[ 7 maggio ]
Dopo l’italicum e prima che sia troppo tardi.
Le cose hanno un nome, a volte poco gradevole. Quello del futuro disegnato dall’Italicum è regime.
Più precisamente: regime renziano.
Anche se la legge elettorale non è materia direttamente costituzionale, è questa legge che disegna il sistema politico e determina in buona parte la stessa distribuzione dei poteri.
«Quella in discussione in questi giorni alla Camera non è solo una legge elettorale truffaldina. Essa è il grimaldello per costruire un regime personalistico e mono-partitico. Un regime disegnato su misura per Renzi e per un Pd che è sempre più il suo partito personale».
Ieri l’altro questo obbrobrio è stato approvato dalla Camera. Ed oggi arriverà anche la firma dell’integerrimo Mattarella, messo lì da Renzi a far da palo. Pur di ottenere il risultato, il ducetto fiorentino ha stracciato ogni regola: impedendo ogni modifica al testo approvato dal Senato, sostituendo i propri parlamentari dissidenti in commissione, ponendo la questione di fiducia al governo su una materia tipicamente parlamentare, minacciando ogni tipo di sfracello in caso di bocciatura.
Questa tattica di squadrismo parlamentare ha avuto successo. Ma non ci soffermeremo su questo, dato che sul punto non avevamo dubbi. Sapevamo che al famelico blocco di potere renziano, sulla cui natura converrà invece riflettere, si sarebbero aggiunti i tanti Don Abbondio che aspirano almeno ad allungare di un paio d’anni la legislatura.
Quel che importa semmai rilevare è l’infimo livello di rappresentatività di coloro che hanno detto sì all’Italicum. Mentre a parole si è sempre affermata (anche da Renzi) la necessità di una larga condivisione in una materia così delicata, alla fine la legge se l’è intestata, peraltro non al completo, il solo Pd. Un partito che ha da solo quasi la metà dei deputati, pur essendosi fermato due anni fa al 25% dei consensi. Effetto plateale di un premio di maggioranza abnorme e dichiarato incostituzionale, che è servito a varare un nuovo premio di maggioranza altrettanto mostruoso ed antidemocratico.
Ma fermiamoci qui. Abbiamo scritto tante volte sull’orrendo disegno renziano, e se c’è una cosa che non manca sono proprio gli argomenti per contrastarlo. Il problema è che gli argomenti non sempre bastano. Ci vuole anche una strategia, come pure una tattica. Proviamo ad occuparci di questo, che è il problema dell’oggi. Prima però dobbiamo chiarire per quale motivo parliamo di regime.
Perché parliamo di regime
Probabilmente qualcuno considererà eccessivo il termine “regime”. A giudizio di chi scrive non c’è invece alcun eccesso, anzi. Un regime non è necessariamente una dittatura, mentre viceversa una dittatura consolidata (ad esempio, il fascismo) è indubbiamente una forma di regime. Ma un regime è stato anche quello democristiano, che così veniva tranquillamente definito da osservatori di varia tendenza senza che ciò fosse motivo di scandalo alcuno. Ora non possiamo descrivere per filo e per segno quel che sarà – nella sciagurata ipotesi che riesca ad insediarsi come tale – il regime renziano. Quel che invece possiamo già dire adesso è che, se così andranno le cose, avremo certamente un regime assai più dispotico ed antipopolare di quello costruito dalla vecchia Dc.
Che cos’è dunque un regime? Con buona approssimazione possiamo dire che un regime è un sistema politico chiuso, basato su un preciso blocco di potere, su precisi ed inamovibili partiti, disegnato per garantire una certa politica e determinati interessi dominanti. Ma un regime, per essere tale, deve essere in grado di durare nel tempo, di segnare davvero un’intera fase storica.
Questa definizione, certo non esaustiva, è tuttavia sufficiente a chiarire perché quello democristiano (1948-1992) è stato a tutti gli effetti un regime. Viceversa, e proprio per gli stessi motivi, il potere berlusconiano, per quanto odioso, non è invece mai riuscito ad esserlo. I suoi governi si sono alternati per 17 anni con quelli del centrosinistra, le sue riforme costituzionali non sono mai andate in porto e – cosa ancora più importante – le élite economico-finanziarie non l’hanno mai amato troppo.
