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SPAGNA: RIPENSARE LA SINISTRA PER UN NUOVO PROGETTO DI PAESE di Manolo Monereo

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13 novembre. 
Volentieri pubblichiamo questo breve ma denso saggio di Manolo Monereo, apparso in Spagna un mese fa col titolo “Per un nuovo progetto di Paese”. Manolo Monereo è uno dei più noti intellettuali spagnoli. Esponente no-euro di Izquierda Unida perora l’unità con PODEMOS.
Passare dalla saturazione all’azione. Liberarsi di un sistema che condanna noi e le prossime generazioni al più nero futuro. Rifiutare le menzogne della trama. Gettare le basi di un nuovo paese. Di tutto questo ci parla Manolo Monereo.
Il futuro come problema politico esistenziale
  
   La crisi ha già sette anni. Nel corso di questo tempo la narrazione è cambiata, in principio si negava che vi fosse crisi; più tardi ci hanno detto -con la consueta arroganza del potere- che era questione di poco tempo e presto saremmo tornati agli anni d’oro del mattone e dell’indebitamento di massa. Finché un’estate le promesse furono tradite da Rodríguez Zapatero, allora segretario del PSOE e Presidente del governo spagnolo, quando ci comunicò che la crisi era arrivata per restare e che avremmo dovuto soddisfare i dettami, gli ordini perentori, della cosiddetta troika, che è la complessa trama di poteri economici e finanziari strettamente connessi ad una classe politica corrotta e disposta a cospirare sistematicamente contro i propri cittadini. Oggi Rajoy, nella sostanza, sta proseguendo quel lavoro con lo stile della destra senza complessi; è diventato l’allievo favorito della signora Merkel, per maggior gloria del capitale nazionale e di quello europeo.
   Il suo compito è arduo: come fare a governare contro la popolazione facendo in modo che questa lo continui a votare? Lobbiettivo è: ridistribuire ricchezza, rendite, diritti e poteri all’oligarchia finanziaria e imprenditoriale. Il mondo alla rovescia: i potenti, i ricchi, coloro che comandano, esigono che i salariati, i lavoratori, i cittadini, vivano peggio, perdano libertà reali e concrete e si trasformino, di nuovo, in venditori, insicuri e impoveriti, di forza lavoro. Il capitalismo monopolista-finanziario che emerge nella crisi è incompatibile con i diritti sociali e le libertà reali conquistate storicamente dal movimento operaio organizzato e dalla sinistra politica.
   Come si fa a governare contro gli interessi dei cittadini e fare in modo che questi ti votino? Bisogna avere il controllo (e lo hanno) dei mezzi di informazione. La catena della comunicazione è costruita in acciaio inossidabile; i suoi anelli sono il capitale finanziario, le grandi imprese e altri oligopoli che influiscono in modo decisivo sui media imponendo loro un discorso ripetuto fino alla sazietà: questa politica, la neoliberista, è l’unica possibile e non ha alternativa. I media tuttavia non sono tutto. Sono in atto altri procedimenti più sottili e al tempo stesso più brutali: impoverire, precarizzare, portare alla disperazione fino alla resa; vendere l’essenza della condizione umana alle volontà dell’imprenditore. La libertà di mercato è esercitata dispoticamente nella camera oscura dell’impresa capitalista; la parola d’ordine è lo sfruttamento di una forza lavoro senza diritti e sottomessa, sì, sottomessa strutturalmente e senza potere nella società. Alla fine questi sono i rapporti di forza.
