IN RICORDO DI MASSIMO BONTEMPELLI di Nello De Bellis, Marino Badiale e Costanzo Preve
31 luglio. Tre anni fa, a Pisa, dopo breve malattia, si spegneva lo storico e filosofo Massimo Bontempelli (nella foto). Un ricordo di Nello De Bellis, seguito dal necrologio di Marino Badiale e dal giudizio di Costanzo Preve.
Per Massimo Bontempelli (1946-2011) di Marino Badiale
Per chi come me l’ha conosciuto e ne è stato profondamente influenzato, è difficile spiegare quanto profonda sia la perdita che la sua morte rappresenta. Forse le parole migliori, proprio perché prive di ogni enfasi, le ha trovate una giovane che è stata sua studentessa, e ha scritto, in una pagina facebook a lui dedicata, un breve ricordo:
“Il più eroico degli uomini che ho conosciuto era piuttosto basso, non sapeva guidare e aveva paura dei cani perché da piccolo era stato morso. Aveva una buffa risata, le maniche delle giacche troppo lunghe (o le braccia troppo corte) e sempre un libro in tasca. Sapeva di balsamo di tigre e caffè. Quando spiegava giocherellava con una bic. (…)
Per me è stato la mia rivoluzione. Buonanotte professore. Serena”
Di queste parole forse la più importante è “eroico”. Perché un mite docente (la “mitezza” di Massimo viene giustamente citata in un ricordo che gli ha dedicato l’Associazione Culturale Punto Rosso, con la quale aveva collaborato) di storia e filosofia di un liceo di provincia dovrebbe essere considerato “eroico”? Addirittura “il più eroico degli uomini che ho conosciuto”? Perché Massimo era un cercatore di verità, e in questa ricerca era sì mite, ma anche appassionato e intransigente. E se la verità filosofica, come s’è detto, ha una dimensione etico-politica, cercare la verità significa anche rifiutare i compromessi di basso livello e le tante piccole infamie che la politica, specie in questi anni di decadenza, porta con sé. Per questo Massimo è rimasto al di fuori delle tante consorterie politico-culturali che si spartiscono gli spazi accademici e mediatici. Per questo ha insegnato per tutta la vita in licei di provincia, lui che avrebbe potuto tranquillamente salire su molte cattedre più prestigiose. Per questo riusciva a pubblicare solo con piccole case editrici. Questa sua mite intransigenza è ciò che affascinava molti, specie giovani (per i quali l’incontro con lui poteva rappresentare una autentica “rivoluzione”, come nel ricordo sopra citato), ed è anche la ragione del fastidio, a volte dell’odio, che pure qualcuno gli ha riservato.
Chi lo ha conosciuto sa quali tesori di sapienza e conoscenza ci fossero dentro di lui, quante cose avesse ancora da insegnare. Il dolore per la sua perdita, per la perdita di tutto quello che poteva ancora darci, può essere reso meno aspro solo dall’impegno a fare il possibile per diffondere il suo pensiero, e, per cominciare, a raccogliere tutti i suoi testi, dispersi quasi sempre in riviste di scarsa diffusione o in pubblicazioni locali, per rendere possibile uno studio sistematico della sua opera.