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SÌ AL REFERENDUM PER USCIRE DALL’EURO di Giorgio Cremaschi

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16  maggio. Volentieri segnaliamo ai lettori questo lucido intervento di Giorgio Cremaschi (nella foto). Un altro segnale importante che crescono, a sinistra, coloro che si vanno sbarazzando del tabù dell’euro.


A trent’anni dalla scomparsa di Enrico Berlinguer vorrei ricordare, tra le sue scelte scomode allora come oggi, la decisione del 1979 di rompere con i governi di unità nazionale dicendo no all’adesione dell’Italia allo SME. Il trattato che definiva allora il cosiddetto serpente monetario era il primo passo verso la moneta unica. Il PCI decise di opporsi a quel trattato anche per uscire dalla disastrosa politica di unità nazionale con la Dc, ma le motivazioni usate contro la rigidità della moneta, e allora il liberismo veniva chiamato non a caso monetarismo, valgono ancora oggi.

Nella Banca d’Italia era stata appena liquidata la gestione del governatore Baffi, che era stato arrestato insieme al direttore Sarcinelli, su mandato del giudice neofascista Aliprandi. Successivamente furono entrambi completamente scagionati e l’inchiesta su di loro si rivelò completamente falsa. Ma intanto la Banca d’Italia era stata decapitata ed aveva cambiato completamente politica monetaria. Infatti la scelta distintiva del governatorato di Baffi era stata proprio la manovra sulla moneta. La lira veniva rivalutata rispetto al dollaro, in modo da rendere meno pesante la bolletta energetica, e svalutata rispetto al marco, per sostenere la produzione industriale. Baffi motivò esplicitamente queste scelte con la necessità di non svalutare i salari e fu l’unico governatore a non demonizzare la scala mobile e il sistema di protezione sociale.

Lo SME invece mise al centro della politica economica la rigidità monetaria, adottando quel liberismo che andava al governo in Gran Bretagna con Thatcher e negli Usa con Reagan. I nostri primi interpreti di quella svolta furono il governatore Ciampi e il ministro del tesoro Andreatta. Che assieme decisero nel 1981 la separazione del Tesoro dalla Banca d’Italia, con il conseguente obbligo di vendere sul mercato i BOT per finanziare la spesa pubblica. E con l’attacco alla indicizzazione dei salari che ebbe il suo apice in quel decreto Craxi di taglio della scala mobile, contro cui Enrico Berlinguer fece la sua ultima battaglia.

In sintesi l’euro e la perdita formale della sovranità monetaria a favore della BCE sono il punto di arrivo, e non la partenza, di un sistema di accordi e decisioni che avevano un obiettivo dichiarato: rendere impossibili le politiche economiche Keynesiane, imporre gli interessi della globalizzazione finanziaria e dei mercati come vincoli insuperabili per gli stati. Il pareggio di bilancio in Costituzione, votato da noi anche dalla destra oggi anti euro, è l’ultimo atto formale di tale politica trentennale.

L’effetto euro sulle economie europee è stato duplice. Da un lato la moneta unica è stato lo strumento per istituzionalizzare ovunque le politiche liberiste. La Grecia è stata distrutta con il ricatto della sua espulsione dall’euro. Da noi lo slogan “lo vuole l’Europa” ha accompagnato ogni operazione di smantellamento dei diritti del lavoro e dello stato sociale. D’altro lato la moneta unica forte ha finito per mettere alla pari economie che pari non erano, facendo della zona euro non un’area di crescita comune, bensì il campo di battaglia della competizione estrema. Di questo si è avvantaggiata profondamente l’economia tedesca, che con il governo socialdemocratico Schroeder all’inizio del duemila ha colpito duramente i diritti del lavoro, aprendo così la via all’era Merkel.