   Esseri umani, persone isolate e sole, senza diritti, costrette a una vita in fuga, condannate a permanente incertezza. I poteri pianificano e determinano insicurezza nelle persone con obbiettivi precisi: spezzare i vincoli sociali, promuovere lo sradicamento e rompere la solidarietà. Il messaggio che ci arriva ogni giorno è si salvi chi può, che è l’altra faccia della sottomissione e della spoliticizzazione, significa indurre a pensare che sono tutti uguali, che è meglio che di politica si occupino i politici e che l’unica salvezza possibile consiste nell’arrangiarsi come si può.
   Non abbiamo futuro e siamo costretti a vivere alla giornata. Contratti di lavoro con diritti? Contratti a tempo indeterminato? Stipendi dignitosi? Pensioni future? Protezione sociale? Salute? Istruzione? Piena occupazione? Tutto ciò è sospeso. Acqua passata. Il nostro futuro, il futuro delle nuove generazioni diventa un problema politico ed esistenziale. I giovani (vale a dire le persone fra i 18 e i 40 anni sono le vittime della barbarie attuale), condannati ad un futuro senza prospettive, si trovano nell’impossibilità di condurre una vita autonoma e dignitosa, senza il capitale accumulato dalle loro famiglie oggi sarebbero poveri. Con questi salari, queste condizioni di lavoro e questi contratti la vita non è libera, non si ha un presente e il futuro è un pesante fardello. Andiamo di male in peggio e il tempo lavora contro di noi.
   I governi cospirano contro la popolazione; sanno perfettamente che il passato non tornerà e che il futuro è un modello produttivo e di società senza Stato Sociale, senza diritti sul lavoro -né sindacali né sociali-, senz’altra possibilità che un adeguamento permanente dei salari rincorrendo una competitività basata sullo sfruttamento dei lavoratori. Se vogliamo restare nell’europa tedesca dell’euro -ci ripetono continuamente- non ci resta che accettare i tagli: non è gratis far parte di un club tanto esclusivo come l’Unione Europea. Le menzogne, le mezze verità, l’impiego di una retorica apparentemente tecnica, la padronanza degli esperti, nasconde la posta in gioco della politica che si basa in qualcosa di tanto semplice quanto noto: affinché il capitalismo abbia un futuro i lavoratori devono vivere peggio, le persone devono perdere diritti.
   Il passato non tornerà e il futuro lo costruiamo noi. Non c’è altra strada per chi sta sotto che quella di unirsi e organizzarsi, mettersi in condizione di vincere e guadagnarsi il futuro. Non siamo condannati ad un orizzonte temporale insicuro, di permanente degrado delle nostre vite, di tempo in tempo sempre più afflitte da povertà e disoccupazione. Il mondo, il nostro piccolo mondo di tutti i giorni, può cambiare se lo vogliamo. Le condizioni fondamentali perché ciò accada consistono nel non credere alle menzogne di chi comanda e impegnarsi per un cambiamento sociale e politico.