Renzi, invece, è al governo soltanto da un anno, ma sta letteralmente stravolgendo la Costituzione. E lo fa con il pieno appoggio delle oligarchie dominanti, italiane ed europee. Un sostegno che gli deriva dall’attacco frontale (Jobs act e non solo) che egli è stato in grado di portare ai diritti dei lavoratori. L’Italicum è dunque l’ultimo tassello – quello decisivo – nella composizione di un mosaico che è quello tipico di un regime.
Alcuni, del tutto a sproposito, dicono che l’Italicum tenda alla ricostruzione del bipolarismo. Ora, chi scrive ha prodotto fiumi di inchiostro contro il bipolarismo, che negli anni 1994-2011 è stato il vero “regime”, un sistema di forze tanto falsamente alternative, quanto intercambiabili nella sostanza. Ma qui il bipolarismo non c’entra proprio niente.
Altri, con maggior precisione, scrivono di bipartitismo. Ed effettivamente l’Italicum, escludendo le coalizioni, si presenta come un sistema almeno tendenzialmente bipartitico. Ed il bipartitismo è in definitiva il modello ideale degli stessi sostenitori del bipolarismo. Dunque è a questo che mira Renzi? Non esattamente.
Di sicuro, il bipartitismo è un sistema amato dalle classi dominanti. Dà l’illusione della democrazia, mentre assicura totalmente gli interessi di lorsignori. Per capirlo, guardare agli USA basta e avanza.
Ma Renzi vuole, e pretende per se stesso, qualcosa di più. Il suo vero obiettivo è il mono-partitismo. Che non è la dittatura formale, ma l’esclusione di fatto degli altri partiti dalla contesa per il potere. Ovvio che questa esclusione non potrà essere eterna, neppure con l’Italicum. Ma ciò che gli interessa è assicurarsi il potere per un lasso di tempo il più lungo possibile. E l’Italicum è fatto appositamente per raggiungere questo scopo. E’ una legge fatta a misura di Pd e del suo segretario. Se si capisce questo, si comprende quanto sia appropriato il termineregime.
Come fermare Renzi?
Come fermare questo disegno? Abbiamo già detto che, oltre agli argomenti (che ci sono), occorre una strategia ed una tattica. Vediamo.
Sul piano strategico sarà impossibile porre fine al progressivo degrado della democrazia parlamentare senza una vera rivoluzione democratica. Chi ci segue sa cosa intendiamo: riconquista della sovranità monetaria e nazionale, una politica di sganciamento dai meccanismi del capitalismo-casinò, un’economia posta al servizio della società e non viceversa. Su questa base ben venga la riforma di istituzioni screditate, ma per restituire alla parola “democrazia” un senso, non – come avviene ora – per svuotarla di ogni significato. Ed è chiaro che una simile riforma istituzionale, avente l’obiettivo di allargare la democrazia, non di restringerla, potrà essere varata solo da un’assemblea costituente eletta con il sistema proporzionale, non certo da un parlamento di nominati eletto con una legge truffa.
L’importante è capire lo stretto legame esistente tra politica economica ed interessi dominanti da un lato; diritti sociali, sovranità e democrazia dall’altro. Qui bisogna comprendere che il problema non è solo Renzi. Il principale centro propulsore dell’attacco alla democrazia risiede nelle sedi decisionali di quelle oligarchie finanziarie dalle quali bisogna liberarsi. Il capitalismo reale del XXI secolo è fatto così. Mentre esiste un unico Dio, il denaro; le decisioni che contano sono quelle prodotte dal “mercato”, cioè in definitiva dalla risultante dei comportamenti meramente egoistici dei soggetti che di fatto lo governano.
Ma siccome una parvenza di democrazia va pur mantenuta, e siccome la sfera politica è pur sempre necessaria ad evitare perturbazioni eccessive del loro dominio, ecco che devono trovare il modo di sterilizzare la stessa democrazia parlamentare. Quella sulla cui superiorità hanno a lungo giocato, nel 1945-1989, per magnificare la superiorità del loro mondo. Ma da quando, con la globalizzazione, il “loro mondo” è diventato l’intero pianeta, anche quel giocattolo ha da essere rivisto.
