A pochi anni di distanza il settore è vittima di una gigantesca bolla, dello stesso tipo di quella che nel 2007 sconvolse il settore immobiliare USA (nota come bolla dei subprime).
Il crollo del prezzo del petrolio da 110 a meno di 50 dollari al barile (che ha trascinato con sé le quotazioni del gas) ha determinato fallimenti a catena delle aziende produttrici e dei creditori, con conseguente licenziamento degli addetti.
Questa vicenda, l’ultima in ordine di tempo, mette in evidenza (senza considerare i danni irreparabili all’ecosistema) la principale e irrazionale caratteristica del sistema capitalistico.
Essendo la molla della produzione la caccia al profitto, accade che gli investimenti si spostino massicciamente nei settori più redditizi, con ciò determinando un aumento della capacità produttiva (offerta). Questa è la prima fase.
Poi sopraggiungere la seconda. Quegli investimenti per produrre quella data merce, erano appunto avvenuti in base al prezzo di mercato altamente remunerativo del momento, quando la domanda era superiore all’offerta. Ma l’aumento della capacità produttiva, quindi l’arrivo sul mercato di una maggiore quantità della merce in questione, produce giocoforza la diminuzione (il crollo come in questo caso) del suo prezzo, al punto che esso non può remunerare i costi di produzione ed il saggio di profitto.
E’ esattamente quanto sta accadendo al settore del petrolio e del gas: la classica crisi di sovrapproduzione —quella che nei manuali di economia viene descritta come offerta in eccesso rispetto alla domanda.
Sottolineiamo poi la peculiarità di questa crisi di sovrapproduzione (bolla) del settore energetico. Marx e i classici analizzarono le crisi di sovrapproduzione in ambiente di concorrenza e libero mercato. Oggi siamo in presenza di un mercato oligopolistico in cui un pugno di colossi gestiscono produzione, scambio e distribuzione di petrolio e gas. La concorrenza non solo non è abolita, è ingigantita, e gli effetti possono essere ancor più devastanti. Se teniamo conto che dietro a questi colossi stanno gli Stati, la vicenda non è solo meramente economica ma geopolitica.
La decisione dei paesi OPEC, Arabia Saudita in testa, di non diminuire ma aumentare la loro produzione, ha causato il crollo del prezzo di petrolio e gas, ciò che ha messo fuorigioco l’industria di shale gas nordamericana (ma anche in grande sofferenza la Russia putiniana)
Come sottolinea Luca Pagni:*
«Dopo essere stato il fenomeno che ha contribuito a sostenere la ripresa economica degli Stati Uniti, garantendo indipendenza dalle importazioni e energia elettrica in quantità a basso prezzo, il gas e il petrolio estratto dalla roccia stanno provocando non pochi problemi al sistema finanziario. Fallimenti, licenziamenti, bancarotte e una montagna di crediti inesigibili sono all’ordine del giorno.
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Il grande balzo dello shale gas negli Usa: le principali aziende |
Con il petrolio a prezzi così bassi, giacimenti di shale gas nati per essere vantaggiosi con le quotazioni del barile attorno ai 90-100 dollari sono diventati improvvisamente un costo non più sostenibile. Soprattutto tenendo conto che la maggior parte dei costi di estrazione e produzione dei pozzi erano garantiti da prestiti concessi in grande quantità e con una leva che in alcuni casi raggiungeva il 90 per cento del totale. In sostanza, la stessa cosa accaduta negli anni del boom immobiliare con i mutui concessi senza garanzie alcune.
Detto in altri termini, con il crollo del greggio, in alcuni casi i costi sono aumentati del 100 per cento, perché i giacimenti hanno fermato la produzione e non c’era più la materia prima estratta per coprire le spese del debito».
