganciamento dall’Unione Europea dovrà avvenire attraverso una serie di sollevazioni che rimettano al centro il protagonismo delle classi popolari. Nei vari scenari nazionali, le sollevazioni porranno necessariamente l’obiettivo del governo, per la realizzazione di un programma che include l’uscita dall’Unione e dall’euro, una significativa cancellazione del debito, la nazionalizzazione del sistema bancario e dei settori strategici dell’economia, una serie di misure a tutela dei salari, eccetera.

Chi scrive si augura la rivoluzione mondiale, ma è difficile pensare ad una perfetta simultaneità delle sollevazioni in tutti i paesi dell’area euro-mediterranea. Ci saranno, inevitabilmente, sfasature di ogni tipo: temporali, programmatiche, di schieramento, di visione politica e geopolitica. Tutto ciò è – o dovrebbe essere – ovvio. Ne discende allora una conseguenza assai semplice: il processo di unione tra i paesi che avranno intrapreso la via dello sganciamento – per noi non solo dall’UE, ma più in generale dai meccanismi del capitalismo-casinò – avverrà sulla base di un criterio esclusivamente politico.

Potremmo trovarci assieme ad un paese PIIGS che si è sollevato, ma non ad un altro che non lo ha fatto, come potremmo invece trovare al nostro fianco un paese non-PIIGS. La discriminante sarà, e non potrebbe essere altrimenti, solo ed esclusivamente politica. Dunque, se da una parte è giusto mettere al centro il Mediterraneo, dall’altra bisogna farlo senza schemi preconfezionati. E, soprattutto (questo è il vero nodo politico) sapendo che il processo di sganciamento potrà avvenire solo partendo dalla riconquista della sovranità nazionale, che è poi sovranità popolare e democratica. Questa è la base di partenza. Una base da cui muovere per rilanciare un nuovo internazionalismo, che per essere tale non potrà che fondarsi sul rapporto fraterno e solidale tra diversi popoli e nazioni.

La proposta che dovremmo rivolgere ai popoli del Mediterraneo – ma che solo un potente movimento di massa avrà l’autorità per farlo – è dunque quella della sollevazione e della solidarietà internazionalista. Una sollevazione che porti alla formazione di un blocco che inizi lo sganciamento dal capitalismo-casinò. E che avrà quindi interessi convergenti, possibilità di cooperazione economica e culturale, ricerca della massima unità politica. Un blocco, però, che potrà eventualmente evolvere verso forme di maggiore integrazione solo con il tempo e solo con il pieno consenso popolare. Viceversa, si ripercorrerebbe, pur non volendolo, la strada che ha condotto all’attuale disastro.

Ora qualcuno potrebbe non capire il problema rispetto a quanto sostenuto dalla Rdc. In fondo, si potrebbe obiettare, anche la Rete sarà ben consapevole del carattere processuale e non scontato della propria ipotesi. Purtroppo non sembra sia così, o perlomeno non è questo che si ricava da quanto scritto nel documento, come ci dimostra la posizione sull’euro.

Il nodo dell’euro

Luciano Vasapollo

Per la Rete, e per il suo teorico Luciano Vasapollo, l’uscita dall’euro dovrebbe avvenire solo in forma concertata tra i paesi euro-mediterranei. Ovviamente, anche per noi questo sarebbe preferibile. Ma quanto è realistico? E cosa facciamo se, dopo aver ricercato la concertazione, questa non fosse possibile? Vediamo cosa dice in proposito il documento in questione:

«L’idea di abbandonare l’Unione Economica e Monetaria della UE (UEM) e tornare alle monete nazionali del passato non può neppure questa essere considerata un’alternativa per i Paesi della periferia europea mediterranea, poiché la debolezza estrema di un’eventuale moneta nazionale di fronte al capitale finanziario globale non permetterebbe una regolazione efficace del ciclo e del cambio strutturale in questi Paesi».

Non si può dunque tornare all’euro da soli. E questo è già un problema. Ma ancora più interessante è l’argomentazione che viene portata, e che cioè una moneta nazionale sarebbe sempre e comunque troppo debole per «una regolazione efficace del ciclo e del cambio strutturale in questi Paesi». In pratica – sia pure da una diversa prospettiva – è quel che ci dicono gli euristi di ogni sorta, secondo i quali ritrovarsi con una moneta di un paese di 60 milioni di abitanti equivarrebbe ad un disastro semplicemente inenarrabile.

