ABYSSUS ABYSSUM INVOCAT. Lo spauracchio del fascismo e come non si combatte contro di esso di Moreno Pasquinelli
30 dicembre. E’ ancora presto per stabilire cosa resterà del Movimento del 9 dicembre, giornalisticamente liquidato come “i forconi”. Questa semplificazione ci aiuta tuttavia ad abbozzare una risposta, ovvero che esso potrebbe presto rioccupare la ribalta sociale.
Torniamo infatti al potente movimento che paralizzò la Sicilia nel gennaio 2012. Noi del Mpl fummo tra i pochi che, oltre a sostenerlo, intuimmo che esso non era una meteora. Non fu per caso se Mariano Ferro fu uno degli ospiti, nel marzo 2012, della nostra assemblea costitutiva.
Il Documento conclusivo di quella assise sosteneva:
«In questo contesto [di acutissima crisi sociale, Ndr] non c’è dubbio che emergeranno dal basso nuovi protagonisti. Come risultato del fallimento delle classi dominanti e dei loro partiti, entreranno in scena nuovi soggetti, sociali e politici, che saranno costretti a farsi largo nel solo modo che gli è consentito: la lotta diretta, la sollevazione. Che fisionomia avranno queste forze? Saranno quelle che la crisi economica e sociale, giunta dopo un ventennio di disgreganti politiche liberiste, ha già configurato. Tutto il popolo lavoratore è straziato dalla crisi sistemica: occupati e disoccupati, lavoratori dipendenti e autonomi, operai e commercianti, operai e artigiani, giovani e pensionati, agricoltori e impiegati». [Non c’è tempo da perdere]
Che dopo quasi due anni il Movimento del 9 dicembre si sia riallacciato alla rivolta siciliana del gennaio 2012 (non fosse che per il riconfermato ruolo di protagonista di Mariano Ferro e per le medesime modalità di lotta scelte) ci dice che vedemmo giusto, che i forconi erano il vagito di un neonato fenomeno sociale. Alcuni sinistrati snobbarono invece i forconi come una sicula jacquerie o, peggio, lo condannarono come fascistoide, malgrado la subitanea rottura dell’ala Ferro con quella minoritaria del trapanese Martino Morsello.
Lo stesso anatema, l’accusa di essere un fenomeno di tipo fascista, è stato inizialmente lanciato da certi “babbei” anche contro il Movimento del 9 dicembre. Siccome sin dall’inzio abbiamo preso parte al Movimento, i medesimi “babbei” ci hanno bollato come rosso-bruni, tacciati di esserci alleati ai fascisti e di agevolare dunque la loro avanzata.
L’incriminazione di rosso-brunismo è evaporata presto, non solo per come i militanti del Mpl hanno agito concretamente, ma anzitutto perché il giudizio su cui essa si fondava, ovvero che il 9/12 era un fenomeno fascista e reazionario, si è rivelato completamente sballato. I suddetti “babbei” han dovuto infatti compiere una maldestra e opportunistica marcia indietro. Resipiscenza? Per niente! Essi hanno raddrizzato il tiro solo dopo che da più parti, a sinistra, gli hanno tirato le orecchie per le loro analisi tanto primitive e grossolane. I “babbei” possono scoprirsi furbi, ma non gli si addicono né saggezza né onestà intellettuale. Vanno presi sul serio, ma senza esagerare.
Non tutti i sinistrati tuttavia sono in malafede o affetti da opportunismo. Ad altri si deve riconoscere onestà intellettuale, per quanto involucrata in un disarmante dottrinarismo. Questi dogmatici dopo aver sostenuto che:
«E’ completamente fuori strada chi, dopo aver appoggiato il M5S, ora appoggia e partecipa a movimenti di questi tipo per cercare di “spostarli” a sinistra. Sono posizioni pericolose che contribuiscono solo a rallentare la vigilanza nei confronti del pericolo di destra, a ostacolare la mobilitazione del proletariato nella lotta contro l’offensiva reazionaria, e che rischiano di gettare nelle braccia della reazione più nera i suoi settori arretrati»;
hanno quindi esibito un noto passaggio del Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels:
«I ceti medi, il piccolo industriale, il piccolo negoziante, l’artigiano, il contadino, tutti costoro combattono la borghesia per salvare dalla rovina l’esistenza loro di ceti medi. Non sono dunque rivoluzionari, ma conservatori. Ancora più, essi sono reazionari, essi tentano di far girare all’indietro la ruota della storia. Se sono rivoluzionari, lo sono in vista del loro imminente passaggio al proletariato; cioè non difendono i loro interessi presenti, ma i loro interessi futuri, abbandonando il proprio modo di vedere per adottare quello del proletariato».
