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«Ddl Scuola: senza correzioni radicali sulla scuola, lascio il PD» di Stefano Fassina

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[ 15 maggio ]

Ci chiedono perché mai dai voce su questo blog a Fassina. La ragione è semplice. Con l’avvento di Renzi e il suo tentativo di passare ad una “Terza Repubblica” post-democratica (in ossequio ai desiderata della grande borghesia italiana globalista convinta nonché alle direttive degli euro-oligarchi) siamo ad un decisivo punto di svolta. 

“Dentro la crisi sistemica un ciclo politico e istituzionale si chiude, un altro si apre. Il panorama politico subirà grandi mutamenti, un “fronte del rifiuto”, un’ampio e trasversale schieramento d’opposizione sorgerà”, scrivevamo a proposito dell’Italicum il 4 maggio scorso.
Un “fronte del rifiuto” sorgerà solo a condizioni di fratture nel Pd, se da esso si distaccheranno quei dirigenti che hanno compreso che la battaglia per la democrazia è strettamente intrecciata a quella per la riconquista della sovranità nazionale, politica e monetaria.
L’8 maggio pubblicavamo una dichiarazione di Fassina sostanzialmente critica alla “uscita solitaria” di Civati. Noi rimarcavamo che non era solo questione di “uscita solitaria”, che il problema era l’operazione politica che Civati si apprestava e si appresta a fare, ovvero riesumare un contenitore “radicale” ma eurista e quindi sostanzialmente subalterno. Dio ce ne scampi!
In quest’ultima intervista Fassina precisa che anche lui sta meditando l’uscita…

D. Fassina, il Pd – dice Renzi – è e resta un partito di sinistra. Lei invece non è di questa opinione?

R.«Non è un’opinione, ci sono i fatti che parlano. Uno non se lo dice davanti allo specchio che è di sinistra. Neanche il ripescaggio della simbologia storica – mi riferisco al brand delle feste dell’Unità – copre lo spostamento, meglio il riposizionamento di cultura politica, di programma e di interessi rappresentati. E gli esempi sono tanti».

Facciamone qualcuno.

«Innanzitutto il lavoro. Quando Renzi è venuto a rappresentare la delega-lavoro in aula ha motivato l’intervento con il paradigma dell’apartheid, che scarica sui lavoratori con qualche residua tutela, il problema della disoccupazione e della mancata crescita. È il paradigma introdotto da Reagan. C’è poi il disegno plebiscitario, imposto con il voto di fiducia sull’Italicum: uno sfregio al Dna costituzionale del Pd. Con una mano inoltre si danno 80 euro a chi ha un lavoro, con l’altra si riprendono con tagli al welfare locale. L’atteggiamento di ottusa arroganza nei confronti dello sciopero di 618 mila lavoratori della scuola è l’ultimo esempio di un premier che colpisce sistematicamente gli interessi economici e sociali rappresentati dalla sinistra per accreditarsi a destra».
La “sua” sinistra è quella che il premier definisce “masochista”, che non vince e si accontenta di un 25%?
«Abbiamo per la verità vinto nel 1996 e nel 2006. Vincere è condizione necessaria per la politica, ma è un mezzo per cambiare la società. Mentre per Renzi è un fine da raggiungere con qualunque mezzo. Anche spostandosi sulla piattaforma della destra».
Secondo lei, il Pd è diventato un partito centrista?
«È diventato un partito dell’establishment, sostanzialmente in asse con l’agenda tedesca che domina in Europa, con un impianto liberista sul terreno economico e sociale e plebiscitario sul terreno della democrazia».
Le conseguenze di questo suo giudizio è che uscirà dal Pd?
«Senza radicali modifiche al disegno di legge sulla scuola, senza cioè cancellare il potere dei presidi di chiamare i docenti, senza una soluzione dignitosa per gli insegnanti precari e, ripeto, dopo la svolta liberista sul lavoro, dopo le revisioni regressive della Costituzione e sulla legge elettorale, il mio percorso parlamentare nel Pd diventa insostenibile».
Renzi tuttavia le chiede di restare?
«Mi sembra una richiesta rituale. Serve un’inversione di marcia».
Per il premier, se va via dal Pd tanto peggio per lei? È un suo problema?
«Renzi non riconosce il problema politico, che non è il sottoscritto, ma lo pone una parte significativa del popolo dem che ha già lasciato il Pd».
Pensa nascerà una forza politica alla sinistra del Pd?
«C’è evidentemente una domanda di rappresentanza, che viene dal lavoro, dalla scuola e da chi non ce la fa. Non trova risposte nel Pd di Renzi»
È pronto a un progetto con Pippo Civati, che ha appena lasciato il Pd, e con la “coalizione sociale” di Landini?
«Con Civati e con gli altri parlamentari dem che hanno tentato di correggere le cosiddette riforme ci sentiamo e continueremo a sentirci».