Costruire una speranza consapevole e realizzabile.

   Il più potente fra tutti gli strumenti di sottomissione sociale è sempre stato la rassegnazione. In un paese come il nostro, per quarant’anni sotto una dittatura e ora con una democrazia supervisionata dai poteri forti, specificamente il partito-militare (avendo sempre il Re come asse del sistema), la paura ha permeato la vita politica e facilitato un discorso antidemocratico contro la politica e ciò che è peggio, la convinzione che nulla può essere fatto dalle istituzioni pubbliche per migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle persone.
   Il grande fallimento della denominata transizione è stato il non essere riusciti a liberarsi della mentalità da sudditi e dalla sottomissione ai poteri forti, durata troppo a lungo. La cittadinanza, nel suo insieme di diritti e doveri, continua ad essere l’elemento su cui puntare, l’elemento chiave per un altro futuro. Il diffuso invito a “non mettersi in politica” e votare ogni quattro anni è stato il modo di fare politica di una parte significativa della società. La corruzione ha avuto un effetto politico contradditorio e può finire per favorire chi davvero comanda, vale a dire, i corruttori.
   Il gioco è perverso. Da un lato, con ragione, si criticano i politici (così, in generale) che si lasciano corrompere; dall’altro, spariscono i corruttori, e cioè coloro che detengono il potere economico e che per comandare corrompono i politici e, inoltre, con il pretesto di evitare la corruzione, debilitano il potere dello Stato e favoriscono le politiche neoliberiste che hanno fatto della speculazione e della corruzione (sorelle gemelle) il proprio modo di organizzare la società e il mercato.
   Una parte della società sta reagendo, si mobilita, lotta e vota le forze politiche alternative; un’altra è ancora impigliata nel vecchio messaggio della rassegnazione e dell’antipolitica; nel mezzo vi sono i dubbi, le contraddizioni irrisolte e anche il non essere ancora capaci di credere a un possibile cambiamento. Per costruire una società con un futuro è fondamentale una forza politica organizzata con vocazione di maggioranza e di governo. Ciò non si è mai realizzato e non si realizzerà se non vi sarà l’impegno di migliaia di uomini e donne “comuni” che dicano basta e si mettano a costruire un’alternativa politica di massa.
   Ora è il momento e dipende da noi. Passare dalla rassegnazione alla speranza esige capacità di sognare ed emozionarsi, buona politica e proposte capaci di dare luce e immaginario alla maggioranza. Avremo un futuro se crediamo davvero d’essere capaci di costruircelo, tutti insieme, e impegnarci sul serio allo scopo. Il cambiamento siamo noi e dipende da noi.
Fondamenti del discorso: principi e valori