Per costoro questa frase è univoca, una specie di sentenza passata in giudicato: la piccola borghesia, nel caso entri in rotta di collisione con la borghesia, non può che farlo per scopi reazionari, poiché reazionario sarebbe da parte sua opporsi alla propria rovina, alla ineluttabile proletarizzazione.
Dal punto di vista psicologico siamo davanti ad un irrazionale e cieco disprezzo della piccola borghesia poiché essa, ove si ribelli alla classse dominante, può solo partorire fascismo. Poggia forse, questo timor panico, su basi storiche? Ovviamente no. Su che poggia allora? Siamo in presenza di una trasposizione sul piano politico del discorso metafisico del male, l’idea innatistica che senza la Grazia, a prescindere da ogni loro opera, gli uomini avrebbero incise sulla loro carne, a causa del peccato originale di Adamo ed Eva, le stimmate della perdizione.
I dogmatici rassomigliano come gocce d’acqua e anche per altri versi ai rigoristi ed ai tradizionalisti religiosi. Per questi ultimi tutto ciò che doveva essere detto riguardo alla Verità starebbe scolpito nei Sacri libri. I comuni mortali potrebbero semmai limitarsi a rendere esplicito, della parola Divina, ciò che è implicito, decodificando i passaggi eventualmente esoterici e criptici.
Non è che ci piaccia trastullarci nell’esegetica, ma la frase che i dogmatici ci oppongono ha un carattere evidentemente anfibologico, contiene una doppia chiave interpretativa. Marx non dice infatti che i ceti medi sono metafisicamante condannati ad essere reazionari. Egli ammette, anche se lo fa con locuzione ellittica, che possono assolvere la funzione opposta, addirittura rivoluzionaria.
Marx ci invita dunque, per giudicare la natura di un dato movimento sociale, a non fermarsi alle sue premonizioni, ma a svolgere un’indagine specifica e multilaterale, ovvero non meramente sociologica, ma politica e oseremo dire morale e spirituale.
E’ certo che dal punto di vista sociologico il Movimento del 9 dicembre è stato principalmente (ma non solo, come vedremo) un sussulto di ceto medio imbestialito. E non c’è dubbio che si è trattato di una rivolta causata da uno dei macroscopici effetti della crisi sistemica: la sua pauperizzazione.
I dogmatici a questo punto esclamano: “Ecco, vedete?! Questi schifosi bottegai si rifiutano di diventare dei proletari”. Come se si dovesse esser contenti per l’essere gettati sul lastrico; come se, per dar prova del proprio carattere anticapitalistico, i ceri medi noin dovrebbero incazzarsi contro chi li spinge alla fame, ma dovessero fare salti di gioia per il fatto di diventare finalmente schiavi salariati.
Lasciamo questi discorsi puerili ai mistici della (inesistente) verginità proletaria.
Fascista è la rivolta del ceto medio quando, invece di identificare nelle oligarchie capitalistiche il proprio nemico, in combutta con esse, lo individua nel proletariato rivoluzionario e gli si scaglia contro per schiacciarlo con la forza.
Corrisponde a questo elementare ma decisivo criterio il Movimento del 9 dicembre? E’ ovvio che no! E per almeno quattro buone ragioni.
La prima è che manca all’insorgere di una reazione fascista il suo principale movente: l’esistenza di un movimento proletario-rivoluzionario di massa e offensivo, tale da spaventare il ceto medio e renderlo disponibile come mano armata extralegale del grande capitale. Detto in soldoni: il fascismo è una delle forme della controrivoluzione, più precisamente un arnese della guerra civile preventiva per schiacciare sul nascere la rivoluzione socialista montante. Non fosse che per questo ogni analogia tra la fase che viviamo e quella in cui dilagò il fascismo è improponibile.
La seconda ragione per cui il Movimento del 9 dicembre non corrisponde ad un idealtipo di movimento fascista o reazionario è la piattaforma su cui i promotori hanno chiamato alla mobilitazione. Vale la pena ricapitolare i suoi sette punti: «(1) contro la globalizzazione, (2) contro l’Unione europea, (3) per riprendersi la sovranità popolare e monetaria, (4) per riappropriarsi della democrazia, (5) per il rispetto della Cosituzione, (6) per cacciare il governo dei nominati, (7) per difendere la dignità del popolo italiano».
Il carattere democratico di questa piattaforma salta agli occhi. Occorre scambiare l’internazionalismo con la globalizzazione (e quindi considerare di “regressiva” la rivendicazione della sovranità nazionale), o agitarsi sotto la sottana del Pd (e chiedere “più Europa”), per considerarla “reazionaria”.