Da lì il via a tutte le forme di progressivo annichilimento della democrazia: più potere agli esecutivi ad ogni livello, presidenzialismo, leggi elettorali maggioritarie, trasformazione dei partiti in mere macchine elettorali, controllo ancor più stretto sui media, e chi più ne ha più ne metta.
Da tutto ciò deriva con chiarezza l’esigenza di una svolta radicale. Da qui l’urgenza di riaprire una prospettiva di alternativa. Ma anche la necessità di una lotta immediata al progetto renziano. Ed è qui che entra in campo la tattica, l’analisi e poi la scelta degli strumenti immediati da mettere in campo, per fermare il ducetto prima che il suo progetto divenga triste realtà.
Quali strumenti usare, qui e ora?
Arriviamo così al cuore del problema. Come fermare Renzi, ed intanto come fermare la nuova legge elettorale? L’Italicum è ormai approvato, ma esso diventerà operativo solo dal 1° luglio 2016. Ci sono dunque quattordici mesi in cui sviluppare l’iniziativa e la lotta.
Quattordici mesi decisivi. Infatti, l’Italicum è stato fatto per una sola Camera, essendo strettamente collegato all’abolizione del Senato elettivo, altra perla dell’offensiva antidemocratica del fiorentino. Qualora si dovesse votare prima lo si dovrebbe fare con ilConsultellum, un proporzionale con doppia soglia di sbarramento al 2 ed al 4%. Un sistema che stopperebbe almeno per un po’ il disegno autoritario del segretario del Pd.
Salvo precipitazioni indotte da fattori “esterni”, che certo non escludiamo, è dunque del tutto improbabile il ricorso alle urne prima del 2017. Chi parla di un possibile decreto per votare da subito con la nuova legge dimentica tre cose:
1. I decreti vanno comunque trasformati in leggi e l’attuale parlamento ha tutte le intenzioni fuorché quella di auto-dissolversi.
2. In ogni caso la legge non sarebbe applicabile al Senato, il quale – finché non sarà approvata definitivamente la controriforma – manterrà le stesse prerogative della Camera, impedendo dunque il monocolore Pd a cui lavora Renzi.
3. Per essere davvero operativo l’Italicum ha dunque bisogno della trasformazione del Senato in dopolavoro per consiglieri regionali annoiati. Ma questo non potrà avvenire prima della primavera 2016. Non solo Renzi ha bisogno di un po’ di tempo per ricompattare al massimo il Pd allo scopo di non andare sotto nella terza lettura della sua controriforma al Senato, che ad oggi sembrerebbe prevista per luglio. Non solo dovrà comunque attendere la quarta lettura alla Camera. Egli dovrà anche aspettare il referendum confermativo, previsto dall’articolo 138 della Costituzione qualora, come sarà nel nostro caso, la modifica costituzionale non sia stata votata dai due terzi del parlamento. Per ottenere il referendum è sufficiente un quinto dei membri di una delle due camere, un numero non certo difficile da raggiungere.
A tutti gli effetti l’Italicum è dunque ancora in mezzo al guado. E’ lì che bisogna impallinarlo, nel suo incestuoso rapporto con la controriforma costituzionale.
In astratto, l’impresa potrebbe anche riuscire al Senato. In pratica, per le stesse ragioni per cui Renzi ha vinto alla Camera, è ben difficile che avvenga.
Il referendum, invece, contrariamente a quel che pensa il borioso ex sindaco di Firenze, è tutto da giocare.
Ma c’è un altro referendum di cui si parla in questi giorni. Ed è quello, specifico, sulla legge elettorale. Referendum certamente proponibile in termini di legge. Referendum che potrebbe abolire tanto il premio di maggioranza che il ballottaggio, nonché il meccanismo dei capilista bloccati.
Ora, pur di fermare il nascente regime ogni arma è valida. E’ giusto perciò considerare tutte le possibilità esistenti. Personalmente, ritengo però che l’arma del referendum confermativo sulla modifica costituzionale sia al momento la migliore. Quella da privilegiare, anche se non necessariamente l’unica.