La depressione salariale da sola non fa competitività, ma se si somma ad un sistema industriale forte che gode di una moneta particolarmente favorevole, allora la fa eccome. Perché l’euro desse risultati economici con un minimo di equilibrio ci sarebbe voluto un boom salariale in Germania. Invece sono nati a milioni i cosiddetti minijob, lavori precari con paghe da pochi euro l’ora, per i quali dal Belgio son partite denunce alla corte di giustizia europea a causa delle delocalizzazioni che hanno lì provocato. E questa politica continua oggi in primo luogo per opera della socialdemocrazia e della complicità sindacale. La legge sul salario minimo, vantata come un successo progressista, è in realtà una formalizzazione del dumping sociale. Stabilire che nel 2017 la paga minima in Germania sarà di 8,50 euro all’ora, quando ora in Francia è di 10, significa usare l’euro come arma di devastazione economica di massa.

Ora i due partiti che guidano l’Unione Europea, la Germania e gli altri principali governi, PSE e PPE, promettono un allentamento dei lacci delle politiche di austerità. Ma mentono sapendo di mentire perché in realtà il sistema euro, con i suoi trattati non rinegoziabili, da Maastricht al fiscal compact, non prevede alternative alle politiche liberiste. O salta o continua come sempre, e proprio di questa rigidità si fa forte la signora Merkel, che così ha spianato ogni debole ostacolo da parte della SPD.

Tre anni fa una intervista di Giuliano Amato a Rossana Rossanda puntava sul ritorno al governo dei socialisti in Francia e Germania per farla finita con l’austerità. Non voglio infierire, certo il centrosinistra europeo è oramai una formazione social liberale che ha ben poco della sinistra, ma la realtà è che il sistema europeo non è riformabile. Le tre misure più avanzate di cui si discute in campagna elettorale, condono di una parte del debito per i paesi del sud Europa, eurobond, trasformazione della BCE in un istituto che dia i soldi direttamente agli stati e non alle banche, non son realizzabili senza cancellare, e non semplicemente aggiustare, i trattati che stanno a presidio dell’euro. E in ogni caso sarebbero impedite da qualsiasi governo tedesco.

Chi sostiene queste misure dovrebbe aggiungere: o si fa questo, o salta la baracca perché così non si può andare avanti. Invece questo non viene detto e così il sistema di potere economico finanziario che guida l’Europa capisce che non si fa sul serio. Il fondatore della Linke tedesca Oskar Lafontaine aveva proposto un piano europeo di smontaggio dell’euro, ma il suo stesso partito non ha avuto il coraggio di sostenerlo. E tutta la sinistra europea oggi esprime la stessa paura.

È chiaro che dire no all’euro non basta se non si rimuove la politica economica liberista che ha portato alla sua costruzione, ma la fine della moneta unica è una condizione necessaria per poter ricostruire una politica economica e sociale fondata su eguaglianza e democrazia. È una condizione necessaria, ma non sufficiente e proprio questa insufficienza avrebbe dovuto essere il campo d’azione di una vera sinistra. Come ho cercato di spiegare l’euro non è tutto, ma è il simbolo monetario delle politiche liberiste e di austerità.


La sinistra non doveva subire il ricatto psicologico di chi accusa di nazionalismo la rivendicazione della sovranità monetaria, mentre in realtà difende l’internazionalismo di banche e finanza. La sinistra non avrebbe dovuto avere il tabù dell’euro, ma anzi avrebbe dovuto fare della contestazione della moneta unica la leva per spingere in campo una critica popolare e di massa al liberismo. La sinistra doveva dire no all’euro dal suo punto di vista e così questo punto di vista sarebbe tornato in campo nella crisi europea.

Invece il campo è stato abbandonato e così il no all’euro è diventato vessillo delle destre autoritarie, xenofobe e neofasciste. Che ovviamente lo usano a loro modo e per i loro fini. Il risultato è che la politica europea è bloccata tra la continuazione delle politiche di austerità sotto le larghe intese PPE PSE e la contestazione degli euroscettici reazionari. E il sostegno UE al governo ucraino infarcito di neonazisti, mostra che ci sono momenti e situazioni in cui questi due schieramenti possono trovare sintesi.

Un’ alternativa di sinistra a tutto questo si ricostruirà solo quando le sue forze sapranno proporre senza tabù la messa in discussione dei poteri e delle politiche dell’Europa reale, senza trastullarsi con una Europa ideale tanto ipocrita quanto inesistente.