   L’immagine dell’essere umano che dobbiamo sfidare e sconfiggere è quella di un uomo (non a caso è un maschio) solo come un atomo sperduto nella società, che sfrutta al massimo le sue risorse e che ha come obbiettivo il profitto. L’uomo è un lupo per l’uomo e fa del proprio egoismo la norma etica dei suoi comportamenti sociali. È la vecchia parabola di Mendeville: “vizi privati e pubbliche virtù” o, per dirla con Adam Smith, l’impulso individualista, attraverso la mano invisibile del mercato, diventa la fonte di benessere sociale.
   Non è solo teoria. Spesso pensiamo alla teoria come qualcosa di generico e astratto, avulso dalla vita reale delle persone e manipolata dagli intellettuali. Ma senza teoria non vi è analisi sociale e i fatti in se stessi non ci dicono nulla. Appellarsi alla concretezza per separare teoria e pratica è una cattiva teoria. Per questo le politiche neoliberiste hanno un substrato teorico ed etico che mai viene dimenticato. La controrivoluzione neoliberista (sì, controrivoluzione), è il tentativo di creare uno specifico tipo di essere umano che agisce attraverso il mercato, e al servizio di tale obbiettivo sono tesi tutti gli strumenti di comunicazione, imprenditoriali, culturali e, soprattutto, la presa del potere.
   Abbiamo bisogno di una nuova “immagine” dell’essere umano e di portarla in politica. Il lavoro è molto arduo però si può e si deve fare. Dobbiamo lavorare su due grandi concetti: quello delle necessità di base e quello dell'(inter)dipendenza fra le persone. Non è questo il momento di fare un’elaborazione teorica di concetti molto dibattuti, con un’ampia bibliografia e sui quali è necessario confrontarsi e formarsi dato che saranno sempre le fondamenta del nostro discorso.
   Le persone sono esseri sociali con necessità di base e nel corso del proprio ciclo vitale hanno bisogno della società per sopravvivere. Le persone senza la società non sono niente e questo è ciò che il paradigma neoliberista cerca di nascondere. Gli esseri umani soffrono e piangono, hanno bisogno di un enorme quantità di attenzioni fin dalla loro nascita. Fra tali attenzioni, l’amore è decisivo; mentre le calorie che assumono determineranno il loro sviluppo e il loro futuro.
   La collocazione nella società è determinata dall’origine sociale della famiglia e dall’ambiente in cui si cresce e ci si sviluppa, passando per l’acquisizione del linguaggio, l’educazione e le opportunità date dalla vita reale. Dipendiamo sempre dagli altri, come bambini, (tappa della vita che in occidente dura sempre di più, cosa che di per sé produce un’enorme differenziazione sociale) anche quando invecchiamo. Quando il sistema ci trasforma in merce, lo siamo in un modo specífico, pseudo-merce,  dato che è  inerente nella nostra natura umana, parlare, comunicare e persino ribellarsi
   Le persone sono trasformate dal sistema in esseri indifesi che per sopravvivere devono vendere la propria forza lavoro, possono essere licenziati, ammalarsi e, se vivono a lungo -cioè se sono stati sfruttati sistematicamente- possono esaurire le proprie possibilità di continuare a vendersi come forza lavoro. Se guardiamo bene, questa è la lotta primordiale del movimento operaio, ottenere condizioni di lavoro che ci proteggano, relativamente, dai mali sociali e dal capitalismo. Le tre forme di retribuzione lo spiegano molto bene: vi è il salario che si conquista attraverso l’azienda, unito alle condizioni delle prestazioni della forza lavoro (frequenza, igiene e sicurezza, orario); vi è la retribuzione sociale, l’insieme di prestazioni pubbliche che percepiscono i lavoratori-cittadini che attiene fondamentalmente alla sanità, l’educazione e le prestazioni sociali, specialmente la disoccupazione; infine vi è la retribuzione differita, ovvero tutto l’insieme delle pensioni pubbliche.
   Questo è il nocciolo del conflitto di classe. Il neoliberismo infierisce sempre su questi tre piani delle retribuzioni e li sottomette a continui aggiustamenti. Qual è la chiave di questo problema? È nel concetto di mercificazione. Tutta la lotta del movimento operaio organizzato e della sinistra è consistita nella de-mercificazione della forza lavoro, vale a dire, evitare le conseguenze più gravi del sistema di sfruttamento chiamato capitalismo. Che ciò si possa realizzare in modo permanente, è un altro dibattito. Tuttavia l’asse delle politiche neoliberiste oggi è chiaro: mercificare completamente, su questi tre piani, la forza lavoro.
   L’idea di fondo sulla quale è necessario insistere è che gli esseri umani hanno alcune necessità di base che la società, per mezzo dello Stato, deve soddisfare. Tali necessità sono fondamentalmente di due tipi, le biologico-psicofisiche e le politico-culturali. Questo dovrebbe essere il fulcro di un progetto economico, politico e culturale, ovvero un insieme di principi etico-giuridici che per noi, da sempre, sono le fondamenta di un ideale socialista in senso ampio, che poggia sulla sostanziale uguaglianza e sul principio di comunità.
   Riassumendo, questo punto di vista è oggi il dato più rilevante della lotta politica e dello scontro di classe. Ciò che stiamo vivendo è un’incompatibilità di fondo fra il capitalismo esistente e le necessità fondamentali delle persone. Questa involuzione della civiltà è sentita in forma assai diffusa dalla nostra società e a partire da ciò dobbiamo costruire un discorso alternativo di società, di Stato e di governo.
Tre principi e una strategia: de-globalizzazione, de-mercificazione e democratizzazione.