* Shale gas, è giunta l’ora dello scoppio della bolla. Economia e Finanza del 31 gennaio
E' tutto da vedere quanto il crollo dei prezzi del petrolio non sia dovuto alla ripresa della guerra economica che gli Stati Uniti portano alla Russia tramite il proxy saudita.Già negli anni Ottanta Reagan si accordò colla casa di Saud garantendo aiuti militari, spionistici e diplomatici in cambio dell'aumento della produzione. La cosa giocò un ruolo importante nel crollo dell'Unione sovietica, che come si sa fonda buona parte del PIL sulle esportazioni petrolifere.In cambio Washington fece dei Saud uno dei pilastri della loro politica mediorientale, garantendoli da problemi sia interni (rivoluzioni islamiche) che esterni (prima guerra del Golfo).Sugli anni 80 cfr. P. Schweizer, "Victory: the Reagan Administration's Secret Strategy". Sul crollo dei prezzi attuali vedi il recente volume curato da Limes, "La Russia in guerra" (dicembre 2014), soprattutto i saggi di Fabbri e di Hulsman: "alla fine si impone lo schema classico dell'offensiva obamiana: aggressione coperta, condotta con mezzi finanziari e di intelligence […]. L'intensificazione del sostegno all'Ucraina fa tutt'uno coll'attacco al cuore energetico dell'economia russa" (p.119).
Questione interessante….Mentre la redazione insiste sul carattere anarchico dell'economia capitalista (fattore che prevale sul fattore geopolitico) Lorenzo è della scuola opposta, quella per cui prevale sempre il disegno geopolitico imperiale sull'economia, e prevarrebbe a tal punto che casa Bianca e Pentagono pur di rompere le ossa a Putin accettano il rischio di scatenare una bolla che punisce anzitutto un pezzo strategico dell'industria americana (con relative ingenti perdite del sistema che ha finanziato lo shale).Propoendo per la tesi della Redazione.Con la bolla rischiano di andare in fumo, oltre ai 600mila addetti nello shale, centinaia di miliardi di dollari.E poi, geopolitica per geopolitica, i colossali investimenti per estrarre gas dalla fratturazione dello scisto non furono proprio fortemente voluti e pilotati potere centrale USA? Certo che è così!!Allora i geopolitici spiegarono che pur di "rompere le ossa" alla Russia, gli USA si erano buttati su una produzione a costi altissimi e che dunque portava con se i rischi enormi che poi si sono puntualmente verificati.Claudio SannaNbLIMES? Negli anni ne ha prese di cantonate Caracciolo!
A mio modesto avviso invece valgono entrambe le opzioni. Si potrebbe ipotizzare che la faccenda Siria/Ucraina sia tutto un fluire dello scontro tra imperialismi sia locali (conflitto tra sciti/sunniti e tra le varie anime della sunna) che mondiali con gli Stati Uniti che si vendicano dello sgarbo Siriano portando la guerra all'interno dell'ex area sovietica. Ma nonostante che i prezzi di estrazione russi siano più bassi delle produzioni shale l'embargo ha permesso di rendere più dannosa alla Russia il calo del prezzo del petrolio che alle produzioni USA almeno in un primo tempo. Poi però l'avidità degli operatori ha spinto i trend molto più in profondità ed anche la produzione USA ha cominciato a patire nonostante avesse venduto a termine buona parte del petrolio e quindi almeno al momento il ribasso ha un impatto minore sulla produzione. Ma certo un lungo tempo di prezzi tra i 40 e 50 dollari al barile avranno delle conseguenze anche in USA dove l'economia USA escluso il Texas ha ancora una crescita economica negativa.
Anche affidarsi ciecamente al "Mecato" può giocare qualche scherzo spiacevole nell'intricato puzzle degli "affari".Meno male direi :Nessun orologio è perfetto!Magari si inceppasse e grippasse questo sistema di oppressione e rapina!
Un successo epico. Hanno convinto investitori incauti a finanziare una bolla speculativa nella quale la risorsa prodotta abbatteva le bollette negli Usa, mentre il debito generato si ammucchiava nel portafoglio degli sprovveduti.Semplificando: hanno convinto un gruppo di stolti di passaggio a pagare loro il pieno. Ha funzionato, ma si può fare una volta sola. Il guaio è che anche noi italiani ci rimetteremo dei soldi.