In Italia questo significa una sinistra che rompa davvero con il PD e apra il confronto e il dialogo con il Movimento 5 Stelle, che avrà tanti limiti e contraddizioni, ma che finora ha anche il merito democratico di aver impedito un lepenismo di massa nel nostro paese. La prima cosa da proporre subito dopo le elezioni europee è un referendum costituzionale sui trattati e sull’euro, così come si fece già nel 1989. Lo chieda anche la sinistra che non vuol morire renziana.

Aveva ragione Berlinguer a dire no allo SME e ha torto oggi la sinistra a non mettere in discussione quell’euro che è stato messo lì per distruggerla.


8 pensieri su “SÌ AL REFERENDUM PER USCIRE DALL’EURO di Giorgio Cremaschi”

  1. Anonimo dice:

    A trent'anni la famiglia Berlinguer si è piazzata bene e ancora i gonzi non hanno imparato la lezione.in quanto a Cremaschi vedo che ha capito dove tira il Vento

  2. Fiorenzo Fraioli dice:

    "In quanto a Cremaschi", è degno di nota anche il fatto che confonda "serpente monetario" e "SME". Da buon ultimo arrivato, deve ancora studiare… 🙂

  3. Anonimo dice:

    A Cremaschi come del resto a quanto pare a molti frequentatori di questo blog non e' chiaro che il referendum costituzionale sull'Euro non si puo' fare come recita propio la costituzione all'articolo 75 ,e per modificare la costituzione come previsto all'articolo 138 serve una maggioranza qualificata che nell'89 fu trovata perche' tutte le forze politiche erano d'accordo sul fare quel referendum mentre oggi questa volonta' non c'e' e quindi il 5 stelle non ha i numeri per farlo quindi votate 5 stelle e poi morite d'Euro.Quando il 5 stelle assumera una posizione netta rispetto all'uscita dell'Euro allora votarlo avra' un senso ma sino a quando continuera' a proporre il referendum infattibile votarlo non avra' nessun senso almeno per chi dichiara di essere per l'uscita dall' Euro voi pensatela pure come vi pare ma le cose stanno cosi' lo dice la costituzione.Ora visto che si presume Grillo conosca la costituzione la domanda da porci e': Grillo ci e' o ci fa?.Ognuno si dia la risposta che vuole.

  4. Simone Boemio dice:

    Non capisco perché usare il termine cretinata riferito ad una posizione dignitosa. Le elezioni per il finto parlamento europeo sono una farsa e credo sia intelligente chiedersi se legittimarla con il proprio voto o scegliere di farsi prendere in giro. Ma non è che tu anonimo sei un certo professore che dice sempre di averci preso? A Fiore' il pecorino non me lo fini'!

  5. Anonimo dice:

    Ma quand'è che Cremaschi si metterà a fare qualcosa di serio ?Con @rossa non è riuscito ad esprimere una posizione sull'europa e con il sindacato non ha avuto il coraggio di fare l'unica cosa seria : crearne uno vero.Cremaschi le doti ce le avresti ma perché non ti applichi ?Per i grandi strateghi : che facciamo , passiamo da un problema all'altro ?Ora dobbiamo far crescere l'ambiguo M5S per colpire il PD, ma un giorno quando ci sarà bisogno di colpire l'ambiguo M5S per chi ci direte di votare ?Invece di perdere tempo perché non lavorate per creare una autonoma forza sovranista ?Nel frattempo non votate.O votate Borghi 😉