   I principi sono valori che fondano l’ideale politico. Idee che usiamo come regole per criticare l’esistente e come guida per le azioni alternative. Come tali non si dimostrano, benché sia necessario argomentarli e verificarne la consistenza logica. Tre valori di fondo, sempre dal punto di vista dalle necessità di base delle persone, attengono a queste tre D:
   1) De-globalizzazione o de-mondializzazione. Qualsiasi progetto alternativo a quello neoliberista esige l’incremento dell’autonomia economica, sociale e politica degli Stati. Senza un controllo sulla libera circolazione dei capitali non sembra viabile alcun progetto politico alternativo all’esistente.
   Si tratta di rivendicare la sovranità nazionale e l’indipendenza quali mezzi per uno sviluppo sociale ed ecologicamente sostenibile. Quando si afferma ciò, si viene subito accusati di tentare di tornare a un modello autarchico. Niente di tutto questo. Ciò che chiediamo è di esercitare il nostro diritto a decidere, vale a dire che gli uomini e le donne possano determinare il modello economico e sociale di paese vogliono; quali diritti sociali, sindacali e del lavoro desiderano e in che modo vogliono che il paese partecipi all’economia internazionale. Vogliamo una repubblica sovrana in mano ai propri cittadini.
   2) De-mercificazione. Il mercato può essere un buono schiavo, ma è un terribile maestro. La strada per un progetto realmente democratico e socialista deve essere fondata nel principio di comunità. Il capitalismo considera merce ciò che non lo è e che, se così viene considerata, genera ricorrenti catastrofi sociali. Quali sono le false merci? La forza lavoro, la terra e la natura, il danaro.
   Il futuro della nostra società esige la de-mercificazione di questi tre aspetti chiave e il loro democratico controllo. Il nostro progetto economico alternativo ha l’obbiettivo di soddisfare le necessità di base delle persone; per fare ciò è necessario un nuovo potere, una nuova cultura e modi di organizzazione sociale, alternativi a quelli del capitalismo. Di certo sappiamo che si tratta di un processo lungo e lento, poiché stiamo parlando di principi, di valori a partire dai quali dobbiamo cambiare la società.
   3) Democratizzare. Una società di uomini e donne uguali, impegnata a soddisfare le necessità di base delle persone esige una democratizzazione sostanziale del potere economico, mediatico e politico. La nostra idea di repubblica attiene a questo. Aspiriamo ad un cambiamento nelle forme di governo e vogliamo democratizzare il potere. Detto più esplicitamente, vogliamo costruire una nuova democrazia e un nuovo Stato liquidando le basi economiche, sociali e politiche dell’oligarchia economico finanziaria che domina oggi il paese e che rappresenta quell’intrigo che ho denominato trama.
   Il nostro progetto prevede la concezione della democrazia quale governo della maggioranza, quella composta da uomini e donne che oggi lavorano e guadagnano uno stipendio sempre più esiguo, ma anche quella di tanti uomini e donne con lavori autonomi o effimeri, e quella di migliaia di contadini che, da molto tempo, pensano di abbandonare quel tipo di economia dalla quale ancora dipende una parte significativa del nostro sostentamento.
   Come possiamo osservare, le tre “D” sono connesse e rappresentano il fondamento di un nuovo progetto del paese. Non sono entrato, di proposito, in un tema tutt’altro che irrilevante, mi riferisco all’Unione Europea. Lo dirò in modo chiaro e senza ambiguità: senza affrontare il problema della dipendenza del nostro paese da un’Europa tedesca nulla sarà possibile. Come farlo, quali saranno i passi tattici, le misure da prendere e il quadro in cui inserirle, si può e si deve dibattere. Ciò che non si può fare è eludere sistematicamente il problema, così come facciamo. Non dimentichiamo che il centro di gravità del nostro discorso risiede nel fatto che la Spagna fa parte della periferia europea, subisce un cambiamento del modello di accumulazione ed è attraversata da una crisi di regime.
   Che tipo di strategia è necessario delineare partendo da alcuni principi che hanno come obbiettivo quello di soddisfare le necessità di base delle persone? Una strategia basata sulla distribuzione di reddito, ricchezza, lavoro, tempo libero e potere.
   I contenuti del discorso: il nodo, che paese vogliamo?