La terza ragione è nella natura politica dei suoi leader. Non la si può ricavare considerando il fattore che essi originano dalla putrefazione del berlusconismo e del leghismo. Se, liberi dalla sindrome dell’antiberlusconismo, si valutassero invece le ragioni e il carattere di questo divorzio, si scoprirebbe facilmente quanto esso sia progressivo e lontano dai fantasmi della fascistizzazione . A chi usa queste origini come atto d’accusa contro i ferro e i Chiavegato vorremmo quindi chiedere con quali soggetti sociali pensa di cambiare questo paese. Forse coi tre cosiddetti milioni che hanno fatto la fila alle primarie del Pd? O solo con i cascami della “sinistra radicale” che fu? Ammesso che Danilo Calvani sia un fascistoide, la scissione di quest’ultimo con la maggior parte dei portavoce del Movimento —dopo la pagliacciata romana del 18 dicembre anticipata dal comunicato stampa seguito alla furbesca adesione di Forza Nuova—, è la prova fattuale che questo Movimento si è spurgato presto della sua anima macabra e reazionaria.
La quarta ragione sta nella composita natura sociale del movimento che dal 9 dicembre si è effettivamente messo in moto, ovvero dal fatto che la gioventù proletaria e precaria ha presto, e in molti luoghi, occupato la prima linea dei presidi. Certo a questa epifania non ha corrisposto un livello adeguato di cosiddetta “coscienza di classe”. E’ vero che il tricolore è stato issato come simbolo coesivo e che il comune sentire si esprimeva nel luogo comune “non siamo né di destra nè di sinistra”. Solo chi in questi decenni è vissuto nella sua sterile e paralizzante bolla ideologica poteva aspettarsi qualcosa di diverso.
Chiediamoci: sono questi due simulacri segno della natura reazionaria della rivolta? E come ci spieghiamo che in questi ultimi anni, nelle stesse battaglie di resistenza degli operai —a cominciare dai 21 giorni di lotta alla FIAT di Melfi del 1994 che davanti alla carica della polizia si sedettero a terra cantando non bandiera rossa ma l’inno di Mameli, fino a quelle degli autoferrotranvieri di Genova dei primi giorni di dicembre—, abbiamo udito gli stessi discorsi e usare gli stessi simboli?
Non c’è alcuna muraglia cinese, né materiale né ideologica, tra gli operai e il ceto medio. E’ egemone in entrambi queste classi, l’ideologia liberista ed eurista dominante. Il Movimento 9 dicembre ha una straordinaria importanza, non fosse perché segnala il tramonto della presa ideologica del neoliberismo non più solo negli ambienti sociali che gli erano storicamente refrattari, ma in quel vasto ceto medio che per decenni era la sua roccaforte.
Chi voglia cambiare lo stato di cose presenti è anche in questa mucillaggine sociale, portata ad un alto grado di ebollizione dalla crisi sistemica, che deve agire. Ogni rivoluzione sociale si fa col materiale umano che ti consegna la crisi capitalistica (si badi: non lo sviluppo o la crescita, ma la crisi del capitalismo). Chi è atterrito dal rischio di contaminazione non solo crede poco in sé stesso, chiudendosi nella sua turris eburnea non salverà nemmeno la sua presunta “purezza”, e non potrà di certo contribuire a guarire il popolo dalle sue numerose malattie. E la guarigione implica la lotta, una lotta furibonda, che consiste anzitutto nell’aiutare gli oppressi a scrollarsi tutta la merda che secoli di sudditanza hanno loro appiccicato addosso.
Dal di dentro della rivolte dunque, non dal di fuori, è possibile evitare lo sbandamento o la degenerazione reazionaria dei movimenti sociali.
Per concludere. Non noi, ma la storia, condanna le posizioni dei nostri critici come oggettivamente filo-fasciste. Anche ove il Movimento 9 dicembre fosse stato permeato a fondo di pulsioni reazionarie (e abbiamo visto che così non è stato) la sinistra sovranista avrebbe dovuto prendervi parte e di lì contrastare a viso aperto le tendenze fasciste. Scomunicare le rivolte della piccola borghesia, prenderne le distanze a causa del loro carattere spurio è il miglior servizio che si possa fare ai demagoghi e agli avventurieri, significa lasciare loro campo libero. Agitare compulsivamente lo spauracchio del fascismo quando esso è (ancora) solo un lontano fantasma, più che un invito ragionevole alla “vigilanza” è il sintomo infallibile delle proprie ossessioni paranoiche.