  6. Anonimo dice:

    per me…apprezzo quanto dice Cremaschi ma non lo conosco per valutare l'accusa di opportunismo dell'anonimo delle 13:09 che se vero indica, nella migliore delle ipotesi, di una passione (egoica?) diversa da quella ideal-esistenziale per la politica. accusa di opportunismo condivisa anche dall'anagrafico delle 14:14, con l'ulteriore rilievo tecnico sul “serpente monetario diverso da sme”, forse superabile con un "ri" davanti, o un "meglio" dopo, quel "definiva"(…allora il cosiddetto serpente monetario). condivido che l'astensione come opzione alle europee non è una cretinata: se si vota grillo in chiave anti-pude allora ci si può astenere in chiave pro-exit, in dissenso con un mov5s che sul topic non ha ancora deciso, referendum a parte.a proposito del motto renziano di "metterci la faccia", ovvero, c'hai la faccia come il cv (e molte facce che gli hanno consentito di non aver dovuto spedirne molti…):se non firmare i commenti non implica necessariamente disonestà intellettuale, di contro, firmarli, non preserva da critiche fondate anche feroci e/o in forma satirica, e non implica nemmeno che queste critiche facciano meno male se ricevute da anonimo: vedi l'accusa di opportunismo ricevuto da cremaschi da un anonimo alle 13:19 e da un anagrafico alle 14:14 (quel "anche"…), quest'ultimo a sua volta accusato di “to climb the mirror with southern italy's typical shoes” da un anonimo alle 14:42, e sebbene difeso da un anagrafico delle 21:34… forse vale l'equazione che se si hanno le spalle grosse (intellettualmente) di sostenere pubblicamente una tesi o teoria politico-economica allora le si hanno anche per reggere qualche marameo, sia rispetto ad un pubblico autografo che anonimo. mentre gli insulti gratuiti si autoemarginano o ci pensa l'amministratore. forse non è un caso se qui possiamo parlare liberamente anche di questo senza essere bannati o censurati mentre in altri "blog rispettabili", con ostentazione della lunghezza pubblica del cv e delicatezza delle papille gustative 'nce fanne manc' appizzà… e se appizziamo si rischia una querela per lesa maestà, poiché non tutti sono così "confident" nei propri mezzi culturali ed espressivi, oltre a non disporre di eventuali relativi mezzi propri per porvi rimedio, dopo…e poi tutte quelle dispute con il righello… marameo a parte, lo svantaggio nel presentarsi anagrafici nei commenti, quando onestamente interessati al contributo dialettico e intellettuale della ricerca, formazione e divulgazione della "tesi ottimale o migliore", rispetto a un tema interdisciplinare per eccellenza e ricco di voci come la politica, è nel rischio, prima, di essere identificati dagli altri (e/o autonomamente) con un emblema e, dopo, nel dover spiegare le ragioni di un eventuale abbandono dello stesso.questo è facile se si tratta solo di orientare la banderuola della maggioranza sempre gonfia “di un facile vento”, della stessa aria che gonfia i palloni…diverso è spiegare le ragioni di rotture per antipatie personali, sensibilità, karma…o, peggio, spiegare la natura (a priori?) della scelta di adottare un diverso sistema assiomatico, senza poter giustificare (“puzza di brucio”) il superamento del paradigma che da esso deriva. esempio: se prima del declino dell'urss, molto dopo il culto della personalità con le purghe staliniane e forse prima delle analisi di Screpanti sulla difficoltà all'ottimale allocazione delle risorse dei piani quinquennali, eppure ancora legati “spiritualmente” al principio dell'uguaglianza, si fosse imposta una “necessità paradigmatica di tipo liberale”, almeno come ipotesi di uscita da una casa che crollava, o perché immaginandosi già in una nuova architettura assiomatica. ps.siamo tutti “cazzilli anonimi” ma non ingrati per il lavoro di divulgazione di certi cazzilli anagrafici, a differenza di certi commentatori, cazzoni autografi.francesco.

  7. vincenzo baldassarri dice:

    Simoone amico mio il parlamento europeo è finto ma i voti in italia contano molto dai fai uno sforzo e vota anche tu m5s o vuoi ancora sti piddini di m…. tra le b…… ?

  8. Simone Boemio dice:

    Vincenzo, alle politiche ne riparliamo.Alle finte europee non legittimerò col mio voto il tradimento della democrazia operato dall'Unione Europea.Ovviamente, mi conosci, con questo non chiedo ad altri di fare altrettanto, mi limito a riportare la mia idea.Sono intervenuto principalmente perchè divertito dalla polemica tra Fiorenzo e l'anonimo emulo di quello che ci prende sempre!

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