La Scuola italiana nell’epoca della Globalizzazione di Nello De Bellis
LA GRECIA AL VOTO di Leonardo Mazzei
Brevi note sul programma di Syriza e sugli scenari possibili
30 dicembre
TE LO DO IO IL QUANTITATIVE EASING! di Leonardo Mazzei
28 dicembre
Raramente la verità delle cose si mostra fin da subito nella sua pienezza. Anzi, di solito, essa ama nascondersi nelle pieghe degli eventi e dei processi che segnano la storia, i cui svolgimenti sono in genere tortuosi e non privi di contraddizioni. Ed il percorso dissolutivo dell’Unione Europea, realisticamente preceduto dalla fine della moneta unica, non fa certo eccezione.
Per comprendere la portata di quanto sta avvenendo è utile tornare sulla vicenda del Quantitative easing (QE), sulla quale abbiamo già scritto pochi giorni fa (vedi Il QE della discordia). Le cose corrono infatti con la fretta dovuta dei momenti topici, e nuovi e decisivi elementi sulle manovre in corso sono ormai di pubblico dominio.
Due settimane fa avevamo ipotizzato uno scenario dove al successo d’immagine di Draghi, l’avvio del QE appunto, corrispondeva una vittoria del governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, sulla sostanza di questa operazione. Come dire: a Draghi le telecamere, a Weidmann gli euro-tedeschi ben chiusi in cassaforte.
Quel che è emerso in questi ultimi giorni non fa che confermare questa ipotesi, che comincia ad assumere contorni sempre più precisi quanto più inquietanti per i paesi dell’area mediterranea.
Il principio è sempre il solito dogma tedesco: non può e non deve esserci mutualizzazione alcuna del debito e del rischio che ne consegue. Punto. Il problema è che tutto ciò sta scritto nei trattati europei, un particolare che a volte si tende a dimenticare ma che a Berlino invece non scordano.
Come conciliare questo dogma con un QE almeno in parte basato sull’acquisto di titoli del debito dei vari stati dell’Eurozona? Ecco il problema che la Bce cerca di dirimere. Perché che il QE debba esserci è ormai cosa praticamente certa: lo reclamano i mercati finanziari (cioè i pescecani della finanza), lo esige il sistema bancario (pena il rischio di crack incontrollabili di alcune banche del sud Europa), lo chiedono a gran voce da oltreoceano per andare a compensare la minor liquidità emessa dalla Fed.
Che si possa trattare di un’operazione davvero efficace per ottenere un minimo di ripresa economica non ci crede ormai più nessuno, ma – al di là delle ragioni di cui sopra – a questo punto ce n’è un’altra ancora più importante che impone che il quantitative easing si faccia. Una ragione così sintetizzata da Alessandro Merli sul Sole 24 Ore di questa mattina:
quantitative easing, e concentriamoci invece sulle sue – decisive – modalità.
Innanzitutto una necessaria premessa.
La seconda ipotesi, nella sostanza gemella della prima, non prevede nuovi fondi dedicati, ma solo perché la funzione di garanzia verrebbe esercitata dalle singole banche centrali nazionali sotto la direzione e la vigilanza della Bce. La decisione finale di Francoforte è attesa per il 22 gennaio, ma al momento è questa l’ipotesi che va per la maggiore.
Ed è un’ipotesi davvero rivelatrice della verità che comincia a manifestarsi, sia pure nel modo tortuoso di cui abbiamo detto all’inizio. Se il QE dovrà prendere forma attraverso acquisti e garanzie delle singole banche centrali, non è questo il segno manifesto della fine dell’unitarietà della politica monetaria dell’attuale Eurozona? Detto in maniera più chiara: non è questo – per quanto possa essere lungo il percorso – l’inizio della fine dell’euro?