Quel che i paranoidi non capiscono (e comincia ad essere tardi per capirlo) è che il nemico del giorno non sono i nostalgici del fascismo che fu, bensì il mostruoso regime di dittatura globalista che è venuto consolidandosi in nome dell’Europa e della democrazia. Toglietegli i suoi travestimenti ideologici e scoprirete che si tratta a tutti gli effetti di un fratello gemello del fascismo, ovvero della dittatura del capitale finanziario alla sua ennesima potenza.
C’è vita in mezzo a chi l’ha capito e ha deciso di ribellarsi. Afflizione e pena, invece, nella palude di una sinistra malata che rifiuta cocciutamente di sottoporsi a guarigione.
"il mostruoso regime di dittatura globalista che è venuto consolidandosi in nome dell'Europa e della democrazia"… e per conto dell'impero USA, che ha giocato tutte le sue carte nella partita del capitale finanziario.Trasformare la nascente Europa nel principale complice del baro bisogna riconoscere che è stato un colpo da maestri."Toglietegli i suoi travestimenti ideologici e scoprirete che si tratta a tutti gli effetti di un fratello gemello del …"Fascismo? Sì, certo, da alcuni punti di vista. Ma ci sono anche altre chiavi di lettura che allargano gli orizzonti della verità storica, non contradditorie ma complementari.Il lavoratore "sotto Hitler" e il lavoratore "con la Merkel" non distano neppure un secolo. Cos'hanno in comune? Un "male assoluto"? No, un male relativo, del quale nessuno è immune, il proprio tornaconto, relativo beninteso. E cos'altro non è relativo tra gli umani?Se fosse così facile smascherare fino in fondo i "travestimenti ideologici" non saremmo a questo punto, la svolta sarebbe chiara e univoca da un pezzo. E invece c'è bisogno ancora di sperimentare, e rivendicare la libertà di poterlo fare.Sono un po' fuori tema, ma perchè fondamentalmente più che d'accordo su tutto il resto.
Condivido appieno. La totale perdita della centralità dei valori anti-capitalisti nella ex sinistra italiana è il definitivo trionfo della mentalità degasperiana, filo-atlantica capitalista e reazionaria, che ha totalmente inglobato nel pallido moralismo cattolico laicizzato tutte le forze presenti nella nazione, riducendole ad una filiale solo apparentemente non cattolica della DC.
[…Trasformare la nascente Europa nel principale complice del baro bisogna riconoscere che è stato un colpo da maestri…]La cosiddetta Europa è nata e vive in quanto propaggine (per quanto privilegiata) della pax imposta dal conquistatore anglosassone. Perfino nella bandiera stellata ha voluto assomigliare al suo padrone. Non c'è stato bisogno di "trasformare" niente. La dittatura europea ha semplicemente (e pedissequamente) seguito la parabola di ascesa e adesso di decadenza del sovrano d'oltreoceano.
Se ben capisco quando parlate dei BABBEI vi riferite in particolare alle Rete dei comunisti (contropiano) che vi hanno chiamato in ballo pesantemente come "rossibruni". Caso davvero singolare quello di questi compagni. Non hanno esitato ad esaltare la protesta dei tassisti romani, ben più "fascisti" dei "forconi". Perché due pesi e due misure? Ve lo dico io: non solo vi temono, voi intendo come Mpl che intuiscono che siete una delle poche speranze che restano a sinistra. Questi da un po' di tempo sono con l'acqua alla gola e corrono dietro ai blocchi precari metropolitani e al loro estremismo sociale.Anni addietro la rete non avrebbe assunto posizioni talmente estremistiche e rozze.