Ora, però, se fosse davvero così, nei cinque continenti dovrebbero pullulare le iniziative volte alla costruzione di nuove unità monetarie. Ma così non è, non solo nella lontana Oceania, non solo nell’arretrata Africa, non solo nella tumultuosa Asia. Così non è neppure in America Latina, e (nonostante il sucre, come vedremo più avanti) nemmeno nei paesi dell’ALBA bolivariana, che pure il documento ci porta ripetutamente ad esempio.

Come mai? Rivolgiamo questa modesta domanda tanto ai cultori dell’euro ad ogni costo, quanto a chi ci dice che sfatta una moneta unica o ne facciamo un’altra alla svelta o siamo destinati a precipitare in una specie di Medioevo prossimo venturo.

Sia chiaro, qui non si tratta di negare i problemi derivanti dall’uscita dall’euro. Anzi, è proprio per questo che dobbiamo discutere a fondo. Ma francamente certe semplificazioni non aiutano a trovare la via d’uscita più efficace per sganciarsi dal capitalismo casinò e per difendere al meglio gli interessi del popolo lavoratore in una prospettiva che, per noi come per la Rdc, è quella del socialismo.

Abbiamo già citato il caso dell’Alleanza Bolivariana per i popoli di Nuestra America (ALBA), più volte indicato come modello nel documento in questione. Un’esperienza importante, fondata su principi molto avanzati, che si colloca certamente nella prospettiva del Socialismo del XXI secolo. E, tuttavia, un’esperienza da vedere un po’ meglio se non vogliamo cadere in un’altra semplificazione.

L’ALBA nacque come alternativa al vecchio dominio nord-americano, e come risposta all’ALCA, un’area di libero scambio voluta dagli USA. Attualmente ne fanno parte 8 paesi, ognuno dei quali mantiene però una propria moneta. Tra questi paesi l’Ecuador mantiene il dollaro USA, tre piccoli stati caraibici (Antigua e Barbuda, Dominica, Saint Vincent e Grenadine) usano il dollaro dei Caraibi orientali, anch’esso legato al dollaro USA. Cordoba, Bolivar, Boliviano e Peso cubano, sono rispettivamente le monete di Nicaragua, Venezuela, Bolivia e Cuba.

Come si vede un quadro assai articolato, e senza alcuna unione monetaria. Nel 2009 è però nato il Sucre (Sistema unitario di pagamento a compensazione regionale), una sorta di moneta soltanto virtuale che viene utilizzata solo per le registrazione delle operazioni tra banche centrali. Si tratta di un meccanismo concepito sia per equilibrare i commerci interni all’ALBA, sia per ridurre il peso e la dipendenza dal dollaro.

Obiettivi sacrosanti, ma ad oggi, secondo quanto affermato dal presidente del Banco Centrale del Venezuela, Eudomar Tovar (citato da Granma International), lo scambio commerciale mediante il sistema unitario raggiungerà quest’anno il valore di appena 750 milioni di Sucre, equivalenti a 850 milioni di dollari, a fronte di un Pil dell’ALBA che è pari a circa 669 miliardi di dollari. Come dire, una goccia nel mare.

Sta di fatto che i pagamenti agli esportatori e la riscossione dagli importatori si effettuano con le monete di ognuno di questi paesi anche per gli scambi interni all’ALBA, mentre lo stesso Venezuela è ancora costretto ad emettere titoli del debito pubblico in dollaro ed euro.

Se mi sono dilungato sull’ALBA è giusto per evidenziare una cosa: che anche nel più avanzato tentativo di sganciamento dal capitalismo casinò, e nel caso specifico dalla dominazione nord-americana, ci si è ben guardati dal correre verso unificazioni politiche e/o monetarie. E, del resto, i principali protagonisti dell’ALBA (basti pensare a Cuba e Venezuela) hanno percorso vie rivoluzionarie assai diverse, ed in tempi assai distanti tra loro. Alla fine questi percorsi si sono positivamente incontrati, ma nei limiti di cui abbiamo già detto.