Se questo sarà il “QE all’europea”, che la stampa economica definisce ormai senza pudore alla “tedesca”, avremo che ogni stato risponderà per le sue perdite, pur non essendone neppure direttamente responsabile, dato che la stanza dei bottoni dalla quale partiranno gli ordini sarà solo quella all’interno della torre della Bce. E questa è una cosa senza precedenti. Quando mai si è vista una banca centrale (e dunque uno Stato) divenire titolare di una perdita, senza avere invece alcuna titolarità sulle scelte di acquisto che l’hanno determinata? Ebbene, in Eurolandia è possibile anche questo…
Becchi e bastonati: ecco la condizione in cui verranno a trovarsi gli stati con i debiti più alti. Ma dire “stati” dice ancora poco, perché a pagare saranno ancora una volta i popoli.
Il meccanismo che si va congegnando è infatti micidiale.
Dunque, alla fine, più tagli e più tasse per i cittadini dell’Europa mediterranea per consentire il QE salva-banche, trasformando così un’altra quota di debito privato (quello delle banche) in debito pubblico. Peggio di così non si potrebbe. Ma proprio per questo si può esser certi che la decisione finale non si discosterà più di tanto da questo schema.
DI CHE MOVIMENTO POLITICO ABBIAMO BISOGNO? (inedito) di Costanzo Preve
di Costanzo Preve
ESPOSIZIONE DELLE TESI
Inizierò con una riflessione sul nome dell’eventuale forza politica. Il nome deve infatti essere un compendio fedele del contenuto, e non un segnale identitario ideologico (tipo Democrazia Proletaria, cioè l’organizzazione meno proletaria mai esistita, oppure Partito della Rifondazione Comunista, che è in realtà un partito cesarista e leaderistico-mediatico di rifondazione no-global e new-global). Passerò poi ai tre punti programmatici fondamentali che a mio avviso devono caratterizzare questa forza politica. Seguiranno due allegati il cui scopo è chiarire ulteriormente i punti indicati per la discussione.
I TRE PUNTI PROGRAMMATICI FONDAMENTALI
A mio avviso, per questa forza politica bastano ed avanzano tre punti programmatici. fondamentali, e cioè:
(I) Resistenza alla dittatura oligarchica dell’economia capitalistica, senza un’imposizione contestuale di un solo profilo ideologico che dovrebbe fare da unico fondamento legittimo di questa resistenza,
(II) Resistenza all’attuale struttura imperialistica del mondo, di cui l’impero militare americano non è che l’odierno aspetto dominante, ma che certamente non è l’unico o quello cui bisogna ricondurre tutto,
(III) La scelta di tenersi integralmente fuori dal bipolarismo Ulivo-Polo, non per ragioni di. principio astoriche eterne, ma sulla base di un giudizio politico determinato, che potrebbe anche essere modificato in futuro se cambiasse il panorama politico europeo e mondiale.
Discutiamo ora questi tre punti uno per uno.
Se poi qualcuno mi volesse fare cortesemente osservare che un’anticapitalismo generico non è sufficiente, oppure che è “poco scientifico” (in quanto prescinde dalla conoscenza di Marx, dalla pratica di Lenin, eccetera), gli risponderò che ne sono perfettamente consapevole, ma non ritengo questa obiezione risolutiva. L’anticapitalismo, infatti, non è un dato astorico oppure epocale permanente, sempre eguale dal settecento ad oggi, ma è qualcosa di storicamente determinato in senso spaziale e temporale, ed è cioè qualcosa di dipendente dall’esperienza generazionale, dalla collocazione sociale nella divisione del lavoro, eccetera. Questa è la ragione per cui, a mio avviso, esso non deve essere preventivamente sottoposto alla condivisione di un’ortodossia ideologica, fosse pure la migliore del mondo. E dal momento che l’ortodossia ideologica migliore del mondo per ciascuno di noi finisce di fatto con l’essere la propria, dando luogo a tragicomiche vicende di tipo narcisistico ed autoreferenziale si organizzano di fatto solo i pochissimi “veri credenti”.
Questo discorso, ovviamente, vale innanzitutto per me stesso, e mi considero pienamente consapevole di questo.
E questo è in breve il primo punto programmatico.