   Per costruire un nuovo paese democratico, giusto e solidale è necessario sciogliere il nodo e spezzare il potere della tramache ci comanda. Le due cose sono collegate. In sostanza, l’obbiettivo è che uomini e donne, lavoratori e lavoratrici, giovani, ovvero la gran parte della società siano i consapevoli protagonisti del cambiamento del nostro paese, in un senso democratico ed egualitario, fondato sulla giustizia e in armoniosa relazione con la natura.
   Bisogna insistere di continuo: non si tratta di votare programmi. Il fulcro della questione non è molto complicato da comprendere. Le società sono intrise di discorsi: discorsi del potere; discorsi di resistenza che spiegano diverse pratiche sociali espresse attraverso il linguaggio, orale e scritto e che riflettono immaginari sociali (giudizi, credenze, opinioni, regole) dai quali le persone traggono interpretazioni e cercano di cambiare la realtà.
   I discorsi politici sintetizzano una certa visione del mondo con l’obbiettivo di impegnarsi nell’azione. I cambiamenti in politica avvengono quando si risveglia l’immaginario della società, il suo “buonsenso”, attraverso un dialogo che impegna ciascuno di noi in una proposta di cambiamento politico. Questo, in una società tecnologica, della comunicazione e manipolazione di massa, è molto importante.
   Fra la realtà e l’azione politica vi è la percezione che si viene a creare nella società. Una forza politica con volontà egemonica (il discorso è un dispositivo egemonico) deve promuovere un discorso proprio e un vocabolario che lo espliciti. Per esempio, non è lo stesso parlare di svalutazione salariale che di repressione salariale; infatti se qualcosa caratterizza questo modello è precisamente questo: abbassare i salari come normale prassi. Il termine repressione racchiude contenuti e significati che lo rendono specialmente comprensibile. Il discorso deve essere basato su fondamenta reali e politicamente corrette. Più avanti, quando analizzeremo la spinosa questione del nemico, diremo qualcosa al proposito. La linea di fondo del nostro discorso alternativo si basa su tre questioni decisive: a) Spagna periferia d’Europa; b) il nuovo modello di accumulazione capitalista; c) la crisi del regime. Le tre cose sono strettamente connesse e se la conclusione sarà corretta avremo davvero costruito un discorso alternativo e non solo un discorso placebo.
   Il fatto che la Spagna sia periferia dell’Unione Europea significa che le politiche dominanti e l’euro ci condannano alla subalternità politica, la dipendenza economica e il sottosviluppo economico e sociale: siamo periferia del “nucleo” organizzato, diretto e garantito dallo Stato tedesco. Non intendere ciò significa vivere in un altro mondo, quel mondo narrato dai media e che simulano i politici del bipartitismo imperfetto affermando: viviamo una “crisi organica del capitalismo spagnolo”. Le politiche di crisi stanno definendo un nuovo regime di accumulazione capitalista in Spagna. È in atto un’alleanza di classe fra la borghesia spagnola e i poteri economici europei organizzati dalla Germania.
   Più specificamente, per quanto concerne la divisione del lavoro che si sta definendo nella UE, troviamo una Spagna senza un’industria forte, diversificata, tecnologicamente avanzata; senza diritti sociali e sindacali e senza uno Stato sociale degno di questo nome. Non intendere questo, significa non intendere nulla o quasi. Bisogna insistere, la borghesia spagnola, compresa la basca e la catalana, sono d’accordo con questo disegno e accettano la subordinazione politica ed economica che l’Unione Europea esige.
   Sembra evidente quindi che il capitalismo periferico organizzato dai poteri forti europei ha fatto saltare le basi materiali del patto sociale che si istituzionalizzò nel 1978. I poteri economici saldamente strutturati dalla troika hanno decretato lo stato d’eccezione che sta liquidando le conquiste storiche del movimento operaio e sindacale e i valori della sinistra.
   L’alternativa non è tra coloro che difendono ciò che resta della Costituzione del ’78 e gli illusi o gli utopisti che vogliono un processo costituente. La vera alternativa è tra il nuovo modello di accumulazione capitalistica senza stato sociale e, quindi, senza diritti sociali e del lavoro, e un processo costituente che apra le porte ad un nuovo progetto di paese giusto, democratico e solidale. Questa è la fase chiave che stiamo attraversando. 
   A mio giudizio, quanto detto può unire le popolazioni e i cittadini spagnoli nella difesa dei diritti sociali, del lavoro e democratici di fronte all’Unione Europea dominata dallo Stato tedesco che promuove la divisione fra un’Europa ricca e una povera (nel sud e nell’est) e che esercita poteri neocoloniali in Africa e nel mondo arabo. La domanda chiave è: perché a maggiore integrazione neoliberista, la UE presenta maggior dipendenza dal dominio imperiale statunitense? Esempi molto recenti sono l’Ucraina e la Palestina.