a sinistra quando non si capisce qualcosa si grida: "al fascio al fascio"venendo a cose più serie mi sembra che l'analisi delle cause della crisi che Sollevazione(e tanti altri) vuole proporre poco si attaglia alla peculiare situazione italiana, dove più che il neoliberismo molto ha fatto lo statalismo (sindacati, confindustria, ceto politico della prima e seconda repubblica), evitando in oltre trentanni di prendere quelle misure necessarie a mantenere il bel paese sufficientemente attraente per l'investimento industriale, mantenendo, in chiave difensiva del proprio status quo, altissimo il tasso di parassitismo e conservatorismo sociali, resa inetta la classe imprenditoriale, insostenibile il welfare (evasione fiscale compresa), inefficiente e gigantesco il pubblico impiego, insopportabile il drenaggio fiscale per chi paga ecc.Da un punto di vista squisitamente capitalistico è così che si impoverisce un paese e giustamente questo chiedono le classi medie che hanno dimostrato di capire, al contrario di un inesistente proletariato -che o ha coscienza oppure non è nulla, questo scarto fra realtà sociale e politica (la prima espressione di queste esigenze fu -più a chiacchiere- la Lega). A me sembra che l'ipotesi sovranista di sinistra (e per altri versi anche quella di destra e di centro) svii sia dalle esigenze di rifluidificare la redditività dell'accumulazione capitalistica sia dalle esigenze di un proletariato che per ora ha davanti solo la propria incoscienza. da
Ma da dove viene questo "da"? Da quale pianeta è sbarcato? Da incorniciare questa: "A me sembra che l'ipotesi sovranista di sinistra (e per altri versi anche quella di destra e di centro) svii sia dalle esigenze di rifluidificare la redditività dell'accumulazione capitalistica sia dalle esigenze di un proletariato che per ora ha davanti solo la propria incoscienza". Vabbè…Qualcuno lo informi che "sovranismo" non è una specie di sinonimo di "nazionalismo". Il sovranismo è, per forza di cose, almeno "statalista". Dico "almeno", e ribadisco "almeno". Si informi. Che poi ci siano amici come quelli di MPL che partendo dallo "statalismo" (che è, ripeto, il minimo sindacale per qualificarsi come "sovranisti") desiderano andare oltre… beh, questo può essere un bel dibattito.Ma "rifluidificare la redditività dell'accumulazione capitalistica"… e daje!
«DA».. MA DA-JE!?? "Sviamo dalla "esigenze di rifluidificazione della redditività del capitale" (sic!).MA CHE CAZZO DI DISCORSO STRAMPALATO E' MAI QUESTO? Noi non vogliamo "sviare", vogliamo contrastare la tendenza immanente del capitale alla sua valorizzazione, che nel contesto di capitalismo-casinò è la tendenza speculativa a ottenere guadagni anzitutto via rendita e interesse, quindi a spese non solo del lavoro salariato ma della comunità tutta intera.Questa tendenza del capitale finanziario abbisogna della propria totale libertà di movimento e dunque di fare piazza pulita delle sovranità statuali.Rirpistinare queste sovranità è, oggi come oggi, una misura necessaria se si ha a cuore il bene comune, e solo mettendo al centro questo bene comune si può pensare di fare dell'anticapitalismo una pratica sociale e non una vuota declamazione.
"Quel che i paranoidi non capiscono (e comincia ad essere tardi per capirlo) è che il nemico del giorno non sono i nostalgici del fascismo che fu, bensì il mostruoso regime di dittatura globalista che è venuto consolidandosi in nome dell'Europa" e, quel che più terrorizza, aggiungerei mascherato da democrazia.Adoperare una qualificazione impropria, obsoleta, equivoca, anacronistica e polisemantica come quella di "fascista," ormai simile al pomodoro che va bene in tutte le salse che si vuol mandare a male, vuol dire non solo non aver capito nulla di come e dove sta andando il mondo, ma essere del tutto ignoranti della storia degli ultimi cento anni. E' una prassi che funziona ancora però egregiamente per dividere le forze che sentono di dover opporsi , pena l'estinzione e il soffocamento, alla schiavizzazione e allo sterminio mondiale delle classi oppresse perché rinfocola vecchi odi e rancori residuo appunto degli ultimi cento anni. Divide et impera: funziona sempre purtroppo nei confronti di certe menti obnubilate da ideologie utopiche fascinose ed anche ahimè pure artificiose , ma divenute fossili a causa dell'evolversi delle situazioni storiche.
Eh no Anonimo! Chiamare questa eurocrazia "fascista" non solo è corretto ma correttissimo. Perché allora mi si spieghi con quale diritto ci sono importanti politici che dicono che quest'Europa è come l'URSS, quindi rievocando sommessamente il comunismo. Quello non è dividi et impera per caso?W. Wilson
STIAMO AL PUNTOStiamo dicendo, tra l'altro, che la lotta antifascista non è in primo lugo un menar le mani, che è anzitutto una battaglia politica. Che questa battaglia si svolge si svolge dunque sui livelli squisitamente politico, ma pre cuturale ed etico-morale. Stiamo dicendo che, malgrado il fascismo non sia affatto, oggigiorno, un nemico davvero pericoloso, la guardia deve restare alta, ma tenerla alta implica appunto sfidare politicamante e pubblicamente i fascisti, prima di tutto nei luoghi ove i cittadini si mobilitano e protestano.L'alleanza ampia dei sovranisti contro la dittatura aeurocratica ha un limite invalicabile: la democrazia. Lana caprina? per niente, poiché solo entro questo limite la lotta contro gli eurocrati e i globalisti che la democrazia stanno facendo a pezzi, può sperare di avere credibilità e quindi avare successo.