PARTICOLARE
CHIAMARSI FUORI DAL BIPOLARISMO CENTRO-DESTRA/CENTRO-
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Firenze, ottobre 2002 in occasione del sociale forum europeo |
SINISTRA
Per questa ragione è del tutto inutile ipotizzare di fondare una nuova forza politica se non ci si mette bene d’accordo sul fatto che in ogni caso, per ora e nelle attuali condizioni storiche, nonsi vota per l’Ulivo e ci si mette fuori dell’illusione bipolare Polo-Ulivo. E nelle stesso tempo deve essere anche chiaro che non ci si presenta alle elezioni in modo testimoniale senza che ci siano ancora le condizioni minime di visibilità e di consenso, perché questo vorrebbe dire prendere percentuali da prefisso telefonico e farsi ridere dietro da tutti. Ancor peggio, vorrebbe dire di fatto ridicolizzare una causa storica e strategica con elettoralismi affrettati e mediatici.
ALLEGATO B. SUL MARXISMO

GIÙ LE MANI DAL POPOLO NO TAV! di Vincenzo Baldassarri
I NODI VENGONO SEMPRE AL PETTINE di Marxista dell’Illinois n.2
segnala ai suoi lettori che ha espresso il proprio dissenso con l’amico Borghi Aquilini. La prova sarebbe appunto il suo cinguettio. Gliene diamo atto, solo che su una questione della portata della Flat Tax non è che uno se la possa cavare con un paio di pelosi e sconcertanti tweet.
endorsement senza principi per la Lega Nord.
era da tempo nel programma della Lega Nord?
Avevamo avvisato Bagnai che questa paccottiglia strategica lo avrebbe ficcato in brutti pasticci. Sta a lui venirne fuori se non vuole lasciarci le penne.
SOVRANISTI VERI E SOVRANISTI FASULLI di Piemme

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Sovranisti? (clicca per ingrandire) |
che del neoliberismo è la quint’essenza) il suo cavallo di battaglia. E pensare che questi opportunisti solo ieri parlavano di Keynes, di aumento della spesa pubblica per la piena occupazione, di rispetto della Costituzione.
stessi metodi di infiltrazione.
sovranisti fasulli.
DI RITORNO DALLA GRECIA: SE SYRIZA SALE AL GOVERNO
VENTOTENE, GLI STATI-NAZIONE E L’IMPERIALISMO di Luciano Barra Caracciolo
Questa recensione premette che:
«Dopo le tragedie dei totalitarismi e i massacri della guerra, una ricostruzione dell’Europa a partire dalla ricostituzione degli Stati sovrani, cioè propriamente dalla riproposizione delle cause di tanta sventura, pareva essere un errore foriero di nuovi altri mali, già sperimentati. Occorreva ascoltare la lezione della storia».
Da questa premessa è poi giocoforza arguire che:
La storia avrebbe dimostrato l’illusorietà di quel “a portata di mano”. La liberazione dai fascismi non avvenne affatto in nome dell’Europa, ma in nome delle nazioni e della loro indipendenza e autosufficienza».
da un documento mai ben analizzato (e compreso) nella sua ideologia economica e, ancor più, PRECEDENTE alla soluzione data, a tali problematiche, dalla Costituzione nel suo complesso, cioè la trasformazione del ruolo della sovranità, da potere illimitato al servizio delle oligarchie dominanti le Nazioni a quello di tutela dei diritti fondamentali “attivi” pluriclasse.
Quest’ultima, nel caso del nazifascimo, peraltro —nella logica tutta europea (e occidentale) dell’ “ordine internazionale del mercato”, da conquistare—, proiettata, (nella Storia moderna europea e fino al ‘900), verso un’affermazione non statalista “indipendentista”, quanto semmai imperialista, di espansione coloniale, e di concorrenza con i precedenti “oligopolisti” del colonialismo, che avevano affermato lo status quo, con le armi, al mondo intero.
E dunque la revanche tardo-colonialista dei totalitarismi (e dello stesso Giappone in ascesa industriale ma tagliato fuori dalla aree colonizzate delle materie prime), era dunque contrapposta per necessità ai colonialismi dei pretesi mercati liberoscambisti “universali”: ciò apriva una partita che si risolveva necessariamente per un mutamento conflittuale dei precedenti equilibri egemonici —non certo di parità wesftaliana— all’interno dell’Europa.