I contenuti del discorso. Il vero problema della Spagna: la trama.

   La definizione chiara e precisa del nemico è sempre centrale nel discorso politico. Non vi è politica senza nemico. Da un punto di vista di emancipazione e di classe, i nemici sono coloro che sfruttano, le classi dominanti e quelli che, in un modo o nell’altro, collaborano attivamente per mantenere e perpetuare tale domino. Altra cosa ben diversa è come rappresentare dialetticamente i dominatori e come farlo arrivare alle classi subalterne affinché essi siano identificabili. Il nemico è l’oligarchia, cioè il meccanismo che unifica, centralizza e organizza attorno allo Stato tre grandi poteri: economico, politico e mediatico.
   Le persone sanno -così ci dicono le inchieste-, che coloro che comandano sono i banchieri, i grandi imprenditori, le multinazionali e i poteri mediatici. Ogni crisi economica capitalista prevede, in una maniera o nell’altra, di concentrare e centralizzare il capitale, ed è ciò che sta succedendo in forma accelerata in tutti gli ambiti della vita sociale. Si tende a rendere oligarchica l’economia, la società e la politica.
   Podemos[1]ha reso popolare il termine “casta”. La definizione è vera solo in parte dato che presenta tre gravi omissis. Il primo risiede nel fatto che nasconde l’enorme potere che hanno oggi i gruppi economici dominanti; i politici sono casta nella misura in cui sono sempre più subalterni ai poteri del capitale. Il secondo omissis è che la corruzione si è fatta sistema: coloro che si presentano alle elezioni comandano attraverso la corruzione; il problema sono i corruttori e non nei corrotti. Infine, puntando l’attenzione solo sui “politici”, Podemos situa i problemi nei procedimenti e non nel contenuto della democrazia, cosa che può favorire e favorisce una visione trasformista “alla Renzi”.
   Sarebbe bene e non sarà facile, rendere popolare il termine trama, la trama. Con il quale (in Bolivia si parlò nel 1952 della rasca) si vuole segnalare che esiste un meccanismo unico che organizza una matrice di potere (per usare le parole con rigore) fra il capitalismo monopolista-finanziario, i mezzi di informazione e la classe politica bipartitica corrotta e dipendente dal capitale. Insisto, questo blocco di potere accetta il modello di accumulazione capitalista che hanno disegnato i poteri economici europei e garantisce lo Stato tedesco. Costoro accettano d’essere una borghesia subalterna, parassitaria, che vive di rendita; sono, in definitiva, teste di ponte di un capitalismo al servizio dei paesi ricchi del “nucleo”.
   Posto in altro modo, qual è il vero problema della Spagna? (è la domanda chiave): il problema della Spagna sono le sue classi dominanti e in particolare la destra politica ed economica. La caratteristica specifica di questa questa oligarchia è che mai hanno avuto un progetto di paese, che sono sempre stati al servizio delle potenze straniere e che non hanno dubitato in alcun momento ad usare la forza militare delle suddette potenze straniere contro gli uomini e le donne che risiedono in Spagna. Una volta lo facevano con gli eserciti, adesso lo fanno con le divisioni dei carri armati del capitale finanziario.
   Perché centrare il dibattito nel termine trama? In primo luogo perché definisce i poteri reali: economici, politici e mediatici. In secondo luogo perché ci rimanda ad una soggettività organizzata; la trama si organizza, cospira, si articola e controlla il potere dello Stato. In terzo luogo, la trama definisce un loro e un noi; una minoranza, ogni volta più ristretta, controlla il potere e impone un modello sociale sfavorevole alla maggioranza. La trama vende il paese, ci subordina ad un’Europa tedesca e ci allinea all’imperialismo statunitense. È casuale che l’ultimo atto di rilievo del governo Zapatero sia stato l’ampliamento della base di Rota?
   La trama è antagonista della patria. La nostra patria non è una “comunità immaginata”, non è nazionalismo, è res-publica: un futuro da costruire insieme; una società di persone libere e uguali che lottano per l’emancipazione sociale basata sull’autogoverno dei cittadini, vale a dire, per la sovranità e l’indipendenza nazionale.
Un processo costituente: per una democrazia repubblicana, economica, ecologica e femminista.