Il referendum abrogativo sulla legge elettorale avrebbe certo il vantaggio, in caso di una vittoria abrogazionista, di azzerare immediatamente e senza bisogno d’altro l’immonda legge approvata in questi giorni. Ma il referendum costituzionale ha, a mio parere, altri decisivi vantaggi. Vediamoli:
1. Mentre il referendum abrogativo verrebbe politicamente “intestato” a qualcuno, creando di sicuro dissapori nella sua gestione pubblica, quello costituzionale – risultando in un certo senso “istituzionale” – unirebbe più facilmente il fronte delle opposizioni.
2. Mentre tra chi vuole abrogare la legge elettorale vi sono diverse idee sulle parti da abrogare – ad esempio la Lega vorrebbe cancellare il doppio turno ed i capilista bloccati, ma non il premio di maggioranza – un no alla controriforma costituzionale renderebbe di fatto inapplicabile la legge nel suo insieme. Certo, Renzi potrebbe – con una nuova forzatura parlamentare – estendere l’Italicum anche al Senato – ma non si capisce proprio come si potrebbe applicare il doppio turno ad un sistema che dovesse rimanere bicamerale. Un doppio ballottaggio è una contraddizione in termini sulla quale la Corte costituzionale non potrebbe fare a meno di intervenire.
3. Mentre il referendum abrogativo necessita non solo delle firme, ma anche dell’approvazione dei quesiti da parte della Consulta – un passaggio sul quale si eserciterebbe una formidabile pressione politica -, quello costituzionale non può essere in alcun modo stoppato.
4. Mentre il referendum abrogativo ha bisogno, per essere dichiarato valido, del voto del 50% + 1 del corpo elettorale, quello costituzionale non prevede una simile soglia. Un vantaggio non piccolo, dato che nel caso di referendum abrogativo Renzi potrebbe giocare la carta dell’astensione, che sommandosi a quella fisiologica, potrebbe portare all’invalidazione della consultazione referendaria. Perché lasciargli questo vantaggio?
5. Infine, mentre il referendum costituzionale potrà esserci solo in questa occasione, quello abrogativo potrà essere proposto anche successivamente. Dunque: giocare due carte contemporaneamente, oppure giocare prima quella a disposizione e poi, eventualmente, la seconda in un momento successivo? Evidentemente non è una scelta nelle nostre mani, ma la logica politica non lascia spazio al dubbio.
Un referendum su Renzi
Fin qui le mie opinioni a caldo sulla tattica da seguire. Può ben essere che dal dibattito in corso emergano elementi diversi che ci portino a differenti conclusioni. Vedremo. L’importante è l’obiettivo e la determinazione nel perseguirlo scegliendo la linea più efficace.
Non possiamo, però, fermarci agli aspetti tecnici. Essi possono essere decisivi, ma nessuna speranza di vittoria potrà esservi senza una preliminare consapevolezza politica, fondata su due elementi intimamente connessi tra loro. Il primo elemento di consapevolezza consiste nel fatto che Renzi potrà essere sconfitto solo con una vera mobilitazione popolare. Una mobilitazione come quella che si è vista ieri sul tema della difesa della scuola pubblica. Ma c’è un secondo elemento non meno cruciale, ed esso risiede nella consapevolezza che Renzi perderà la consultazione solo se il voto si trasformerà in un referendum su di lui e sulla sua politica.
«Il referendum confermativo non potrà svolgersi prima della primavera del 2016. Formalmente si tratterà di una consultazione sulle modifiche costituzionali. Abbiamo già detto che Renzi cercherà di trasformarlo in un plebiscito sul “cambiamento”. E se invece, alla fine, diventasse – anche grazie alla sua linea del “solo contro tutti” – un referendum proprio su Matteo Renzi e sul suo governo? Provate ad immaginarvi un referendum sul Jobs Act, sui tagli, sull’insieme delle scelte economiche. E magari anche su tutte le altre porcherie, compresi i tanti aiutini ad amici ed amichetti delle banche e della finanza speculativa. Il bullo lo vincerebbe ugualmente? Non lo pensiamo affatto».