4. Ma tutti insieme, questi imperialismi, totalitari, (ma radicati nel cuore di un’Europa che andava loro stretta), ovvero liberoscambisti, (autoproclamatisi “mondo libero” solo sul presupposto del totale misconoscimento della pari libertà dei popoli situati nelle aree assoggettate alla colonizzazione, “escludente” i primi), erano riconducibili non alla generalità degli Stati sovrani nazionali europei, ma ad un concentrato di pochissimi Stati, alternativamente egemoni.
Cioè all’alveo ristretto che, pur dopo Westfalia, non avevano mai abbandonato la tendenza imperialista e che, dunque, si erano caratterizzati per l’aspirazione al dominio su ogni altra Nazione, europea o extraeuropea.
Sfugge quindi che il principio di Westfalia, la parità di ciascun detentore della sovranità, era stato costantemente negato; e, anzi, proprio questa negazione, e non certo i “nazionalismi”, aveva dato luogo “a incessanti guerre e devastanti” sullo scenario continentale, guerre che, peraltro, coinvolgevano l’intero mondo colonizzato da queste entità imperiali.
La stessa Rivoluzione francese (a tacere della guerra di Successione che il Re Sole scatenò pur essendo l’inchiostro di Westfalia ancora fresco), nasce da un collasso economico-finanziario della monarchia determinato dallo scontro “triangolato” tra Francia e Inghilterra, per la protezione accordata dalla prima verso i nascenti Stati Uniti; protezione non certo “idealistica”, ma, se vogliamo, “pretestuosa”, essendo lo sviluppo di politiche ostili e di guerre coloniali già in corso tra le due Potenze “imperialiste” europee del tempo (e a loro volta, in precedenza tese a contendersi le spoglie dell’Impero spagnolo sui territori centro-Nord americani).
5. In pratica, SI IGNORA come le due guerre mondiali fossero state, (nella perfetta tradizione europea), il prodotto della negazione, non della riaffermazione, della pari dignità degli Stati affermata dai trattati di Westfalia; e questo in nome di super-entità, —certo statali, ma inevitabilmente autoproclamatesi sovrastatali. Questi Super-Stati (che sono sempre stati presenti nel caratterizzare l’equilibrio del diritto internazionale) si erano rigenerati, dopo le due rivoluzioni industriali e la riproposizione mercantilista del gold standard, della “totale flessibilità del lavoro”, con diverse forme di oligarchie capitaliste, (sostanzialmente identiche nelle aspirazioni all’egemonia sovranazionale), mosse da interessi contrapposti di tipo capitalistico-industriale.
“Stranamente”, le istanze federaliste che esaltano la negazione della originarietà della sovranità statale, non colgono come i trattati internazionali, quand’anche proposti come Costituzioni “universali”, siano sempre l’inevitabile prodotto dei rapporti di forza, economica e militare, all’interno di una qualsiasi parte della comunità internazionale. E quindi, come questa costante negazione di Westfalia, si sia proiettata, col prevalere del capitalismo mercantilista e industriale, in assetti che irresistibilmente, ricalcano i difetti del liberoscambismo: la necessità del lavoro-merce come viatico alla “competitività”, la connessa esigenza della “stabilità dei prezzi” assicurata dal vincolo monetario, lo svuotamento dei processi democratici di tutela dei diritti fondamentali in nome dell’autoritarismo T.I.N.A. [There Is Not Alternative, Ndr] dei “mercati”.
6. SI IGNORA, IN DEFINITIVA, LA STAGIONE DEL COSTITUZIONALISMO di temperamento del “capitalismo sfrenato” —come evidenzia Popper—, che cercò di risolvere la vera radice di quel mondo guerreggiato novecentesco: il conflitto sociale.
Si ignora quindi come, tale stagione, fu apportatrice di PACE —del tutto avulsa dal postulato del “federalismo negatore” della sovranità nazionale democratica— nonché di benessere e democrazia per i popoli che lo abbracciarono.
Certo, storicamente questa fase storica, sopravvenuta a “Ventotene”, rifletteva ciò che il federalismo europeista aggira nella sua dimensione di problema centrale, soffermandosi sull’effetto, la guerra, e ignorando le cause: il modo in cui gli Stati imperialisti intendono ed esportano il conflitto di classe.