   L’esperienza latinoamericana insegna molte cose. Una di queste, quella fondamentale, è fare della costituzione la “tabella di marcia” della trasformazione del paese. Legalità e legittimità si uniscono attorno al potere costituente di un popolo. Il nostro progetto politico deve dare contenuto alla nuova costituzione del paese, trasformandola in programma, sangue, carne e scheletro di un nuovo paese.
   Sentiamo dire con frequenza, e dalle nostre fila, che la questione del progetto costituente è un’astrazione che interessa solo le minoranze. Si dimentica che una forza politica che vuole dirigere un paese deve unire la concretezza alla strategia, le rivendicazioni immediate e quelle di fondo. Non è facile, non lo è mai stato in nessun luogo, ma fare una politica di cambiamento comporta questi problemi. Per praticare l’altra politica, esistono già i partiti legati al potere che, proprio per questo, fanno “audaci” proposte concrete che poche volte realizzano e che instancabilmente ci propinano elezione dopo elezione.
   La nostra idea di fondo è quella di una democrazia repubblicana, economica, ecologica e femminista. Questo dovrebbe essere l’asse del nostro discorso alternativo, strettamente legato al processo costituente.
   In sostanza questo significherebbe sviluppare collettivamente ciò che segue:
   Primo. La scommessa di un nuovo modello di sviluppo produttivo sociale ed ecologicamente sostenibile che soddisfi le necessità di base delle persone.
   Secondo. La piena occupazione e il lavoro ripartito come priorità politica in tutto il paese. Lo Stato come garante ultimo del lavoro: piano di lavoro garantito.
Terzo. Ristrutturazione ecologica dell’economia e della società, intesa come strumento fondamentale non solo per stabilire relazioni armoniose con il nostro ambiente, ma come mezzo per industrializzare il paese, sviluppare l’agricoltura, riordinare il territorio e rafforzare la forza lavoro.
Quarto. Uno Stato forte, che regoli efficacemente il mercato, ridistribuisca il reddito, pianifichi lo sviluppo e difenda gli interessi internazionali del paese.
Quinto. Giustizia fiscale. Diritti sociali per tutti, costituzionalmente garantiti.
Sesto. Garantire l’uguaglianza effettiva fra uomini e donne, socializzando il lavoro domestico, suddividendo il tempo libero e spezzando i ruoli dell’organizzazione patriarcale della società.
La costruzione del nostro futuro dipende da noi. Questo è il momento.

(Traduzione Marina Minicuci)


[1] “Podemos”: partito politico nato nel 2014 che ha introdotto in Spagna il termine“casta” per definire lo strapotere dei politici, ispirandosi evidentemente al celebre libro omonimo di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella (Rizzoli 2007). NdT

3 pensieri su “SPAGNA: RIPENSARE LA SINISTRA PER UN NUOVO PROGETTO DI PAESE di Manolo Monereo”

  1. Giovanni dice:

    Beh, almeno Monereo parla di piena occupazione e di redistribuzione (ammetto di aver letto solo quelle righe lì). Un discorso migliore rispetto a quello di Alberto Montero.

  2. Lavoro in Spagna dice:

    Molto interessante la parte in cui si "critica" in un certo senso l'ingenuità di quelli di Podemos, che individuano secondo l'autore le colpe nella "casta", nella corruzione politica dilagante e si dimenticano dei "poteri occulti", i poteri forti che tirano i fili dall'alto. Non credo che sia proprio così e comunque la crisi della sinistra è una questione europea e non unicamente spagnola a mio avviso. Ripensare un modello politico che non replichi l'incompetenza di chi, negli anni passati ha avuto in mano un paese che andava a 100 all'ora e non ha saputo da li far nascere le basi di una solidità economica è credo una questione basilare. Il problema è che difficilmente si creeranno a breve le stesse circostanze che hanno portato la Spagna a correre a livello economico come nella parte centrale del decennio del 2000.

  3. Anonimo dice:

    @lavoro in Spagna. Il decollo economico Spagnolo dei primi anni 2000 è il padre dell'attuale crisi. Anche paesi come USA e Irlanda correvano in quel periodo, ma a causa di politiche neoliberiste che hanno dopato l'economia. Ci è infatti voluto poco tempo perchè la realtà chiedesse indietro il conto.

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