Questo è l’essenziale. Riuscire a far convergere i mille rivoli di un anti-renzismo che comincia a crescere, catalizzare il diffuso malcontento per i pessimi risultati della sua politica economica. Ed infine, nel nostro piccolo, avere la capacità di collegare questa battaglia al progetto di alternativa al quale stiamo lavorando come promotori di ORA.
Tanto per cominciare il Presidente della R. annuncia il superamento della crisi. Da cosa possa dedurlo obiettivamente non vedo, ma è ill Presidente.L'articolo è analitico e inappuntabile, ma, come per tutte le disquisizioni precise, è difficile da leggere perché le argomentazioni non sono sinteticamente organizzate.Quando ci si rivolge alle masse occorrerebbe essere essenziali e stringati.Vedremo come andrà. Prima cosa da fare mi sembrerebbe formare i comitati per i referendum cominciando per tempo la raccolta delle firme.
leonardo come sempre sei esaustivo ed anche comprensibile; una cosa però hai dimenticato di precisare, che renzi alla fin fine è un fantoccio, nelle mani dei poteri forti che l'hanno messo apposta li dove si trova, appunto conoscendo le sue ambizioni da ducetto, ed il ducetto glielo lasciano far fare; però il cervello pensante non è quello di renzi, ma quello dei pupari che si dilettano dietro le quinte; e come per ogni fantoccio al momento opportuno se ne disferanno.
Carissimo Roberto,accetto volentieri la tua critica, ma nel merito ho un'opinione un po' diversa.Sicuramente Renzi è appoggiato da centri importanti del potere economico e finanziario. Tuttavia, io ho qualche difficoltà a pensarlo come un semplice fantoccio.E' chiaro che in una società capitalistica la struttura economica determina, in ultima istanza, la sua strutturazione politica. E questo vale per Renzi, come per i suoi predecessori. E vale, a maggior ragione, in un periodo di profonda crisi sistemica come l'attuale.Credo, però, che sarebbe un errore immaginare il "politico" come mero esecutore di quanto deciso dal potere economico.Il politico Renzi sicuramente è un buon servitore degli interessi della classe dominante (basti pensare al Jobs act), ma la sua funzione sistemica è più complessa. Egli deve, ad esempio, saper gestire, appianandole nei limiti del possibile, le tensioni sociali. E, soprattutto, è nelle sue mani, assai più che in quelle dei banchieri, la costruzione e la gestione del consenso, senza il quale alla fine non si governa.Dunque, in un regime capitalistico, il "politico" ha una funzione tutt'altro che secondaria. Da qui il suo potere, ed una sua – relativa quanto si vuole – autonomia.E' nell'esercizio (sempre relativo) di questa autonomia che il "politico" (nel nostro caso Renzi) gioca in proprio. In proprio non vuol dire contro i poteri forti, ma vuol dire appunto che non possiamo considerarlo un semplice fantoccio.Poi verrà certo il momento della sua fine, ma non pensiamo che sia già scritta in qualche disegno interno al blocco dominante.Noi dobbiamo avere fiducia nel popolo. Nella sua capacità di reagire e di fare la storia, anche se i tempi del risveglio dal lungo torpore degli ultimi decenni sono per noi insopportabilmente lunghi.
Noi dobbiamo avere fiducia nel Popolo. Certo: il Popolo meriterebbe fiducia perché è il Popolo che fa una Nazione. Ma noi assistiamo continuamente a giganteschi giochi delle tre carte perché sono le regole che fanno il gioco e le regole le voltano e le rivoltano in modo che alla fine restino sempre i mano a loro l'asso di denari, il Sette Bello e il Tre di denari.E il popolo ha un bel rimescolare e studiare le proprie carte e qundo gli sta per venire una bella mano, quelli cambiano le regole.Questa prassi infame inaugurata dal leader referendario e proseguita impavidamente dai suoi imitatori (a cominciare dal Programma della P 2) andrebbe mutata solo rovesciando di botto il tavolo dei bari sbattendoglielo sui denti , perché chi vince scombinaando a suo piacimento le regole del gioco è inequivocabimente un baro. La Costituzione non si doveva scalfire e invece …