Il secondo dopoguerra del ‘900 , è senza dubbio anche il riflesso di una escalation della trasformazione politico-internazionale del conflitto sociale; quella cioè concretizzatasi nella contrapposizione tra socialismo reale e Stati pluriclasse del welfare e geograficamente “ratificata” nel patto di YALTA. Quest’ultimo, aveva già segnato, proprio nella inequivocabile “lezione della Storia”, il superamento del totalitarismo nazifascista.
Il riportare la soluzione del problema dei conflitti in Europa alla percezione delle cose di “Ventotene”, ignora, altresì, un altro imponente rivolgimento storico: la sopravvenuta centralità del conflitto di classe, simmetrico all’affermarsi aggressivo del capitalismo sfrenato, non consentiva di assimilare il totalitarismo stalinista a quelli che, pur ad esso in parte storicamente sovrapposti, l’avevano preceduto (cioè gli imperialismi coloniali delle super-Nazioni egemoni su conglomerati europei o extraeuropei).
Il marxismo-leninismo russo (pur nell’ambiguità di Stalin sul ruolo leader della Russia, ora Nazione egemone, ora, sede ecumenica dell’Internazionale “vivente” in Terra), rendeva insostenibili i vecchi imperialismi europei.
Ed invece, nel nome di “Ventotene” —essenzialmente in Italia (altrove non danno molto peso a questa presunta “genesi” ideale, potendo rammentare ben altre radici)— si è arrivati alla deleteria proposizione che la moneta unica, cioè il paradossale presupposto per una obbligata lotta di competizione mercantilista tra gli Stati europei coinvolti, sarebbe stata meglio, per conservare la pace dall’aggressività tedesca(!), di un trattato di stretta cooperazione di politica estera e della difesa.
7. Con l’aspirazione internazionalista-federalista, si prosegue, in sostanza, in modo a-storico e inconsapevole, a ragionare sulla realtà delle oligarchie contrapposte del XX secolo, se non altro perchè si pretende che il preteso super-trattato, accentratore di sovranità primigenia (degradando quella degli Stati democratici), possa non essere il prodotto “leonino” (art. 2265 cod.civ.)” di un “asse” tra le potenze storicamente egemoni che gli danno vita, coltivando un’illusione propagandistica ed utopica che non ha mai visto una conferma proprio nella “lezione” delle vicende storiche.
La realtà e l’applicazione dei trattati europei conferma, invece, che —quale che sia la cornice ideale e filosofica che si vuol dare al “federalismo”—, esso non può che vivere nelle dinamiche del diritto internazionale, specie se si pensi irrealisticamente di poterle superare dall’angolazione limitata di intellettuali appartenenti a Nazioni strettamente influenzate culturalmente da quelle stesse potenze egemoni.
Il che suggerisce pure una radice storica di questa “resa unilaterale” del…più debole, che vuole dissolversi nel dominio del più forte, visto come eticamente superiore: e, quindi, implicitamente superiore. E quindi implicitamente AUTORAZZISTA.
8. Ma l’utopia inconsapevole in questione, sconfina ulteriormente nell’ipocrisia: degli imperialismi coloniali i fascismi costituirono, come abbiamo visto, solo uno sviluppo contrappositivo, ma tutto all’interno del conservatorismo liberista.
Abbiamo visto cioè che, sul fare del ‘900, trascinati dalla loro stessa intransigenza, i liberisti, da soli, avevano progressivamente perso il controllo sociale degli Stati-comunità e delle relative istituzioni. E proprio a causa dell’assetto predatorio del capitalismo da essi propugnato, della ossessione per il “vincolismo monetario” del gold standard, e delle spaventose crisi economiche ricorrenti che avevano innescato la reazione del lavoro, cioè il conflitto di classe.
Una lente deformante, una “cataratta” prodotta dall’inerzia culturale e dall’enorme pressione mediatico-culturale del capitalismo finanziario in cerca di rivincita, offusca in Italia (ancora più che nel resto d’Europa) la percezione della realtà della crisi.
QUANDO SE NE ANDRÀ SARÀ TROPPO TARDI di Emmezeta