Ben venga allora un’ALBA mediterranea, purché se ne abbiano chiare le caratteristiche, e tenendo anche conto di una minore omogeneità culturale di quest’area rispetto ai paesi dell’America latina che hanno intrapreso questa strada.

Il tabù della sovranità nazionale ed il positivo dibattito nel Prc

Torniamo allora al cuore del problema: l’uscita dall’euro, la riconquista della sovranità nazionale. Se ad una strada “semplice” (semplice concettualmente, non certo praticamente), come quella del ritorno alla valuta nazionale, si preferiscono ipotesi confuse e/o irrealizzabili e/o (se realizzate) controproducenti, una ragione deve pur esserci.

Da cosa dipende allora tutto questo dimenarsi per scartare il semplice e preferire l’impossibile? La risposta purtroppo è davvero facile: dipende da un vero e proprio tabù, quello della sovranità nazionale. Due parolette che mancano del tutto nel documento della Rete. Non solo, infatti, non si affronta la questione nazionale, ma neppure quella della sovranità. Chi la eserciterebbe in una entità come quella sovra-nazionale, ma non pienamente statuale che verrebbe fuori dalle tesi della Rdc? Ecco una domanda che non ha risposta. E non per caso.

Rifiutando il tema della sovranità si finisce infatti per svilire anche il concetto di democrazia, che notoriamente si esercita sempre in un ambito ben definito. L’ambito può essere nazionale, sovra-nazionale, continentale, mondiale, ma anche regionale, comunale, condominiale od intergalattico, però alla fine deve pur essere definito.

Spiace dirlo, ma sembra invece che si sia introiettato il pensiero unico del capitale, laddove l’assenza di confini serve solo ad estendere ed approfondire il dominio incontrastato dei centri di potere della finanza mondiale.

Finora ci siamo occupati del documento della Rdc, ma ancora più rivelatore della sua grossolanità teorica è un volantone diffuso dalla stessa organizzazione. In esso si legge:

«I paesi PIGS (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna) si possono e si devono coordinare gli sforzi per uscire insieme dalla schiavitù dei vincoli europei, inclusa l’Eurozona e dunque dall’Euro come moneta. Non è una ipotesi velleitaria. Velleitario e ingannevole è solo chi pensa ad un ritorno alla Lira, una via d’uscita nazionalista e reazionaria . Noi, al contrario, riteniamo di poter avanzare una alternativa internazionalista ed emancipatrice per l’insieme dei lavoratori, dei ceti popolari e le fasce di popolazione in via di impoverimento». (sottolineatura nostra)

Dunque, secondo questi teorici da operetta, il ritorno alla lira sarebbe semplicemente una via d’uscita «nazionalista e reazionaria». Oh bella! Sembra di sentir parlare gli euristi più arroganti, i Prodi, i Monti, i Letta, i Saccomanni. Suvvia, sveglia! Sostenere una tesi di questo genere significa rinunciare ad un progetto realistico di uscita da sinistra, spianando, di conseguenza, la strada alle forze di destra.

Sostenere che il tema della sovranità nazionale sia per sua natura di destra è semplicemente aberrante ed anti-storico. Seppero farlo proprio – e fu un elemento decisivo nelle rispettive vittorie – i comunisti cinesi, vietnamiti, cubani, jugoslavi. E fu un punto forte degli stessi comunisti italiani negli anni migliori della loro storia, ma anche di quelli russi nel momento della grandiosa resistenza al nazismo.

Ed oggi, di fronte all’emergenza economica e sociale, la riproposizione di questo tabù genera solo impotenza politica, l’assenza di una proposta credibile. Fino ad oggi questo atteggiamento – apparentemente ultra-rivoluzionario, praticamente velleitario ed inconcludente – era tipico delle principali correnti trotzkyste, ma evidentemente il virus si è nel frattempo diffuso…

Il bello è che, lo abbiamo ricordato all’inizio, la discussione sulla sovranità si è invece finalmente affermata in ambienti più vasti della sinistra, laddove fino a poco tempo fa questa discussione sarebbe stata semplicemente considerata un’eresia rispetto all’impostazione classica del globalismo bertinottiano.