5 pensieri su “«Ddl Scuola: senza correzioni radicali sulla scuola, lascio il PD» di Stefano Fassina”

  1. Anonimo dice:

    L'On.le Fassina è uno dei pochissimi politici che conservano un retto senso della Democrazia e delle Istituzioni.Peccato che altri elementi anche storici del PD non abbiano il suo coraggio e la sua lealtà verso lo spirito più genuino della Sinistra.

  2. Ippolito Grimaldi dice:

    Fassina è una delle poche speranze per chi nel PD ha maturato una coscienza sulla necessità della sovranità monetaria, se uscirà dal partito bisognerà dargli tutto il sostegno possibile, purché eviti di saldarsi alla sinistra eurista già esterna al PD e purché non si porti dietro D' Alema e Bersani e nostalgici ulivisti vari.

  3. Anonimo dice:

    Fassina è laureato in economia è una persona intellettualmente onesta ed ha partecipato ad alcuni convegni con economisti sovranisti come Nando Ioppolo e Galloni quindi nel PD è sicuramente quello che meglio di tutti ha capito la situazione non a caso è il più agguerrito avversario di Renzi in seno al PD purtroppo però dentro il PD la minoranza non conta niente, l'unica cosa che possono fare è uscire e dare vita ad una formazione che porti via una buona percentuale di voti al PD in modo di portarlo al ballottaggio con il M5S è poi una volta al ballottaggio sperare che il M5S riesca vincere ad oggi questa è l'unica speranza che abbiamo di fermare Renzie

  4. Anonimo dice:

    Anonimo delle 22.44Non è esatto scrivere "dare vita ad una formazione che porti via una buona percentuale di voti al PD in modo di portarlo al ballottaggio con il M5S è poi una volta al ballottaggio sperare che il M5S riesca vincere"Per dirla tutta avresti dovuto scrivere che Fassina e Civati al ballottaggio dovrebbero votare per Grillo…Ma tu ci credi?E soprattutto: a che servono Civati e Fassina se poi al ballottaggio dobbiamo votare per Grillo?Votiamo tutti per Grillo subito e lasciamo i due consociativisti con la loro bella compagnia degli inutili Bersani, Bindi, Vendola, CGIL.

  5. Anonimo dice:

    X anonimo 16.44non è necessario che Fassina e Civati si schierino per il M5S basta che gli elettori di quell'area al ballottaggio davanti alla scelta Renzi M5S preferiscano (come è ovvio che sia) il M5S.A che servono Fassina, Civati, Bindi,Bersani ecc..fuori da PD? a portare via un 68 % di voti al PD evitando che vinca al primo turno come potrebbe accadere se ad esempio si ripetessero i risultati delle Europee,vedi esiste uno zoccolo duro di elettorato PD 7080enni quelli come mio padre che provengono dal PCI che non voteranno mai il M5S al primo turno al massimo si astengono come è avvenuto di recente nella rossa Emilia Romagna abbassando il numero di votanti e quindi facilitando inconsapevolmente Renzi a cui con un alta astensione basterebbero pochi milioni di voti per vincere al primo turno,mentre se la minoranza DEM desse vita ad una formazione fuori del PD raccoglierebbe il consenso di buona parte di quello zoccolo duro togliendo voti a Renzi e alzando l'asticella del numero dei voti per vincere al primo turno,poi al ballottagio ci pensiamo noi figli a portare i vecchi PCI di peso al seggio,non che io sia uno sfegatato del M5S ma al momento è l'unica forza che può fermare il pericolosissimo Renzi,inoltre nel M5S esistono sensibilità verso il problema Eurocrimine e programmi di solidarietà sociale come il reddito di cittadinanza misura urgentissima e necessaria a togliere dalla miseria e dal ricatto del mercato del lavoro precario e spietato milioni di lavoratori le loro famiglie

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