Restando all’Italia (altrove le cose vanno meglio), è quanto sta avvenendo nella discussione congressuale di Rifondazione Comunista. In questa discussione, non solo uno dei due documenti di minoranza è esplicitamente per l’uscita dall’euro e per la riconquista della sovranità popolare e nazionale, ma questi obiettivi sono posti in maniera ancor più forte da due emendamenti (primo firmatario Ugo Boghetta) al documento politico di maggioranza. Ed anche in quest’ultimo testo il tema della sovranità nazionale fa capolino, certo in maniera insufficiente, ma di sicuro assai significativa.

Questo significa che in quel partito si stanno aprendo le porte ad una vera e propria revisione strategica? Ovviamente no. Un giudizio del genere sarebbe prematuro, e molto dipenderà dall’esito congressuale. Segnaliamo tuttavia questi fatti per evidenziare che la situazione è in movimento e che, al di là delle diverse posizioni esistenti, il tema della sovranità resta un tabù ormai solo per pochi. Tra questi pochi, il professor Vasapollo e la sua organizzazione.

Come abbiamo visto questo tabù produce danni assai seri, crea confusione, e rende impossibile una proposta forte, quella di un’uscita da sinistra dall’euro, portata avanti da forze che sappiano coniugare la questione di classe con quella nazionale. Un collegamento oggettivo, reso evidente sia dallo strangolamento dell’economia nazionale ad opera dell’èlite eurista, sia per lo schierarsi dei settori dominanti della borghesia italiana con quelle stesse oligarchie. Dunque, battersi contro l’euro, e per la riconquista della sovranità nazionale, non significa soltanto lottare contro la Merkel, significa anche combattere contro i veri centri del potere capitalista in Italia.

E’ solo con questa consapevolezza, e con questa impostazione, che sarà possibile porre con forza il tema della costruzione di un blocco sociale sufficientemente ampio per sfidare le oligarchie dominanti. Senza di che, questa è la vera posta in palio, saranno inevitabilmente formazioni di destra a prendere in mano le redini del gioco. In Italia, e magari anche nel resto del Mediterraneo…

2 pensieri su “la sinistra e l’euro (12) IDEE POCHE MA CONFUSE. Una critica alla tesi dell’euro del Sud. di Leonardo Mazzei”

  1. Anonimo dice:

    Demetrio"Spiace dirlo, ma sembra invece che si sia introiettato il pensiero unico del capitale, laddove l'assenza di confini serve solo ad estendere ed approfondire il dominio incontrastato dei centri di potere della finanza mondiale."Parole sante.La sovranità nazionale è conditio sine qua non per Libertà e Democrazia.

  2. Georgejefferson dice:

    Con tutto il rispetto.non vogliono proprio togliere i paraocchi.Accecati dallo Stato Nazione brutto fascista.Le ragioni economiche,di prassi(purtroppo forse)determinano le ragioni politiche.Non capiscono che economie e sistemi diversi vanno prima costruiti in simili per agevolarsi di una moneta comune e solidalizzare.Anche nell'area Med ci sarebbero squilibri insostenibili,i paesi in deficit saranno sempre piu in deficit e il contrario gli altri,Noi Italia saremmo avantaggiati,il valore della moneta Med all'estero dell'area diverrebbe sottovalutato per noi,andremmo in surplus avendo beni e servizi per l'estero piu scontati di quello che imporrebbe i fondamentali.Gli altri l'avrebbero sopravvalutata, andrebbero in deficit (si intende BdP) avendo beni e servizi per l'estero troppo apprezzati a seconda dei loro fondamentali economici.Puoi chiudere la circolazione dei capitali con l'estero ed imporre indicizzazioni ma non sarà abbastanza,devi trasferire contributi netti agli altri come Italia Lira Nord/sud,anche per sostenerli come propria fetta di mercato di sbocco,oppure fregarli (sic) come han fatto con noi con i trasferimenti a debito i paesi euro core.In piu (storia d'Italia insegna)Sarranno ancora masse di persone a doversi spostare e poi (al saldo dei debiti/crediti per via di shock esterni) riapparira il conflitto e odio tra i paesi.Niente,non vogliono proprio capirla la macroeconomia nei fondamentali,come non esistesse,va bene,non esiste,la storia si vedrà da se

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